Il corridoio all’ultimo piano dell’università è già affollato. Mancano pochi minuti alle nove, stanchi e frenetici studenti di lingue si accalcano per le rampe infinite del vecchio palazzo per raggiungere la sala prestabilita per l’esame. Luca è fra quelli, e seppur la materia possa non spaventarlo, sebbene sia una sua grande passione, forse la prima e unica, non mostra calma nei suoi movimenti. È impacciato, ha paura anche lui, e lo dimostra accendendosi la seconda sigaretta della giornata, tremante di freddo e di ansia, mentre altri hanno già in mano il libro di storia del cinema, ricoperto di appunti e sottolineature verdi che continuano per tutto il tempo a rileggere, a ripetere senza che ci sia una fine prestabilita. Esame di cinema; sembra non tangere il tema in se ma il fatto di studiare su di un libro, o più di uno, manda in pappa il cervello, ti snerva. Chiunque, fra quei ragazzi della sua stessa età o comunque vicini, ha visto un film in vita loro. Ognuno di loro è stato almeno una volta in un cinema, goduto il grande schermo e mangiato pop corn nel buio della sala, magari con amici, con i genitori o forse con la propria fidanzata. Una condizione, un compito quotidiano fatto con la più totale spensieratezza che non ci si rende conto di quanto possa essere duro e complesso fare un film, scegliere i personaggi, decidere la giusta trama o solo produrlo e distribuirlo.
Questo non sembra interessare la maggior parte dei presenti che studiano come se si trattasse di una qualsiasi altra materia mentre Luca ha un mondo dentro di se, una moltitudine d’immagini catalogate e impresse nella mente che la lettura di un testo non può che aiutare ulteriormente ad accrescere la sua curiosità. Una ragazza in particolare, ripete a voce alta ogni singola frase del libro facendo combaciare tutto con la parte successiva, e poi inizia daccapo un’altra volta, l’ennesima pena nel momento in cui ci si prepara a salire. Altri sanno già come disporre il proprio interrogatorio:
-Allora, quando mi chiede di ripetere un argomento a scelta, gli dico il Neorealismo e ci aggancio “Roma città aperta”- dice un ragazzo barbuto e mingherlino al compagno di studio che nel frattempo sta per ricadere in un sonno profondo ~Dopo, gli dico il film che più mi è piaciuto e basta. Se mi chiede altro, m’incazzo.
-Guarda che non ti chiede solo questo. Può farti altre domande. Magari ti domanda delle tecniche di ripresa.
-No, non mi deve rompere i coglioni- risponde il ragazzo, sicuro di ciò che dice, tanto da farsi solenne promotore della calma generale in mezzo a quelli presi dal panico che girano per il corridoio, instancabili, irascibili e nervosi ma fiduciosi che tutto ciò che diranno, alla fine dei conti, sarà una passeggiata. Sembra che nessuno prenda seriamente una materia come il cinema, abituati a vederlo dappertutto senza dargli vero spessore. È solo uno schermo più grande di un comune televisore, pensano solamente messo in una sala buia e a pagamento. Luca ascolta e sorride senza però porsi al di sopra, rimane modesto nella sua cultura pronta a saltare in ogni momento; del resto non si è mai troppo sapienti in una materia, che si tratti di un esame o di una semplice chiaccherata in un bar malfamato. Potrà sempre, in ogni istante, arrivare quello che ne sa più di te.
Il cinema è sempre stato un punto centrale della nostra quotidianità. Da anni, ormai, è nostro compagno di esperienze e attività ricreative; nei giorni piovosi o freddi, quando esce un film da tempo atteso e imperdibile o l’ennesimo capitolo di un’interminabile saga che sembra stupido e imperdonabile perdere, gettare al vento visioni precedenti e non vedere l’ultima fase di quella tetralogia spettacolare, fatta di luci, personaggi a volte anche strampalati, trame fitte, intriganti e attorcigliate, effetti speciali di ultima generazione e audaci colpi di scena.
Ebbene, il cinema possiede ancora, al suo interno, la matrice dell’inaspettato, della magia analogica o digitale, del colpo di scena e dell’imprevisto, ma nasconde qualcos’altro. Le sale cinematografiche chiudono, gli spettatori scoprono nuovi sistemi per gustare un film, buono o cattivo che sia, non c’è più quell’attrazione istintiva di entrare solo per il gusto di farlo ma è l’abitudine a prendere il sopravvento, l’attenzione solo per uno specifico film in mezzo a molti e non l’amore disinteressato di andare, sedersi, godersi la prima scena e cadere come in trance nelle ore successive, mentre i minuti passano e la storia diventa parte di te e tu di essa. Un’abitudine che andrà presto a scomparire e che, per ora, si rivolge al cinema solo come un punto di aggancio in una noiosa serata.
Anche in passato era così, eppure in maniera più gioiosa, divinatoria a tratti, formidabile ed eccitante. Un luogo d’incontro ricreativo, politico che con il passare degli anni ha trasformato l’aspetto quotidiano del semplice pagante che ne usciva soddisfatto.
Ora, più che il cinema a cambiare le abitudini e le visioni del pubblico, è il pubblico ad aver trasformato il cinema, modellandolo in base ai propri ideali, ai propri compiti e impegni. La gente passa, entra ma non ne esce più con la compiacenza e soddisfazione di prima, non più confusa o arrabbiata, perché un film può sprigionare ogni tipo di emozione umana. Ora lo spettatore va perché mosso da un fattore quotidiano, incapace adesso di sorprendersi e dire, tornando a casa “sono stato al cinema. Ho visto un bel film!”, bensì si limita a dire dove sia stato con apatica non curanza, facendo finire la macchina moderna e sempre verde del cinema, nell’ultimo piano di un vecchio museo di storia, circondato da altre invenzioni e abitudini divenute schiave dei consumatori e poi oggetto obsoleto da esposizione. Fra qualche decennio, se non prima, si parlerà di cinema come di una cosa in disuso, vecchia, passata e irrecuperabile, mitica e abbandonata.
E in quella sala del palazzo universitario, sede di lingue e letteratura, si parla di cinema e della sua storia. Dai primi minuti, in cui tutti gli studenti si ritrovano nel corridoio in attesa del docente, le parole cinema, film, attori, risuonano solo come attività mnemonica tra i presenti. Quelli che si accingono a dare quest’esame, si sentono sicuri di affrontare un facile interrogatorio e di uscirne puliti; Luca è eccitato, non vede l’ora di poter parlare di una cosa che da tutta una vita cova con instancabile amore e frenesia, con passione, la stessa passione che ora lo spinge a entrare in quella piccola aula per raccontare la sua esperienza di vita cinematografica. Quando il professore entra calmo e lento, si mette seduto spiegando come si svolgerà l’esame. È un genovese acuto e anch’esso, vero amante di cinema, con il quale Luca vuole confrontarsi e parlare ma non è ancora il suo turno. La lunga lista di persone è intaccata poco alla volta ma ci vorrà tutta la giornata perché possa finalmente sedersi difronte a quell’uomo maturo, ricoperto da una montagna di folti capelli grigi. Luca si siede assieme ad altri. Inizia l’esame.
Il metodo iniziale tramite il quale il professore inizia il suo interrogatorio era abbastanza semplice ma intricato al tempo stesso; da un argomento a scelta dello studente sarebbe poi passato a fare una domanda lui stesso partendo dall’ultima cosa detta dall’esaminato. Se iniziava a parlare del cinema moderno, era facile andare a discutere, in seguito, del cinema post moderno oppure dei cambiamenti che lo differenziavano da quello classico. Dall’epoca del muto si passava con facilità a quella sonora spiegando naturalmente tutti i passaggi e le innovazioni apportate. L’ultima domanda inerente a un film visto, e la sua sinossi, avrebbero stabilito il voto finale o almeno sarebbe bastato da conferma. Le prime persone che si sedettero su di quella sedia furono esaminate in estrema tranquillità. Le risposte sembravano tutte essere azzeccate sebbene ci fossero stati qui e le alcune incomprensioni.
Tutto prese una piega ben diversa quando una ragazza, sicura di se, cadde nel solito tranello dato dal troppo orgoglio e dalla sicurezza scaturita dalla troppa fiducia di una semplice e futile materia. Il ripetere uguale delle pagine del libro non aveva lasciato stupefatto il serio professore che, di certo, si aspettava una cosa del genere anche se il continuo ripetersi della “Golden Age” hollywoodiana e dell’epoca del dominio americano su tutto il mercato cinematografico mondiale lo aveva lasciato un po’ sonnolento e annoiato su quella cattedra di ferro. Tuttavia la ragazza non si era mai inceppata, non aveva ceduto nemmeno alle domande un po’ più complesse, come per esempio la differenza tra il film “Blade Runner” e il libro “Do the androids dreams of electric shep?”, dove c’era la possibilità, anche comprensibile, di non aver capito in tutto e per tutto il film o il romanzo, o entrambi. Ma la ragazza era una studiosa, si vedeva, e resse per tutto il tempo, fino ad arrivare al minuto finale. Il professore aveva appena preso tra le mani il suo libretto universitario e stava accingendosi a scrivere il voto quando pensò bene di farle un’ultima domanda.
-Qual è il film, tra quelli che ho suggerito, che le è piaciuto di più, che ha trovato più interessante?
La ragazza non ci pensò due volte e disse –“Effetto Notte”, è il mio film preferito.
-Bene, bene!- disse il professore –Allora mi dica di cosa parla. Mi descriva a grandi linee, la trama, anzi, incominci a dirmi il nome del regista e degli attori principali- la ragazza rimase perplessa, confusa, con le spalle al muro. Con voce flebile disse –Ma, veramente io non conosco il nome del regista.
Ci fu un fulmineo arresto da parte del professore che non seppe come reagire, ma rimase in attesa per quasi un intero minuto aspettando che la ragazza disse quel nome, fissandola con occhi inquisitori. Panico fra la gente del pubblico che guardava quella scena borbottando tra le poltroncine di legno parole e giudizi, ridacchiando o spaventandosi ancora di più.
L’esame procedette senza interruzioni fino all’ora di pranzo, quando si ritenne giusto fare una pausa per trenta, quaranta minuti, poi l’afflusso di gente tornò a invadere il corridoio bianco, simile a quello di una grande clinica privata, e la piccola aula. Fu strano, inaspettato, da parte dei vari presenti, specialmente di Luca, di come la saletta fosse più piena e partecipativa di prima; le voci di quell’infame domanda fatta alla ragazza, si erano già sparse tra quelli che prima erano rimasti nell’ozio più totale fuori dal luogo d’esame e che poi, invece, fecero la coda o restarono in piedi pur di sentire altre domande, pur di vedere quali altri errori, l’apparente bonarietà del professore genovese, avrebbe ricavato per mettere alla prova la preparazione di quegli studenti. Luca, come gli altri, si trovava nel mezzo della sala; era divertito, non poteva mostrarlo difronte a tutti, ma si copriva la faccia nascondendo un sorriso maligno.
Altre persone furono catapultate sopra la sedia di legno. Il ragazzo barbuto del mattino arrivò ma subito fu frenato da un sospiro amaro del professore che scosse la testa reclamando aiuti, alzando poi la testa verso il soffitto.
-Diciamo che non è proprio esatta la sua affermazione- fece il professore. –Se vogliamo essere precisi, Marco Ferreri non è proprio un fautore della commedia all’italiana.
-Si ma la sua filmografia è contemporanea con quella di altri registi della commedia all’italiana!
-Bè, e questo cosa vuol dire? Anche la “Trilogia del dollaro” è contemporanea della commedia all’italiana eppure non è commedia all’italiana.
Il ragazzo restò in silenzio qualche istante, -Ho formulato male ciò che volevo dire.
-Andiamo avanti che è meglio- continuò il professore, roteando tra le dita la biro.
Nel frattempo la sala iniziava a essere completamente gremita. Erano quasi le quattro del pomeriggio ed era strano vedere uno spettacolo così presto. Molti entravano con bustine di patate fritte, dei bicchieri di caffè presi alla macchinetta, dei tranci di pizza e bottiglie di coca cola o acqua. Si sedettero dove poterono, anche per terra se era necessario, e tra un boccone e una chiacchera ascoltavano e si godevano lo spettacolo.
-Bene, signorina. Vedo che le piace il cinema tedesco!- disse il professore.
-Oh sì. È molto diverso dagli altri.
-Certo, certo, ma mi dica con esattezza in che anni ha inizio il movimento espressionista tedesco.
-Ma anche per quanto riguarda il genere letterario?- domandò la giovane studentessa, un poco intimorita.
Il cinema segue di pari passo il genere letterario.
-Ok, allora diciamo che inizia attorno alla prima decade del novecento. Anni dieci, venti dl novecento-
-Molto bene. E quando termina, o meglio, quando inizia a destabilizzarsi questo movimento artistico?
La giovane non rispose subito ma cercò un appiglio da cui poter rispondere, poi, lampo di genio –Ah, sì, quando Hitler sale al potere.
-Anno?!
-1930- disse sicura e pronta.
-Non è esatto! Qualche anno più tardi.
-Allora, 1931
Scosse la testa fissandola, -Non ci siamo!
-Credo nel 32
Il professore alzò il capo che poco prima aveva abbassato –No, non è esatto. Facciamo una cosa, mi dica chi ha vinto la seconda guerra mondiale.
-L’Italia…. Forse, e… poi l’America e….
-Signorina- fece il professore –Riprendiamo a parlare esclusivamente di cinema che forse è meglio.
Un riso generale, sommesso fra i banchi e le sedie, ruppe quel silenzio imbarazzante e si proseguì.
Un ragazzo russo, sulla trentina, fu, per vari minuti, interrogato sulla cinematografia sovietica che il professore venerava come fosse una sacra reliquia, aspettandosi una lunga descrizione degli eventi che avevano portato a quel genere di cinema strettamente legato alla realtà, alla scena politica durante i primi anni dieci e venti del secolo scorso, pur sempre con qualche manipolazione narrativa e stilistica da parte dei primi grandi registi e autori russi. Il ragazzo non seppe dire niente lasciando in pieno sconforto il professore che solo dopo poche altre domande, ritenne giusto finire li. Il ragazzo si alzò, ma prima di uscire dall’aula fu fermato dall’ironico consiglio del professore che non si preoccupò di metterlo ancora un po’ in imbarazzo, -Si ricordi di vedere almeno una volta il cinema del suo paese la prossima volta.
Il ragazzo rise a denti stretti maledicendolo sotto quel sorrisetto amaro e pieno d’odio e rancore.
Insomma una giornata piena di sorprese che andò avanti fino alle otto di sera, quando ormai la sala si era quasi del tutto svuotata e una leggera sonnolenza aveva preso il sopravvento tra i pochi rimasti e il professore. Luca era uno di quelli ma non era stanco. Durante le varie interrogazioni era stato tutto il tempo seduto aspettando che il professore prendesse il sopravvento spiegando, con le parole di un esperto, cos’è che non andava in tutte quelle esaminazioni. Prima che anche Luca potesse avvicinarsi alla cattedra e iniziare la sua presentazione, il professore, già infuriato per aver perso cinquanta centesimi alla macchinetta del caffe, aveva ripreso fortemente uno studente chiedendo se tra i vari universitari, se ci fosse stato un vero cinefilo, pronto a rispondere con sicurezza, dotato di una certa cultura cinematografica e difficile da prendere in castagna. Luca era rimasto zitto ma sapeva che la persona che stava cercando era proprio lì in mezzo, si sentiva come un eroico paladino, un giovane profeta del cinema che avrebbe potuto salvare la situazione, essere la voce della verità. Quindi, pensò e ripensò da quale argomento potesse partire per fare una bella figura, per farsi vedere subito preparato. Quando toccò a lui, era eccitato come uno scolaretto il primo giorno di scuola.
Si avvicinò e si sedette. Il suo esame partì dai processi di produzione e da tutto il gruppo di collaboratori che servono a fare un film. Non si bloccò, era come un treno in corsa, dopo una breve introduzione aveva iniziato a parlare della società di distribuzione e produzione, aveva spiegato il concetto di “Coproduzione” arrivando poi fino alla fase di scrittura di un soggetto e di una sceneggiatura. Sarà stata la pesante giornata, il freddo o solo la tarda ora, sta di fatto che mentre Luca si accinse a descrivere il compito del direttore della fotografia, il professore fu colto da un principio di noia e stanchezza. Tirandosi un po’ su con la schiena sopra la sedia, interruppe di colpo il ragazzo e disse:
-Sa cosa diceva Orson Welles?
Luca fu colto da un dubbio, cercando e ricercando tra i suoi ricordi più lontani non riuscì a trovare un giusto concetto e fu costretto a dire “No”.
-Welles diceva che per scrivere un romanzo basta una penna, per realizzare un quadro basta un solo pennello, ma per fare un film c’è bisogno di un esercito intero- Guardando Luca con fare interrogatorio aggiunse, -Non vorrà mica farmi l’elenco di tutto l’esercito? Sono pur sempre le sette e mezzo.
Luca non poté far altro che annuire e stare al volere del professore il quale era stato così tagliente quanto chiaro che decise di interrompere quell’esame e congedarlo subito.
Uscendo dal vecchio palazzo con il voto impresso sul suo libretto, si sentì confuso mentre la delusione stava imperversando dentro di lui. Tutto quel tempo ad aspettare, avrebbe voluto parlare di più, fargli capire che poteva fare di più, che il cinema era la sua passione ma dopo la sua affermazione, la lingua si era trasformata in gelo e pietra, non aveva avuto il coraggio di dire altro. Sulla strada del ritorno pensò che se mai avesse incontrato Welles un giorno, lo avrebbe ammazzato; subito dopo, accorgendosi che Welles era morto e da un pezzo, capì che il suo spiacevole esame, non era stato per niente un episodio isolato di cinema, anzi per quanto ne sapesse Luca, il gesto stanco e annoiato del professore riassumeva in maniera chiara, quanto comprensibile, l’intera natura e significato di quel mondo fantastico e scandalosamente vero. Il cinema è come la vita, diviso a metà tra gioco e dovere, tra spensierato sogno e faticosa realtà. Quando il gioco finisce, inutile fare di tutto perché ciò non accada; la realtà è sempre l’ultimo capitolo.
“Il bello della zingarata è proprio questo: la libertà, l’estro, il desiderio. Come l’amore; nasce quando nasce e quando non c’è più, inutile insistere, non c’è più” – Il Perozzi (Philippe Noiret) in “Amici Miei.
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