Antefatto

Solo la notte  ad accompagnare quella cinquecento  era rimasta. La strada semi deserta; ogni tanto insoliti bagliori e luci arrivavano da dietro mentre la vettura si accingeva ad attraversare l’ultima galleria che separava la città da tutto il resto. Si ritrovò ben presto libera dal solito asfalto grezzo e deturpato da decine e decine di altri viaggiatori che lo percorrevano. Un venerdì notte fuori dal casino urbano. Un venerdì piovoso e caldo al contempo, che sembrava dare a quella serata lo spirito giusto per quel che si aveva in mente. Ma si. Una lunga traversata nei campi per andare in una piccola cittadina e da lì, ritrovato l’altro amico, il terzo per essere esatti, sarebbero ripartiti per il luogo prescelto. Erano due ragazzi nella cinquecento, due amici ormai ventenni che sentivano vicina l’ora per fare delle loro idee, idee di tutti. Uno indossava occhiali e aveva un naso pronunciato che non sembrava nemmeno essere di quelli parti e infatti non lo era, anche se la sua vita e i suoi affari si erano spostati più a nord della terra del sole da dove proveniva, e, anche se non lo ammetteva, in cuor suo poteva anche dargli un leggero piacere essere scambiato per uno di quelle parti. L’altro sedeva alla sua destra. Anche egli con occhiali e capelli neri, come l’amico accanto, forse un po’ più robusto e, nonostante l’età, già fumatore incallito. Era un bel po’ che non si vedevano, forse otto o nove mesi, e il fatto che per questo lungo periodo si erano sentiti solo tramite un cellulare, una rimpatriata così fulminea non poteva che metterli di buon umore. Non erano neanche dieci minuti che erano partiti che subito avevano trovato il modo per parlarsi di tutto ciò che passava per le loro teste. Tutti quei progetti  dei quali avevano sempre parlato ora, quella notte, potevano finalmente essere considerati come vicini, così vicini e concreti da poterli toccare e amalgamare a loro piacimento. Uno, il più grassoccio e fumatore, credeva nella potenza della settima arte per dare un contributo e un senso alla società, al mondo circostante e largo sfogo alle sue idee. L’altro, sebbene portasse avanti studi di economia e finanze all’università dove andava, il suo modo di contemplare la vita in maniera filosofica e non sempre all’interno di schemi razionali e numerici facevano di lui un astuto osservatore. Il terzo, ultimo membro di quel trio, passò con la sua macchina gialla dinnanzi ad un parcheggio vuoto. Scese e saluto gli altri due amici che nel frattempo erano arrivati e si preparavano, oltre a presentazioni di vario genere, a salire in macchina ed esplicare le loro idee. Il terzo e più piccolo dei tre si divertiva a farsi chiamare” il bello”; secondo il suo volere documenterò questa storia chiamandolo con questo nome.  Vestiva di leggero; portava indosso un paio di jeans e una t-shirt e a portata di mano, dietro, nel retro della vettura, un giacchetto un po’ striminzito. Guidava lui quella sera. La testa in avanti come perforare la restante aria che sbatteva sul vetro e nelle insenature di plastica dello scheletro a quattro ruote. Mani ferme e strette al volante. La sua retorica lo precedeva; ne aveva già dato più volte accesa partecipazione e dimostrazione quando si imbatteva in discorsi e contestazioni di ogni genere. Amava poter dire la sua, come chiunque in quell’automobile, anche solo con una parola, anche sul più impensabile dei dibattiti. La sua vera passione era la politica e il poter polemizzare su di essa. L’atmosfera si fece subito meno intensa e pesante una volta che il fumatore iniziò a conversare con i due; il bello e il ragazzo dal grosso naso non si conoscevano, il fumatore e più grassoccio dei tre aveva organizzato la serata e chi meglio di lui poteva drenare quella scomoda e quanto strana situazione. Difficile poter interagire tra due che nemmeno si conoscono. “Stavo dicendo che sono riuscito a dare quell’esame miserabile” disse il fumatore seduto davanti con una mano ben aggrappata alla portiera. “Ah si?” chiese il bello. “Quale esame?” chiese il nasone, “Sei ubriaco per caso?”. “Ma come quale? Te ne stavo parlando poco fa!”. “Fuma meno” disse il nasone sbattendo la sua mano sopra la spalla dell’amico aumentando il suo imbarazzo e il bello che scoppiò una risata rompendo definitivamente il muro silenzioso che si stava creando e che non doveva crearsi, o addio piano e arrivederci idee. Come se niente fosse i due, il piccoletto e il nasone, si erano coalizzati in un nano secondo con scherni e battute verso l’amico di entrambi, il fumatore il quale aumentò quel senso di esilarante contentezza con un invito solidale rivolto ai ragazzi di andare direttamente nel posto più buio, e da tutti nominato, della terra. Ma quelli continuarono per un bel po’ prima di ritornare ad una più tranquilla conversazione. L’imbarazzo si era di colpo infranto e già in lontananza si videro luci di piccola città frantumarsi all’orizzonte. “Siamo quasi arrivati” disse il bello. “è quella lì?” domandò il nasone, estraneo completamente di quella zona. “Si” rispose il fumatore, “Ora troviamo parcheggio e poi cerchiamo un bel posto dove parlare!”. La macchina fu lasciata all’esterno delle mura antiche. I tre si diressero sotto la pioggia incuranti dei vestiti bagnati più altolocati del nasone, o di quelli più modesti del fumatore e del bello. Intorno a loro schiere di personaggi che sembravano usciti da un film. All’inizio di una stradina un barcollante e robusto signore di mezza età trascinò illogicamente i suoi piedi stanchi e sbronzi verso i tre ragazzi, ma crollò per terra come un sacco prima di raggiungerli, e lì rimase. I ragazzi scoppiarono in una risata ma subito furono ripresi da un altro bicchiere facile che, accoppiato con un suo compare che lo reggeva, biascicava suoni e versi incomprensibili e mescolati al vino e alla strana parlata del posto. Un grosso bestione che li fece indietreggiare per un istante, ma il bello, pratico del posto e dei suoi modi facili, oltrepassò quei due individui e si fece largo tra l’altra gente che passava e si scontrava e gli altri amici dietro di lui come animali smarriti. “Andiamo. Non fatevi spaventare così!” disse. “Ma chi si spaventa” disse il fumatore che si rimise dritto e sicuro a cercare un posto adatto. “Che ci consigli?” chiese il fumatore accedendosi un’altra sigaretta. “Ancora?” fece il nasone. “Ancora cosa?” domandò il fumatore. “è la quarta questa sera” riprese il bello “Se vai avanti così rimaniamo solo io e lui a parlare questa sera. A te ti ritroviamo mezzo morto e intossicato in un vicolo!”. “Ma ce l’avete tutti con me stasera? È incredibile. Non vi è bastato il mio consiglio di andare a fare in culo?”. “I tuoi consigli non li ascolta nessuno” lo riprese il nasone portandosi avanti con la sua camminata da giovane aristocratico e le sue scarpette appena comprate. Il fumatore, di modi più aperti, infilò la mano tra le costole sensibile dell’amico che non riuscì a finire di parlare perché una fitta di dolore lo aveva già ammutolito. Rispose con una spallata e il fumatore finì addosso al bello che intanto si era fermato per decidere in quale locale entrare. “Decidi tu” fece il fumatore, “Tu sei l’esperto!”. “Bè, in quel pub laggiù fanno dei drink a poco!” è già lo sguardo dell’amico si era intriso di una smorfia divertita, “In questo qua, invece, hanno molti tipi di birra e il prezzo è accettabile!”. Il fumatore scoppiò a ridere e il bello, comprendendo il suo divertimento, lo seguì in una leggera risata strizzando un poco le palpebre e incurvando appena le spalle. “è possibile che ogni volta devi pensare ai soldi? Se cominciamo così possiamo dire subito addio al nostro progetto!”. “Io lo dicevo per voi!”. “Io non ho problemi a spendere un po’ più per una sera” fece il fumatore, poi riferendosi al nasone disse “Forse lui può essere d’accordo con te!”. “Anche tu la pensi come me sul fatto di risparmiare di tanto in tanto?” chiese il bello e mentre il ragazzo stava per rispondere con la sua voce melliflua e calma, il fumatore fece, “No no, tranquillo. È solo ebreo!”. Il bello rise e il fumatore si cimentò in una mirabolante e al quanto primitiva risata spalancando la bocca. “Tu sei il solito nazista!” fece il nasone al fumatore, “Comunque è vero. Sono per metà ebreo!”. “Allora non stava scherzando!”. “Sennò come si spiega questo?” e si toccò due volte il naso provocando una risata generale. Il locale che alla fine fu scelto avrebbe dovuto con immediatezza portarli a discutere e chiarire le basi per il loro piano. Il fumatore ne aveva già parlato con il nasone e poi anche con il bello, per questo aveva deciso di farli conoscere, tutti insieme avrebbero portato idee geniali e fresche al progetto. Avevano in mente di creare una sorta di sito dentro il quale poter innestare e far confluire le loro doti e aspirazioni. Un giornale on line, o almeno una specie; uno avrebbe potuto scrivere tutto ciò che gli interessava a proposito di filosofia, libri, un altro per quanto riguardava il cinema, creare dei corti, interessarsi a roba artistica, un altro ancora avrebbe perfezionato il suo stile ironico e pungente facendo discorsi, scrivendo, creando uno spazio politico e satirico a un tempo. Questo era lo scopo principale; non appena entrati in quel locale, invece, una vampata d’aria calda e consumata li afferrò per la gola infastidendo le loro ghiandole sudoripare e costringendoli ad effettuare un’operazione di sopravvivenza che li tenne occupati per più di dieci minuti prima di smettere di sudare e riprendere una normale respirazione. A parte per il fumatore. Mentre gli altri si erano in un certo verso sistemati, attendendo ordini e precisazioni, lui ancora non aveva sistemato la sua posizione sopra la sedia e continuava a girarsi circondato da amabili signorine sedute ad un tavolo e da altre persone che non facevano altro che rendere l’aria sempre più irrespirabile. “Che dici possiamo incominciare?” fece il bellotogliendosi a fatica il giacchetto mentre il nasone lo guardava e lo studiava. L’imbarazzo stava per ricadere attorno a loro. “Si, bè, lui aveva in mente una specie di blog!” disse il fumatore parlando del piccoletto e rivolgendosi all’amico con il grosso naso. “Certo, l’idea era quella. Poi credo sia giusto usare qualsiasi tipo di social per pubblicizzarsi”. “si si, certo” disse il bello, “Quello dev’essere fatto. Poi dicevo a lui, l’altra sera, che fare delle sperimentazioni a livello cinematografico, intendo cortometraggi, mischiando anche temi di carattere politico non era una cattiva idea!”. “Tu quindi saresti quello che si occupa dell’aspetto politico, giusto?”. “Si, in effetti sono molto interessato all’argomento politica. Credo che non ci si debba allontanare da questo tema!” fece il bello. “Mi sembra quello più adatto” li interruppe il fumatore, “Se si tratta di parlare di queste cose lui è sempre il più informato!”. “Se posso permettermi” iniziò il nasone, parlando verso il bello, “Cosa ne pensi della politica. Voglio dire, quali sono le tue scelte e i tuoi ideali politici?”. Il bello fece un respiro profondo e un po’ timidamente fece “Sono sempre stato schierato verso la parte sinistra della politica, anche se ultimamente i miei ideali oscillano verso un liberismo economico che……”. I quell’istante il cameriere arrivò a prendere l’ordine e tornò qualche minuto più tardi con un vassoio di birre interrompendo il lor discorso. Iniziarono quindi a trangugiare; poi furono nuovamente ripresi da un altro cameriere che li avvertiva che il tavolo più grande si era appena liberato e che se volevano stare un po’ più larghi avrebbero potuto spostarsi. Così fecero. Preso i loro boccali di birra giallognola e schiumosa e già un po’ barcollanti si defilarono silenti verso il tavolo spazioso, resto di un’altra bevuta della serata. Il discorso che era iniziato abbastanza bene, dopo qualche ora e qualche boccata di birra, era passato ad un livello più lento ma sempre ricco di discussioni; prima tutti insieme, poi parlavano solo due e un altro ascoltava cercando di restare concentrato, poi la parola passava di nuovo ad un altro e poi ancora tutti e tre insieme. “Io ho sempre sostenuto il fatto che…… e vi prego non pensate male, ma sono sempre stato affascinato, per un certo senso, alla figura di Hitler!” disse il fumatore facendo rigurgitare un po’ di birra dal bello come se gli avessero sparato dopo quella affermazione. “Lo dicevo che eri il solito nazista senza un vero colore politico!” lo riprese ridendo il nasone. “Ma che nazista. Penso solo che per fare quello che ha fatto o ci vuole uno completamente pazzo o uno estremamente intelligente e incompreso!”. “Quello che mi sconvolge è come ha fatto a rendersi così grande e rispettato da tutta la nazione! Da tutti i tedeschi!” si interrogò il bello. “Secondo me lui ha dato il suo appoggio per la parte iniziale della dittatura. Il resto, intendo le leggi raziali, lo sterminio, ecc. pensò che non fosse il solo a pensarle quelle cose. Credo avesse collaboratori ancor più pazzi di lui. Non poteva agire da solo!”. “Certo! Un po’ come succede oggi con Salvini. Fateci caso. Quando è ad una trasmissione dice delle cose. Quando è ad un’altra dice le stesse cose ma in maniera più moderata”. “Il fatto è che in politica, se vuoi veramente prendere i consensi, devi dire quello che la gente si aspetta che tu dica. Una parte dell’Italia pensa in un modo e una parte in un altro , così lui quando va ad una trasmissione sapendo che tipo di pubblico la segue lui va e dice quelle precise cose. Viceversa nell’altra trasmissione lui cambia e stravolge ottenendo più consigli! È tutta una questione di televisione, audience, ascolti!”. “Bè, ce ne sono stati altri anche prima di Salvini che hanno fatto nella stessa maniera! Basti pensare a Berlusconi”. “Questo ti fa capire quanto non ci sia molta differenza tra cinema e politica. In tutti e due i campi ci sono sempre bravi attori!”. “Una cosa è certa. Si può dire tutto di quell’uomo ma non che non sia divertente. Ma ci pensate ad uscire una sera con lui? Credo che ti divertiresti come un pazzo. Saresti l’uomo più felice di questa terra!”. “Almeno dice qualche stronzata e di sicuro non mancano donne!”. Tutti e tre risero. Era incredibile come in quel momento si potesse passare da un argomento all’altro con tanta facilità. Politica, filosofia, film, Hitler, Donne, Berlusconi, ecc. Come se fossero gli ultimi argomenti rimasti, tutti insieme uno dopo l’altro, senza sosta ne pausa. Nessuno interrompeva e potevi andare avanti all’infinito con la paura di non dover mai fermarti o avresti distrutto completamente quell’atmosfera. Come se si stesse discutendo ad un normale tavolo per l’ultima volta nella vita. Non dovevano perdere tempo. La discussione, quelle parole, continuarono anche fuori, una volta usciti da quel buco ed aver tagliato la città in due, a piedi e sotto la pioggia che non cessava di cadere. Arrivati ad un ponte isolato, nessuno era più per strada e i tre fecero all’indietro il tragitto appena percorso; barcollando appesantiti dalla pioggia e infiacchiti dall’alcol che si faceva piano piano sentire nel loro corpo. Il nasone parlava di suoi esperimenti teatrali e di un progetto di scrittura. Il fumatore, già alle prese con un’altra sigaretta, ascoltava sonnolente accanto al bello. La parola andava scemando ritornati nuovamente al locale precedentemente lasciato ma non se la sentirono di rientrare li dentro, ne in nessun altro posto. Continuarono, perciò, a camminare e lungo la strada non trovarono più nessuno, solo qualche pub che non ne voleva sentire di chiudere e che restava aperto pullulando della più diversa gentaglia e dei più strani rumori. Fecero un bel giro largo e si ritrovarono dinnanzi alla macchina. Non avevano più parlato del loro progetto, giornale o blog, che dir si voglia, da più di un’ora e una volta arrivati all’automobile i loro sguardi sembrarono dire addio a tutto, è stato bello fino a che è durato,  non ne parleremo più. Erano partiti così eccitati e presi per  parlare solo del loro piano che per tutto il tempo, invece, avevano menzionato tutt’altro. Ma niente accade per caso. Se quella serata era stata programmata per un fondamentale scopo, unico e imperativo, non dovevano rimanere sconfitti difronte al fatto che lo non lo avevano approfondito, se non in maniera superficiale. Si erano ritrovati; avevano avuto la possibilità, forse, di conoscersi tutti e tre più a fondo. Quelle parole non erano state vane e loro lo sapevano. Sapevano soprattutto che potevano veramente fare qualcosa, qualcosa di personale e concreto. Fu questa profonda responsabilità e mitico senso del dovere, del proprio e personale dovere, a risvegliare tutto ad un botto i loro animi, i loro cervelli che si erano solo per un momento raffreddati e spenti. Rimasero a guardarsi per pochi istanti con occhi increduli e interrogativi, come chiedersi, “Se non ora, Quando?”. Del resto erano tutti e tre lì, e ciò bastava. Tre studenti di diversa estrazione sociale che si sentivano in gioco e non avrebbero voluto lasciar perdere tutto ciò che avevano; vedere le proprie idee racchiuse in una scatola arrovellandosi senza fine e scopo, dando piacere solo a loro stesse. Volevano dar prova delle loro abilità, ognuno con ciò che meglio sapeva o poteva fare. Il loro modello era quello di una sorta di legame di menti che desse frutto a svariate opere e prodotti diversi senza ricadere nell’invidia reciproca o nella banalità. Un qualcosa che unisse ciò di cui avevano più volte parlato e discusso e per il quale ora si erano ritrovati sullo stesso piano nella speranza di cambiare le cose e la realtà attorno a loro stessi. Il bello fece qualche passo verso la strada e si sporse dal marciapiede restando quasi folgorato da una quasi invisibile luce che proveniva da dietro una delle mura che circondava la città. “Non avete fame voi?” disse un po’ eccitato e nello stesso tempo confuso, come colto da una visione, “C’è un locale la in fondo. Si mangia bene!”. “In effetti ho un po’ fame!” disse il fumatore guardando l’altro come per recepire un qualche segno di approvazione. “Va bene. Andiamo!” disse il nasone cominciando già a camminare. Arrivarono all’entrata principale, entrarono e percorsero qualche metro prima di trovare un tavolo appartato. Era posizionato sopra delle scale, coperto da una piccola parete e una tenda fatta di minuscole perline rosse che riflettevano la luce delle lampada sulla superfice del tavolo. Attorno a gli altri tavoli era buio e c’era silenzio, interrotto di tanto in tanto da una musica che proveniva da uno stereo non molto lontano. Si posizionarono alla meglio su quelle sedie e ordinarono dei panini e qualcosa da bere. Sopra il tavolo vi erano due tovagliette di carta giallastra e ruvida. Il nasone ne presa una fra le mani; la guardò attentamente senza distogliere mai su di essa l’attenzione. Passò e ripassò le dita sulla carta e guardando poi gli altri due, anch’essi incuriositi, posizionò in senso verticale la tovaglia e la stese delicatamente sul tavolo. “Chi ha un penna?” domandò. I due si toccarono il corpo in cerca dell’oggetto appena richiesto e quando non fu trovato, il bello si alzò e si diresse verso il bancone. Tornò qualche secondo più tardi con solo un pennarello. “Basta questo!” fece il nasone. Tolse il tappo dal pennarello e temprò il suo braccio fino al bordo del foglio restando in attesa di suggerimenti. Uno spontaneo e veloce gioco di sguardi rese tutti i presenti coinvolti e tutti insieme, contemporaneamente riversarono, su di quel foglio di carta giallastra, i punti principali. “Dovremmo creare una sorta di manifesto” disse il fumatore, “Qualcosa che descriva quello che vogliamo fare. Cercando di coinvolgere e far capire quali sono i nostri scopi principali”. Intanto il nasone scrisse, calcando fortemente, “Manifesto” , in alto, ben visibile. Il bello si passò un istante le dita su gli occhi in modo tale da scacciare quel sintomo di stanchezza che si stava formando; dopo aver pensato attentamente disse, “Dev’essere qualcosa che dica in che modo vogliamo operare. Come le idee debbano essere trasportate ad altri, giusto? E allora scriviamo i mezzi con i quali operiamo e lavoriamo!”. Il nasone scrisse il primo punto con estrema lentezza come se avesse fra le mani un oggetto delicato. Poi lo rilesse e fece cenno di poter continuare. “Arte, scienza, politica…” fece il fumatore, “Tutte cose di cui vogliamo parlare! Mettiamocelo allora. Rendiamo pubblico il nostro punto di interesse”. “E nello stesso tempo possiamo tenere presente come il luogo da noi creato sia un luogo in cui chiunque può intervenire con propri giudizi e critiche. Aperto. Nessuna distinzione”. Il secondo e il terzo scorsero sulla carta con estrema velocità e il quarto punto venne scritto restando fermi sull’idea che lo scopo principale doveva essere quello di comunicare e coinvolgere. Avrebbero potuto continuare, ora che le menti erano abbastanza aperte; decisero, però, di non rendere il tutto troppo ampolloso, quattro punti cardine potevano essere sufficienti per un manifesto. Eppure mancava ancora qualcosa. Una frase. Una parola che concentrasse insieme i quattro punti. Un qualcosa che potesse racchiuderee sintetizzare il tutto. Qualcosa di che rimanga impresso e originale allo stesso tempo. Il nasone si ritrasse all’indietro e si appoggiò sullo schienale della sedia. Gli altri due fecero lo stesso restando in silenzio a pensare. C’era una scritta sul pennarello; una marca. C’era scritto “Faber Castel”. “Che significa Faber?” chiese il nasone. “Non lo so!” rispose il bello. Cercarono velocemente il significato su internet e dopo aver passato qualche pagina alla fine la risposta si trovò davanti a loro precisa e inequivocabile. “Homo Faberfortunaesuae – L’uomo è l’artefice della propria sorte”. Una frase che li tenne interminabili minuti a riflettere e dopo aver, spostato, tradotto e interpretato in vario modo, decisero che forse poteva veramente fare al caso loro. Come se fosse alla fine tutto chiaro e sempre stato, per tutto il tempo, a portata di mano. Dopo questo passaggio, trovare il quinto punto fu semplice, per tutti e tre. “Che la mela della conoscenza ci sazi e l’intelletto domini gli uomini”.

Quel giorno stava per giungere a suo termine e prima che iniziasse il nuovo, attorno a quel tavolo, avevano scritto il loro modello ideale; il loro manifesto. Un Manifesto Faberista.


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