Di quell’11 aprile di dieci anni fa non ricordo nulla. Probabilmente non seguivo nemmeno la notizia al telegiornale e magari mi lamentavo pure con babbo per cambiare canale. Dragon Ball aveva più appeal della cronaca giudiziaria nella mia cerchia di amici.
Oggi la notizia è diversa. Non si festeggia la vittoria dello Stato sulla cupola: si racconta la morte di un uomo. Un uomo che con le sue azioni ha insanguinato la storia d’Italia, non solo della Sicilia, per decenni. Non voglio pontificare sulla Trattativa Stato-Mafia, sui rapporti clientelari su cui una certa politica prospera, o sui motivi socio-economici che muovono e ingrassano le mafie. Credo di non esserne nemmeno qualificato.
In momenti come questi, nonostante la tragedia che in questi giorni ha sconvolto il Paese, credo ci si debba fermare a pensare a coloro che hanno conosciuto direttamente la crudeltà della mafia. Sono migliaia se ci si ferma solo alle vittime di Cosa Nostra. Un bilancio da guerra civile. E guerra è stata. Nessuno scrupolo per raggiungere l’obbiettivo.
È una scia di sangue che va avanti da più di un secolo. Da Mario Pancari, amministratore di una cittadina del ragusano, ucciso nel 1871, passando per Emanuela Sansone, la prima donna uccisa dalla mafia nel 1896 per vendetta nei confronti di un parente, alle stragi di mafia dell’Italia postbellica, da quella di Portella delle Ginestre a quelle di Capaci e Via d’Amelio. Magistrati, poliziotti, sindacalisti, politici, giornalisti, persino passanti ignari nella lunga lista che la Sicilia e l’Italia tutta ha pianto.
È necessario ricordare le vittime delle mafie per non renderne vana la morte. Per evitare che si continui a vivere in un sistema marcio e malato. L’occasione della morte del quarantennale latitante è quella giusta per riflettere sulla vita e sulle parole di alcuni tra uomini e donne che hanno sperato e cercato un mondo libero dalla mafia.
L’importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio, è incoscienza.
Giovanni Falcone
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