Le donne di Quentin

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Avete mai notato come le donne prendano sempre posizioni, aspetti, linguaggio, e modi differenti a seconda del film in cui si trovano ma soprattutto a seconda del regista con il quale si ritrovano a lavorare e ad essere mosse come marionette? La mia attenzione si poggia innanzitutto su uno dei più importanti, famosi e irriverenti cineasti viventi che con il suo personalissimo genere ha aperto, sebbene in maniera più cruda e violenta, nuovi orizzonti nella mente umana dando il via ad una lunga serie di film e personaggi maschili diventati simbolo e marchio di fabbrica per quel regista, eterni per certi versi. Elencandone alcuni già capirete di chi sti parlando: Aldo Rein, Vincent Vega, Mister Pink, Bill, Hans Landa, l’Orso Ebreo, ecc. Avete senz’altro riconosciuto il personaggio. Sto parlando naturalmente di Quentin Tarantino. In un primo momento mi soffermerò su di lui, in maniera particolare nella sua maniera, non di dare vita a personaggi maschili, per quelli sono capaci tutti; aprendo un piccolo studio sulla sua cinematografia e i film più importanti mi dedicherò ai suoi personaggi e protagoniste appartenenti al genere femminile. Che importanza ha la donna per Tarantino? Sono tutte uguali come pensiamo? Ma soprattutto, qual è il loro scopo primario? Per cosa combattono e rischiano la vita queste protagoniste? Non potrei mai partire dal semplice personaggio studiandolo movimento dopo movimento, sequenza dopo sequenza. Ho deciso di dare ad ognuno di queste protagoniste ed eroine un sapore e toni differenti; meno moderni e più antichi, iniziando per l’appunto dalla mitologia e confrontandole con tre precise eroine che hanno per anni aperto la strada a nuove teorie e generi letterari, poetici e teatrali arrivando infine anche al cinema. Una caratterizzazione del mondo femminile nell’universo Tarantiniano riportato al passato, all’era del mito. Per questo mi servirò di tre diverse personalità: la Medea di Euripide, l’Antigone di Sofocle e Cassandra cantata originariamente da Omero, Virgilio, ecc.

Ognuna di queste figure femminili porta al suo interno un proprio messaggio, delle proprie azioni e scopi precisi e così importanti e veri che sono sempre validi e utili per nuove rappresentazioni e significati. Distaccandosi appena dal mitologema iniziale, mantenendo pur sempre il nucleo originale, la trama principale, sono nate nuove storie in diverse epoche ed ecco che le tre donne mitiche dopo l’epoca classica sono apparse frequentemente in ere e secoli differenti arrivando a prendere importanza ed eternità in quasi tutti i generi e campi artistici. Ma questa cosa, vale anche per le eroine di Tarantino? Prima di scoprirlo è doveroso rinfrescarvi brevemente la memoria sintetizzando la storia della tre donne poco prima citate.

Antigone, la cui storia fu narrata da Sofocle, prima, e da altri poi, è una dei figli di Edipo che dopo la scacciata di quest’ultimo da Tebe per volere dello zio Creonte, fratello della defunta Giocasta, vaga con la sorella Ismene fino a Colono accompagnando il padre ad una serena morte. Tornata con Ismene a Tebe si macchia di un terribile reato: da degna sepoltura al Fratello Polinice il quale aveva tentato di prendere la città governata dall’altro fratello Eteocle e che in un duello si erano uccisi entrambi. Vedendo in Polinice il nemico di Tebe e dei Tebani ordina di far seppellire Eteocle lasciando Polinice a marcire nella terra ancora sporca di sangue. Antigone, che secondo il rifacimento di Hasenclever e le ricerche di Hegel agisce tramite la legge divina, la legge degli affetti e della giustizia, decide di non eseguire gli ordini del malvagio zio Creonte, rappresentante invece della legge creata dall’uomo e non dalle divinità, e così seppellisce il fratello scatenando contro di essa l’ira dei cittadini e del re. Una storia che ha dei finali differenti in differenti rifacimenti ma che mantiene alto lo spirito ribelle, di giustizia e pace contro gli oppressori, i malvagi e i dittatori.

La Medea di Euripide è invece una donna forte, intelligente e profondamente maligna. Figlia del re della Colchide, una remota regione in cui è custodito il Vello d’oro, e nipote del dio del sole, si innamora di Giasone appena lo vede arrivare in quella terra sperduta e antica proprio per recuperare il Vello e riportarlo in Grecia. Medea lo aiuta a prendere ciò che egli vuole e dopo essersi macchiata di fratricidio per fuggire dalla reggia, salpa sulla nave Argo con Giasone, anche lui innamorato. Un amore che però non darà tregua ai due e che li costringerà a fuggire anche dopo essere tornati in Grecia. Troveranno rifugio nella città di Corinto. Qui Giasone perde il suo interesse per la donna e sacerdotessa Colca, e dopo aver conosciuto il re Creonte e sua figlia Glauce intende sposarla per portare a termine una personale scalata sociale. Medea, sentendosi tradita, riesce ad acquistare nuovamente il suo spirito che era andato perduto di donna forte, astuta e senza scrupoli. Dopo portato alla morte con un sortilegio la figlia del re di Corinto e lo stesso re, pone fine al suo piano di vendetta uccidendo i due figli e mostrandoli poi a Giasone. Medea è straniera in quella terra a lei sconosciuta, amante solo del profitto e del denaro e per questo decide di tornare nella Colchide, terra più selvaggia e non moderna ma suo vero ed unico posto. Fuggirà da Corinto con i cadaveri dei due figlioletti su di un carro mandato da Elio.

Cassandra, dopo essersi imposta contro la guerra tra Troia e la Grecia e dopo essere stata allontanata non solo dalla città ma anche dall’affetto del proprio padre, Priamo re di Troia, decide di rifugiarsi lontana dalle mura ciclopiche della città, in una comunità formata essenzialmente da sole donne: La comunità dello Scamandro, situata vicino al fiume omonimo. Una società di donne che mira ad un mondo governato da sole donne in cui vivere non più nella semplice fratellanza ma nella sorellanza universale, nella pace e nell’amore tra gli individui contro le barbarie e le bestialità del genere maschile.

Inutile dire che, in tutti e tre i miti, queste tre donne non fanno una bella fine o almeno una di loro, Medea, riesce ad avere salva la vita ma una non buona reputazione.

Partendo dalle sue prime opere vediamo come Tarantino ha in un certo qual modo optato per una descrizione della femmina ogni volta sempre differente ma con punti ed elementi che accomuna tutti, specialmente le tre eroine della mitologia. Iniziando con “Pulp Fiction”, suo secondo film, il ruolo della donna appare ancora un po’ nascosto dietro le movenze dei personaggi maschili ma pronto a darci un primo suggerimento per ciò che andrà a creare in un secondo momento. Con Mia Wallace si parte subito con un dubbio che tiene occupati i due protagonisti principali con lunghi dialoghi: la domanda è se abbia veramente permesso ad un altro uomo di possederla fisicamente tradendo così l’enorme e feroce marito, Marcellus Wallace, boss della città. Una donna forte, sicura di se, che smentisce anche queste voci ma restando sempre nell’ombra, non uscendo mai completamente allo scoperto, solo quando si tratta di droga. Dopo una serata con cena e spettacolo, accompagnata da John Travolta, alias Vincent Vega nel film, Mia va in overdose dopo ver scambiato eroina per cocaina. Dopo un rocambolesco e stravagante salvataggio, rinviene ma non sembra essere molto spaventata per quello che successo. Vincent Vega la riporta a casa facendole giurare di non dire niente al marito. Lei giura e mantiene la parola tornando a quella vita di eccessi che non permettono di avere molto potere in quel mondo violento, ma almeno libertà domestica. Una prima eroina mancata. Non ha ancora le caratteristiche della donna che cerca l’emancipazione e che non cerca di sfuggire a quel mondo. Questo però già spiana la strada al personaggio successivo.

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Uma Thurman in una scena di “Pulp Fiction”

In “Jackie Brown” già si assiste ad un passo avanti. La protagonista è appunto Jackie Brown, hostess di volo che cerca di arrotondare il suo stipendio contrabbandando droga e denaro da un volo all’altro e comandata dal crimine Ordell (Samuel L. Jackson). Dopo alcuni imprevisti con la polizia Ordell è pronto a fare fuori la donna ma lei decide di collaborare con due agenti della polizia per incastrarlo. Alla fine riesce nel suo intento, tutto finisce bene e lei  può finalmente tornare a vivere serenamente. Un’eroina che comunque passa da un capo all’altro, da un criminale a due poliziotti, e sempre uomini. Sebbene abbia raggiunto la ricchezza e l’indipendenza non riuscirà ad avere il cuore dell’assicuratore, complice anche lui di quel mal affare. Una stabilità economica ma non sentimentale e neanche del tutto sociale.

“Kill Bill”, volume uno e due, è invece un Colossal sanguinario con protagonista Uma Thurman che già aveva partecipato a Pulp Fiction. Una donna selvaggia, tremenda e violenta che sembra ricordare Medea e per certi aspetti anche Antigone. Black Mamba, da semplice donna si trasforma assumendo le sembianze di una vera e propria killer assetata di vendetta che si farà largo in mezzo ad una schiera di altrettante violente donne prima di raggiungere il suo principale obbiettivo; uccidere Bill. La trasformazione porta a pensare veramente ad una possibilità per un mondo fatto di sole donne ma non con questi mezzi e barbarie. Naturalmente bisogna pensare che è un film di Trantino, non un cartone animato.

“Grindhouse – a prova di morte” è più demenziale e sebbene la finale scazzottata delle tre protagoniste contro il perfido e perverso Stuntman Mike porti ad una grande vittoria per l’universo femminile, è un mondo descritto con cattiveria, presa in giro. Eroine per un giorno ma oche per tutte la vita e questo è quanto. Però un altro punto per loro, e l’importanza sale film dopo film.

Forse uno dei suoi capolavori, “Bastardi senza Gloria” narra le vicende di un gruppo di americani che vengono paracadutati nell’Europa della seconda guerra mondiale per il solo scopo di uccidere nella maniera più cruenta possibile i nazisti. È anche la storia di un furbo e spietato ufficiale delle SS, Hans Landa soprannominato il cacciatore di ebrei che alla fine scenderà a patti con gli americani (i Bastardi), e la storia di Shosanna Dreyfuss, unica superstite di una famiglia ebrea che scappa a Parigi, e con la scusa di prestare il suo cinema per una premiere nazista, pianifica la sua vendetta con il proiezionista di colore Marcel. Per tutto il film è una donna anch’essa energica, seria, con il vero disprezzo contro gli invasori nazisti. Mortifica ripetutamente anche un giovane ufficiale tedesco che invece ne è innamorato. Shosanna segue bene la pista da lei stessa tracciata, sceglie bene le sue mosse e quando è finalmente vicina alla libertà si fa impietosire dal povero ufficiale tedesco ansimante a terra, ferito con una pistola dalla stessa Shosanna. Non si ricorda però che è pur sempre un nazista anche se ferito, e l’ufficiale si volta e non ci pensa due volte, spara tre colpi a Shosanna che cade a terra e muore dopo un ultimo colpo. Voleva una sorta di emancipazione e strada per uscire ma si è scordata di pensare come un uomo, che ferito ripetutamente nell’orgoglio e poi anche fisicamente smette di essere gentile e distrugge ogni cosa, anche una giovane donna per la quale tra l’altro provava amore.

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Melanie Laurent alias Shosanna Dreyfuss

“Django Unchained” non da grande spazio alla protagonista femminile sebbene sia la moglie dell’eroe. Si limita a fare ciò che dice lui portando dentro di se un sincero rispetto e amore. Una parabola sulla schiavitù vista con occhi originali e anche esagerati di un regista il cui intento è sempre quello di raccontare vicende stravaganti e incredibilmente fuori dal comune per ammazzamenti e l’uso scurrile dei dialoghi. La donna appare solo come figura di supporto. Il film in cui, forse, meno si rende evidente il ruolo femminile.

Dopo “Django”, Tarantino decide di continuare con il filone Western portando sul grande schermo “The Hateful Eight”. Un film in cui, più di tutti, compaiono quasi tutte le caratteristiche dell’opera Tarantiniana che in altri suoi film invece apparivano in maniera solo accennata o mai nella stessa pellicola, fuse insieme. In “The Hateful Eight” invece c’è tutto il cinema di Tarantino; lunghi dialoghi, la paura e l’ansia di tanti personaggi in un unico luogo chiuso e ristretto, la violenza, linguaggio scurrile, un premio in denaro che spetta al più svelto e malvagio, ma soprattutto una figura di donna che racchiude, o almeno in parte, tutte le caratteristiche delle eroine create dal regista precedentemente. Daisy Domergue/Domingray non è una vera e propria anti eroina; anzi per quanto mi riguarda è la incarnazione di tutte le protagoniste tarantiniane legate e saldate insieme allo stesso momento e nello stesso corpo. In lei si ritrovano caratteristiche di Mia Wallace per quanto riguarda una spensieratezza nel prendere e accettare la vita, come in un gioco. La forza e spietatezza di Black Mamba che lotta fino alla fine per una vendetta anche a costo di farsi quasi ammazzare a suon di cazzotti. In Daisy è forte la presenza di una dolce speranza alla Jackie Brown mischiata con la sua sete di denaro e anche un dolore e perdita personale come aveva la ragazza di Bastardi senza gloria, una perdita che non smette di voler colmare con i suoi modi strani e inappropriati per una donna e la voglia di ottenere sempre la libertà e il predominio su chi cerca in tutti i modi di sbarrarle la strada. Un vero e proprio “peperino” simile alla Medea di Euripide; non si ferma dinnanzi a niente.

Possiamo quindi riassumere dicendo che in ogni protagonista e personaggio femminile di un film di Trantino c’è la presenza di caratteristiche che le legano alle tre eroine dell’era mitica. Dal primo all’ultimo film è facile notare come il procedimento di cambiamento nei modi e nelle varie personalità varia di film in film passando da un personaggio mitico all’altro a seconda del contesto e di come tutto era stato impostato dallo stesso regista.

Nei primi film, comprendendo anche “Le Iene sebbene” non ci siano donne al centro della storia, ma la descrizione della canzone di Madonna “Like a Virgin” da parte dello stesso Tarantino ci porti a riflettere come anche la protagonista della canzone cerchi un suo spazio nel mondo e una propria emancipazione sociale, sempre se possiamo parlare di emancipazione con una donna che ha sete di sesso e simboli fallici; possiamo chiamarla una “Emancipazione di voglie”. Nei primi film, dicevo, le eroine sono legate alla figura di Cassandra; ancora ingenue, un po’ stupide, gentili ma con una nuova e accesa speranza di progresso e miglioramento. La società dello Scalambro è ancora un’utopia o semi-utopia. Sono cresciute in un mondo prepotentemente maschile e iniziano a riflettere su di un possibile cambiamento.

A partire da “Jackie Brown” si alza al cielo il grido dell’insoddisfazione, dell’ingiustizia e la reclamazione dei diritti delle donne conferendo ai prossimi personaggi il privilegio di portare in alto le opinioni delle leggi divine e giuste tanto tramandate da Antigone. Loro, come l’eroina del mito Sofocleo, si propongono di cambiare la realtà delle cose giungendo all’eguaglianza dei sessi e ad un lungo periodo di pace; un periodo di pace che, essendo in un film di Tarantino, può essere raggiunto solo tramite i duri e fitti colpi delle armi automatiche, lame di Catane e fiumi di sangue. Ma la cosa sembra riuscire e lo spirito di Antigone è forte.

Dopo “Grindhouse”, con Bastardi senza gloria fino all’ultimo film, la situazione cambia. Da un compromesso di natura democratica ed egualitaria si passa alla spietatezza delle ultime protagoniste che, raggiunto il loro progresso, sono ora macchine da guerra e violenza, grande astuzia e perfidia ma pur sempre con il gene femminile al loro interno che le rende, di tanto in tanto, amabili e comprensibili. Specie con il personaggio di Daisy Domergue la vitalità, la vendetta si fanno prepotenti in questo mondo in cui nemmeno gli uomini si perdono e non sanno fino alla fine come uscirne, un po’ come successe a Giasone. Medea è viva nelle ultime opere, più viva che mai.

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Jennifer Jason Leigh nei panni Daisy Domergue/Domingray

Un ultima cosa che sento di dover ribadire un possibile aggancio tra l’era mitica e quella cinematografica moderna di Tarantino è quello del “Blutbad”; i film di Tarantino come le opere mitologiche finiscono quasi sempre con un maestoso e allegorico Bagno di Sangue. Inoltre c’è un legame di carattere strutturale per quanto riguarda un possibile Coro di personaggi che ruotano attorno ai protagonisti, maschili e femminili; un coro che a volte prende le redini della storia, che agisce con mosse e ideali propri e un coro che in altre situazioni si limita ad accettare con passività le azioni dei personaggi, facendo del suo ruolo un puro motivo decorativo, scenografico.

Giunto alla fine mi pongo un’ultima questione. Tarantino agisce veramente così nei suoi film? Segue la scia del mito? Si rifà alle tre protagoniste antiche? Le mie sono state, naturalmente solo supposizioni sorte dopo anni di film e letture. Non sono totalmente sicuro che Tarantino abbia un’idea come questa per quanto riguarda la concezione della donna, forse agisce senza nemmeno rendersene conto. Una cosa è certa; se questo dovesse essere riscontrabile veramente e se lui avesse un preciso piano in mente, ha sicuramente un qualcosa che tocca la genialità, o almeno la sfiora.

Commenti

2 risposte a “Le donne di Quentin”

  1. Avatar Stefania Castellani

    Hai fatto un ‘analisi accurata, competente e comprovata dalla storia, filosofia, dalla drammaturgia. Ho sempre pensato che si può sfiorare la genialità pur viaggiando con la mente, con una mente profonda, col talento, con la volontà di conoscere. Mi sembra che possiedi queste doti. Ciao Lorenzo, esimio critico cinematografico

  2. […] il grande attore inglese Tim Roth che, dopo aver lavorato nel cinema con cineasti del calibro di Tarantino e Tornatore, aveva già calcato il mondo della televisione vestendo i panni del protagonista già […]

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