La notizia è appena accennata, scorre sul sottopancia dei canali all-news, ma già preda dei più voraci giudici popolari. Solo poche ore dopo la dinamica inizierà a farsi più chiara.
Un insulto alla compagna di una vita. La conseguente rissa. La morte. Attimi che colpiscono e dividono tutta l’Italia. Due fazioni contrapposte che si accusano reciprocamente. Da una parte i razzisti, dall’altra i complici di un’invasione. Ma la ragione è assente. Ciò che è successo ha colpito tutti. Il razzismo è qualcosa di terribile, che già in passato ha macchiato la storia dell’uomo, ma gridare alla guerra etnica è da folli. Quella “scimmia nera” è diventato veicolo di morte per le vie traverse del destino. Ma il mostro è confezionato, già dato in pasto alla folla. Siamo abituati a questo tipo di becera informazione, ma solitamente il nero è il mostro. Questa volta no. La piazza incita al linciaggio di quello che sembra un novello Hitler, un Breivik italiano, ideologo di una società etnicamente omogenea, mentre una parte d’Italia, sicuramente malsana, celebra il fattaccio. “Ha fatto bene!”
Ma a volte gli uomini dimostrano di non rientrare in una definizione univoca: non sono né bianchi né neri; né buoni né malvagi; solo uomini, con tutte le debolezze del caso. Infatti nell’acredine generale dei politici e degli opinionisti da bar, si leva una flebile voce che si assume la responsabilità morale della tragedia e mette a disposizioni della vedova i suoi beni materiali. Nulla in confronto ad una vita. Non potrà di certo lavare via le colpe di quest’uomo, o ammorbidirne la pena di fronte ad un giudice. Ma restituisce l’immagine di un uomo al di là delle contrapposizioni ideologiche. Con i suoi difetti, la sua meschinità, il suo razzismo, ma anche con la sua umanità, capace di sconvolgere la sua stessa ideologia infame.
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