La storia, nella sua progressiva grandezza, si ripete a distanza di anni. Il medesimo episodio ricade nuovamente sebbene il mutamento sociale e politico sembra ben diverso da quello del passato. Non si tratta certo di episodi e avvenimenti singoli. La vita di un uomo è composto da vasti e vari periodi ed ogni periodo può essere compreso in una durata massima di dieci anni (questa è una teoria, nemmeno delle migliori. Non è ne scientificamente ne teologicamente provato), ma diciamo che i vari mutamenti umani possano scorrere attraverso varie fasi, che potremmo chiamare appunto periodi. Ogni periodo forma l’intera vita di un singolo individuo e per facilitare le cose stabiliamo che la durata di ogni fase è di dieci anni; abbastanza facile da capire. Perciò, ogni dieci anni, da un qualsiasi punto di vista, che può essere mentale, fisico, ideologico, ecc., avviene una mutazione che scandisce, sia pure con leggera precisione, lo sviluppo, la crescita e l’invecchiamento dell’uomo, fino ad arrivare con incresciosa testimonianza e, perché no, anche con ironica accettazione alla fase finale di questo ciclo, chiamato appunto vita o esistenza che dir si voglia.
La cosa interessante, e che potrebbe essere stavolta provata in maniera più approfondita e veritiera, è che ciascuna fase non appare sciolta da tutte le altre. Scaduta la fase infantile si passa a quella matura dell’adolescenza ma la seconda non procede slegatamente ma si porta con se sempre qualche strascico del precedente periodo. Si procede in questa maniera, a volte senza neanche rendercene conto e quando lo si fa non si può fare altro che accettarlo, dopotutto ogni avvenimento si ripete, e non parlo solo di personali e privati episodi che caratterizzano la propria esperienza di vita. La vita di uomo procede e si fa strada pari passo con la vita sociale, politica, economica di quella comunità in cui vive e di tante altre comunità; cambiando fase umana cambia anche quella sociale e viceversa (soprattutto), una distorsione nella linearità storica di un popolo comporta a sua volta una distorsione fisica e mentale di ciascuna persona. Un cambiamento economico dovrà per forza contare su un altrettanto cambiamento politico e sociale, facendo del semplice individuo unico fra le sue mura domestiche ma un tutt’uno, assieme a suoi simili, nella comunità e, in termini più generali, nel mondo.
C’è da aggiungere però che gli stessi episodi che si susseguono si ripetono, facendo della storia un disco, un libro, un opera senza fine e senza tempo. Avvenimenti già accaduti e già conclusi secoli prima, o solo trent’anni fa, si riproducono con maggiore stupore agli occhi increduli del popolo che pensa “Ma non l’avevamo già fatto questo?!”; eppure non può fare molto. China la testa obbedendo agli obblighi che Madre Storia indice, e come in una nuvola di fumo si ricomincia dall’inizio. È quasi impossibile scappare dal ripercorrersi degli eventi, specialmente quando sono necessari e devono tornare utili.
Il colpo di stato di pochi giorni fa in Turchia non è che l’ennesimo episodio di ribellione verso un governo scomodo. Molti altri ce ne sono stati e molti di questi verso regimi altrettanto retrogradi e duri nelle proprie leggi, come tanti sempreverdi Anciens Régimes. Il mancato colpo, rivelatosi un vero e proprio fallimento, ci lascia di stucco; dopo pochi giorni, quando il presidente Turco Erdogan, nemmeno sfiorato dalla piccola rivoluzione militare sebbene era scattata proprio per colpire lui, già ha nelle sua mani bastanti soggetti da usare come capri espiatori per una repressione non solo punitiva ma in particolar modo “pedagogica”, ci si accorge di quanto la storia umana, sia da un livello politico, militare che sociale ed economico, è intrisa non solo di guerre e di vittorie ma anche di fallimenti. È forse il fallimento la conclusione che più si ripete; quando si pensa di non ricadere negli stessi errori è proprio il momento in cui tutto va per il verso sbagliato, e non parlo solo del colpo di stato in Turchia. È bene ricordare oggi, 21 Luglio 2016, la morte di un importante e valoroso militare caduto anch’egli sotto la furba e inaspettata trappola del fallimento e le micidiali ferite inferte da un altro spietato e duro regime. Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg, fu uno degli ideatori e capi dell’operazione Valkiria che, il giorno precedente alla sua morte, avevano attentato alla vita di Adolf Hitler. Una missione che andava avanti da tempo, subito dopo che Stauffenberg era tornato dalla Tunisia, dove aveva perso in un attacco aereo la mano destra, l’occhio sinistro e due dita della mano sinistra. Tornato in patria, vide quella personale e fisica mutilazione riflettersi sul volto della Germania, capendo che l’unica cosa giusta rimasta era andare in fondo a questa situazione, salvare lo spirito tedesco dalla morsa lucidamente pazza del burattinaio. “Sento il dovere di fare qualcosa per salvare la Germania. Noi tutti, ufficiali dello Stato Maggiore, dobbiamo assumere la nostra parte di responsabilità. Dobbiamo dimostrare al mondo, che non eravamo tutti come lui” (da una lettera indirizzata alla moglie). Il 20 Luglio 1944 la congiura poté avere inizio, e assieme a Stauffenberg, altri importanti ufficiali. Il luogo prestabilito ove compiere l’attentato fu la cosiddetta “Tana del lupo”, il quartier generale di Hitler a Rastenburg. Già alcune piccole divergenze avevano messo in forte discussione l’attuabilità del piano; il forte caldo non permise di far esplodere la bomba in un ambiente chiuso e di cemento, bensì in un stanza di legno con le finestre aperte, inoltre la valigia, contenente l’ordigno pronto ad esplodere, e posizionata dallo stesso Stauffenberg vicino ad Hitler, venne all’ultimo momento spostata pochi metri più distante e sotto al tavolo. Inutile a dirsi Stauffenberg, tornato immediatamente a Berlino dove avrebbe dovuto compiersi la seconda parte dell’operazione Valkiria, pronto a cantare vittoria, dovette ricredersi quando venne a sapere della non riuscita del complotto. Il Führer era ancora vivo e senza dare ampia scelta e possibilità ai traditori, li fece fucilare tutti e con essi anche le loro famiglie, facendo spargere le loro ceneri nelle fogne di Berlino.
Secondo alcune fonti, Stauffenberg, pochi istanti prima di essere fucilato alla schiena, alzò lo sguardo verso gli spettatori dell’alto comando e gridò: “Lunga vita alla sacra Germania!”. Sono sicuro che in quest’ultimo grido, il complotto non è fallito invano, e che ancora sia possibile udirlo, quel pensiero di libertà, nelle menti preoccupate dei soldati turchi che attendono un più dolce epilogo per loro e per il loro paese.
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