Un sabato d’agosto

Un cinema aperto, in un agosto inoltrato. La gente fuori scherza, si diverte, parla respirando aria calda a pieni polmoni, tra un cocktail e l’altro e una sigaretta appena iniziata. Nessuno entra in quel cinema desolato. Le stradine appena fuori dallo spazio di cemento che circondano la piccola sala cinematografica e i locali, sono deserte. Un solo suono rompe il silenzio di quel sabato; a dire la verità, una serie di suoni lunghi e ritmati tra loro, con cadenza esatta ma se suonati in successione formano note. Queste ne fanno una dolce sinfonia mai udita prima, o udita ma solo di sfuggita e mentre tieni a mente quella dolce cantilena precedente, tutto sembra combaciare con quelle che ne seguono e non ti fanno perdere il ritmo.

Una moto passa in quell’istante. Rompe la perfezione delle note ma per pochi secondi, non appena il vile disturbatore si allontana per la discesa e tu puoi goderti il concerto gratuito. Eccone un altro di quei motociclisti incalliti che seguono la propria strada fregandosene e si perde il filo musicale. Niente d’irreparabile; la musica continua indisturbata tra la pietra vecchia e consumata di cinquant’anni fa. La sua voce intona la stessa musica di prima e si fa largo lungo la scoscesa viuzza. Mentre gli altri passeggiatori parlano e ciarlano ti senti assunto, predestinato ad ascoltare, a sapere come finisce quella sinfonia classica di cui ti sfugge il nome dell’autore, o non lo hai mai saputo ma qualcosa ti dice di conoscerlo e conoscere ogni pezzo di quello spartito diventa il tuo scopo primario, tanto importante da non accorgerti che sei in ritardo per il tuo tanto sperato appuntamento. Lo attendevi da tutta una vita, anche se non ti è mai sembrato saperlo e ti passa di mente proprio nel momento in cui guardi il tuo prezioso orologio. Te ne saresti infischiato di tutti quella sera o quella notte, se tutto avesse preso la direzione da te così minuziosamente ideata e immaginata per ore. E invece, imbambolato, assorto e ipnotizzato, come la statua del parco rimane ipnotizzata e ipnotica a ridosso del tempo e dello spazio, tu sei in quel momento.

Non credevi potesse succedere, ma dimentichi il tuo caro appuntamento e fino alle nove di quel sabato sera resti e non ti smuovi. Il piano procede per la sua strada come se non ci fosse una fine precisa; le mani del misterioso pianista cullano i tuoi pensieri tanto da non farti desiderare niente di meglio, niente di più caro e dolce, irresistibilmente placido e godurioso che quel solo strumento e una strada senza uomini.

Il brusio, il vociare si fa più intenso una volta superate le dieci. Bicchieri di birra scorrono lungo indecifrate mani prima di raggiungere quella la cui bevanda era richiesta. Ti unisci alla banda. Lasci quella sinfonia che sembra smorzarsi ogni volta che i tuoi passi si allungano e si avvicinano e per alcuni minuti, che diventano ore, non la odi più e sei già perso in chiacchere, appoggiato come un animale senza più vita, una volta passate le undici.

Tribuna libera, all’aria aperta di una serata in un’estate cittadina; tribuna politica, economica, etica, filosofica, sociale, uno spazio pieno di parole, discorsi che si allargano a suon di cocktail e birra, pregnanti e forti, incisivamente giusti o scorretti, potenti e sciolti allo stesso tempo, che non perdono un istante per scomparire chissà dove, tra una bevuta e l’altra. Richiami d’immagini passate e presenti, di notizie appena successe che rimbalzano da settimane e giorni senza sosta, tragedie scampate o prese come un treno in corsa. Anche fra quelle mura di carta tremante, quando la sera cala gelida e indisturbata, le stesse informazioni ti ripiombano contro, sopra il tuo corpo un po’ mandato e nei fumi della gioia artificiale del sabato. Non senti più quel magico pianoforte e solo urla di gente, sconosciuta o di tuoi conoscenti, compagni della sera, che urlano, imprecano, danno consigli e dimostrazioni sul da farsi, della notizia e delle prossime che verranno. Uno fra questi, sembra quasi un filosofo; spossato ma pronto a dire la sua, a menar le mani quando sente il cinguettio malinconico di una ragazza che, appoggiata al suo fidanzato dice -poverini. Mi fanno tanta pena. Ho visto le immagini in tv e ho pianto tutta la sera. Vorrei tanto aiutarli!- poi si riappoggia alla spalla stanca del ragazzo.

Il burbero si avvicina alla donna udendo tali parole e dice -eccone un’altra che della vita non ha capito proprio un cazzo-.

-scusa ma stai parlando con me?- chiede la ragazza, un po’ sulle sue, un po’ oca nel suo piccolo.

-appena succede qualcosa di catastrofico, non fate altro che dire la solita squallida frase di quanto vi dispiaccia, di quanto siete delusi, di quanto sareste disposti ad aiutare gli altri, vittime innocenti, ma continuate a ciarlare e restate sempre qui a non fare un cazzo. A rompere i coglioni-

Tu rimani silenzioso e ascolti. Il fidanzato non se ne cura proprio mentre la ragazza se ne esce elencando tutti i suoi studi sulla psicologia umana, sull’arte e l’esperienza di saper parlare con gli altri e per gli altri. Lo sbronzo profeta agita il bicchiere di birra lanciandogliene un po’ sopra i vestiti e in faccia, dove il trucco era rimasto preciso appiccicato fino a quel momento e ora si scioglie e cola. Risata generale. Lei si alza decisa a dare una lezione a quel maleducato e zotico ma questo la precede; un rutto che le arriva dritto in volto e lei resta di ghiaccio, in attesa della seconda risata generale che la fece fuggire da quel minuscolo spazio.

Ora il profeta della notte calda può fare la sua predica indisturbato -sapete cosa penso di questa faccenda? Che non me ne importa proprio un cazzo. Di chi ha sentito chi o cosa di chi ha visto i video sui telegiornali- altro rutto -io sono vivo. Voi siete vivi, noi tutti siamo vivi e vegeti e ora siamo qui a scherzare e a bere. Non è così? Se vi fosse importato veramente di quelle persone, andavate lì, sul posto, a dare una mano, invece di stare qui, sabato sera, a bere e a parlare di tutt’altro tranne che di quello. Non è cosi? eh? Non è cosi?-

Io, con altri, resto di stucco dinnanzi a quella lezione di vita. Alcuni applaudono altri scuotono la testa ma ridono mentre il profeta, che dio solo sa chi diavolo fosse, continuava con la sua predica -a voi non ve ne importa niente-.

-non è vero!- disse uno venendo fuori da un gruppetto di altre persone -stai dicendo solo stronzate, amico. A te non importa niente, sennò non faresti questo discorso senza alcun senso-.

-oh, e se a te importa qualcosa perché non sei li? Hai donato qualcosina dei tuoi preziosi indumenti, o dei tuoi miseri oggettucoli? Dì, lo hai fatto?-

Il ragazzo restò muto non sapendo che dire, imbarazzato dal silenzio che quell’affermazione aveva appena creato e il profeta sbronzo non fece altro che allargare le braccia come in segno di meritata vittoria, ridacchiando e rimandandolo a uno dei tavoli di qualche locale vicino dal quale era venuto.

-credete a me ragazzi. La verità è che noi siamo vivi. I morti sono e rimangono morti, niente può cambiare questo fatto. É la legge del più forte, della giustizia e della legge naturale. Chi muore se ne va, e chi è vivo, pensa a se stesso, alla sua pelle-

Un vecchio passando per li, a quell’ora tarda, aveva un mazzo di fiori freschi in mano. Procedendo a passo svelto fece in tempo a udire il profeta dire -La vita continua signori miei. Vivete e divertitevi. Di tempo per ora ne abbiamo a sufficienza-.

Il vecchietto passandogli davanti, non alzò nemmeno lo sguardo, né si fermò un secondo. Con voce sicura ma frettolosa disse -pensa per te coglione-.

Altra risata del profeta e dei presenti, ma ancor più amplificata. Tutti scoppiano a ridere fragorosamente riprendendo i bicchieri in mano, già scordati delle parole precedenti. É la birra che parla, ma tu resti lo stesso, forse l’unico in mezzo a quelli, a riflettere un secondo su ciò che è stato e su ciò che si è detto. Ma la musica di quel pianoforte riprende a suonare accompagnando nuovamente i discorsi e le risa, tu sei ancora una volta inebriato da quella sinfonia, e la vita continua.


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