
Sembra quasi scontato ormai, dire come la figura del regista Paolo Virzì sia talmente incentrata e incorporata all’interno della cultura cinematografica del nostro paese, tanto da farne un probabilissimo e forte punto di aggancio, un saldo appoggio e contatto con quel cinema, in parte passato ma forse ancora più vivo che mai, che tanto lustro aveva fatto e riproposto per la nostra personalissima e stravagante personalità peninsulare. Un vero successore di quella famosa “Commedia all’italiana” che pareva scomparsa con il tempo e con la fine di quegli autori, ammutolita nella voce e nei movimenti. È uscito da poche settimane il suo ultimo film, La pazza gioia. A stare ad ascoltare le ultime risa e pianti provenire dalla sala in cui si sta proiettando, si potrebbe intuire come potrà essere accolto nei giorni e mesi successive.
La pazza gioia è un’opera nel più puro stile virziniano. Niente è scontato e nulla appare già stampato nella mente dello spettatore che si ritrova a riderne e disperarsi quando una delle due protagoniste o tutte e due insieme si ritrovano in dolorose situazioni, quelle da prendere sul serio, o quando ne combinano una delle loro, il che porta il pubblico alla risata spontanea, al sincero divertimento e ad un respiro di sollievo quando alla fine tutto sembra ritrovarsi, quando una delle due protagoniste femminili riesce ad abbracciare e scambiare delle parole con il figlio da tempo portatele via. Una specie di “Thelma e Louise” ma tutto italiano, spostato anni più tardi e in una casa di cura per donne con problemi mentali (increscioso e duro usare il termine Mentalmente instabili). Un tema che Virzì, come a suo solito, non sente affatto di gestire con drammatica suspense, né con un gusto più serio e solenne, da trattare con i guanti, come si usa dire, ma getta nella mischia un cast composto e al quanto alla mano e resistente, composto in una maggior parte da donne dalla grande maestria recitativa e comica.
Mi sembra giusto dire che una delle migliori doti e semplicità del regista livornese sta nella bravura di dirigere gli attori, che per un regista è un gran punto a suo favore, (non solo guidarli ma farli restare nei ranghi), e specialmente nel dirigere il sesso femminile, sempre presente nei suoi lavori. L’accoppiata Bruni Tedeschi-Ramazzotti è una prova di questa bravura. A volte sembra si perdano in movenze o gesti che portano alla banalità o in troppe chiacchere o in livelli di attorialità differenti tra le due attrici, ma poi riescono a collaborare abbastanza omogenee e bene, facendo scorrere la trama. Dopo il successo de “Il capitale umano”, “La pazza gioia” non smentisce Virzì che continua verso un suo preciso e netto percorso registico – cinematografico. La “Commedia all’italiana” sembra aver ritrovato dopo anni un punto da cui ripartire.
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