Animatori di tutto il mondo unitevi

Un colloquio in fase di termine. Le palme siciliane evitano al sole di entrare nella stanza; il caldo non è poi così soffocante. Matteo Busi, un ragazzo di vent’anni attende fremente la fine di quella riunione e il verdetto finale che i tre membri dello staff andranno a dare. Una settimana in quella specie di paesino, di villaggio deserto e senza neanche un cittadino. Gli unici villaggi al mondo che si popolano in piena estate; e ancora i soli che hanno ancora alti cancelli ferrosi e una cinta muraria come fossero nel Medioevo. Una settimana lì dentro come apprendista e Matteo Busi non aveva toccato né visto l’azzurro mare che faceva della Sicilia una meta sognata e pensata. I guardiani di quel villaggio non erano duri, non avevano una gran serietà per essere i padroni, tutt’altro. La loro fermezza stava nell’essere incredibilmente euforici e allegri; troppo in alcuni casi. Era un lavoro a contatto con il cliente, con persone e di tutte le età, accoglierli nella maniera più rassicurante e felice era di regola ma Matteo aveva notato che in quel lavoro quello che contava non era essere felici bensì una spietata competizione tra i vari giovani, come lui, che si contendevano il posto. Mai aveva visto una cosa del genere; divideva una stanza della grande struttura turistica con altri ragazzi che provenivano da diverse regioni della penisola. Dopo le estenuanti lezioni mattutine durante le quali dovevano ballare come un forsennato un’antipatica e odiosa sigla, arrivava il momento del pranzo. “se danno da mangiare questa roba anche ai turisti, ci rimangono secchi” aveva pensato Matteo dopo aver assaggiato per la prima volta l’insulsa cucina; consistenza di un misero rancio per soldati in guerra. Tuttavia, doveva mangiare se voleva vivere e avere quel posto. In seguito il turno del pomeriggio iniziava quasi subito. Altri balli, altre sigle, altre lezioni di scarsa importanza e sempre con lo stesso sorrisetto dei presenti che facevano finta di amare davvero questo lavoro. Anche i dirigenti e padroni avevano un qualcosa di strano. A parte lo strano raffreddore che colpiva tutti i capi dello staff, costringendoli a tirar su rumorosamente i residui con il naso, Matteo Busi aveva notato che in tutti i loro volti apparentemente energici e felici fuoriuscisse, di tanto in tanto, una smorfia di dolore e malinconia. Dopo arrivava l’ora della cena, poi dei balli, delle sigle e poi via a letto di buon ora. La simpatia che tutti i ragazzi mettevano in quei balli e in quella strana gioia era compensata dal fatto che poi ognuno avrebbe fatto la spia, su un possibile comportamento di qualcun altro, ai rispettivi padroni del villaggio. Si trasformavano come iene, leoni affamati che volevano vincere ad ogni costo, bramavano quel posto e si sottoponevano non solo alle spiate, ma anche, e soprattutto, a plateali e vergognose rappresentazioni di loro stessi cercando di farsi superiori agli altri. La cosa strana è che il velato risolino nelle facce dei dirigenti faceva capire che gli faceva piacere se si comportavano così; sleali dovevano essere, macchine per fare soldi e sempre contenti. Matteo aveva vissuto quell’esperienza nell’inconfessata speranza di arrivare al giorno del colloquio finale e ripartire immediatamente.

Come tutte le cose a questo mondo finiscono, e anche quel giorno era arrivato. Lì seduto, aspettava trepidante cosa mai avrebbero potuto dirgli. Cosa buffa è che non gli dissero niente riguardante quella settimana, né se aveva fatto bene il suo lavoro o se si era trovato a proprio agio. Non gli fu nemmeno detto quando avrebbe dovuto iniziare o se poteva iniziare. Lo stipendio fu in pratica tralasciato e i suoi dubbi non furono espressi se non in maniera molto soave e trascurata. Matteo Busi, da bravo giovane in cerca di un lavoro estivo chiese a quanto si aggirava approssimativamente la cifra dello stipendio; da seicento euro mensili, durante quel colloquio venne fuori che a tutti sarebbe spettato uno stipendio di trecento euro. Un ammanco non indifferente ma che non sembrò mettere Matteo e altri ragazzi in stato di allerta e agitazione. Ancora non sapevano se erano stati presi per quell’incarico e con la speranza di ricevere un e-mail al più presto ripartirono tutti per le loro destinazioni. Tutti con la gioia che si era a poco a poco spenta ma che non cessava di restare sulle facce dei dirigenti.

Aspettò. Aspettò una settimana ma niente. Ne aspettò due ma ancora non era arrivata nessuna e-mail. Quando giunse la terza settimana di attesa, il giovane Matteo Busi fu colto da un furente attacco d’ira e si mise a scrivere. Sapeva di non essere stato preso; era evidente. L’avrebbero già contatto se avesse ottenuto il posto. La cosa che lo fece più incazzare era sapere il perché non era stato preso.  Scrisse una lettera di quasi due pagine i cui diceva di sentirsi offeso da quel gesto di totale non curanza. Voleva sapere il motivo della sua esclusione e niente lo avrebbe fermato dall’ottenerlo, così le parole uscirono da sole, con azzeccato tono ironico e critico. Voleva che sapessero cosa pensava di loro e del loro lavoro ed era felice mentre scriveva perché sapeva che stavolta gli avrebbe tolto definitivamente il sorrisetto dalla faccia e quella strana e incomprensibile felicità. Quando, una settimana più tardi, ricevette la risposta da uno di quei capi e dirigenti, Matteo rimase stupito e ancor più deluso. La lettera diceva: “Ci dispiace che non si sia trovato bene ma non siamo noi che ci occupiamo di queste cose. Provi a contattare la segretaria! Le auguriamo una buona e felice estate”. Capì di aver perduto quella battaglia.

A tutti gli animatori turistici o agli aspiranti che si accingono a fare questo genere di lavoro, non lasciatevi fregare dall’apparenza. Ciò che si nasconde dietro una risata di facciata, sotto mistica contentezza, quella è la vera realtà. State attenti, siate spietati con chi vi offre lavori stagionali di questo tipo, ma la cosa più importante non siate disuniti. Non mostratevi agli altri come cani sciolti, solitari che puntano solo al raggiungimento e alla gloria personale. Siate un unico blocco, un unico braccio, un grande branco. Lavorate insieme nel pieno rispetto reciproco, almeno fra voi giovani e combattete contro le ingiustizie che possono venire a crearsi in un apparente villaggio di serenità, amore e gioia. È un lavoro che richiede sacrifici, sforzi e solo si opera insieme si può considerare un buon. Uniti per il sorriso dei turisti. Animatori di tutto il mondo unitevi.


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