A quasi un anno dalla magica avventura del Leicester City, trionfatrice su tutta l’Inghilterra dopo 132 anni di storia, la città di Perugia e i più alti esponenti della cultura e istruzione, rende omaggio al preparatore atletico, il mister, il coach, l’allenatore, come meglio preferite esprimere la carica istitutrice, l’uomo, Claudio Ranieri. A essere sinceri con voi, cari lettori, lo sport, e in questo simile frangente, mi rivolgo essenzialmente al Calcio, non è mai stata materia da me privilegiata; mai un giorno, dico uno, ho tifato una squadra. Sì, bè, a una partita sono andato svariate volte ma, non per mia colpa, tutto un fattore di atmosfera e mente, il mio cervello si è sempre estraniato quasi subito, basta che l’arbitro fischiasse l’inizio che nella mia testa altre figure, nuovi orizzonti si aprissero mentre accanto a me urla, tifo e vero amore. Insomma, se dovessi parlare del gioco del pallone con un termine attualmente usato, anche troppo, direi che mi fa altamente schifo, che preferirei andarmene in guerra invece che sorbire l’incessante battere dei minuti e dei secondi che sembra non finiscano mai, che diventino quasi interminabili. Si scherza naturalmente; sembra scontato dire che diventerei pure un vice capo ultra pur di non partire per chissà quale ultimo fronte. Diciamo solo che, a mio modesto parere, ci potrebbe essere qualcosa di più allettante di un match. Ma oggi, sette ottobre duemila e sedici, è una giornata particolare. Il brio e l’emozione che circolano per le strade accademiche della città invadono persino il mio incontentabile cuore, a tal punto che decido di unirmi alla folla che con il primo freddo mattutino, o diciamo anche il secondo o il terzo dato che sono già le dieci, si avvia verso il rettorato e i suoi colonnati. L’evento che a breve andrà a iniziare, prenderà vera forma all’interno dell’aula magna. Studenti e lavoratori, giovani o già fisicamente decaduti, stampa e carabinieri, già questi ultimi impettiti e rigorosi, affluiscono con frenesia e ansia avviandosi a occupare posto, ognuno bell’accoccolato su quelle comode e bianche poltrone che, nei minuti che restano, appropinquano il ritorno di una leggera stanchezza mista a sonno. Ci sono dei libricini sopra il tavolo di legno che succede alla porta d’ingresso, una specie di guida “sponsorizzata”, diciamo così, dall’Università di Perugia e che riporta le fasi salienti che andranno a susseguirsi con il procedere della festa.
Uso ignorantemente il termine festa in quanto nuovo, un novello, in questo genere di cose. È la prima volta che assisto a una “Laurea Honoris Causa”, anche con qualche dubitanza, poco interesse o falso giudizio, ma ciò che sta per accadere fra pochi minuti è un qualcosa di straordinariamente inaspettato. Quando l’ultima voce in sala chiede il silenzio, annunciando la partenza del Magnifico Rettore, Professor Franco Moriconi, dal piano principale del rettorato, assieme alla giunta d’illustri dottori, mi accingo a pensare, solo un istante, -ma che diavolo succede? Poi le voci che mi circondano, che dovrebbero diminuire, invece, proprio ora s’impazientiscono e si fanno più forti e incontrollate. A ogni singola persona che abbia almeno un elemento fisiognomico in comune con il CT Ranieri, alto, magro o con capelli bianchi, qualcuno dietro di me si agita e sente l’incontrollato bisogno di voltare il busto all’indietro e bisbigliare qualche parola all’orecchio del vicino. In questi casi non è mai la persona che ci si aspetta di trovare e per svariate volte tutti si voltano ma l’uomo che tutti attendono non si presenta mai, è sempre e solo un semplice uomo che cerca anche lui un posto dal dove godersi lo spettacolo. Ma andiamo, cari lettori, davvero credete che in una “Laurea ad Honorem” il diretto interessato compaia così, dal nulla, senza nemmeno rendercene conto? Non penserete davvero che quel coro di donne e uomini, da mezz’ora appollaiato in un angolo della sala, serva solo come semplice oggetto di bellezza? O che la stampa, le forze dell’ordine e centinaia di spettatori siano lì solo per caso? Io pensavo di sì, o meglio non mi sarei aspettato nulla di così importante o meravigliosamente traumatizzante. Quando un pianista, in fondo alla sala, inizia a battere i tasti del piano intonando una marcetta quasi marziale con il rombo dei coristi che subito dopo lo accompagnano, impettiti e diventati un tutt’uno con le note di quella sinfonia somigliante a quella di un matrimonio, ma molto più severa, tutti si girano contemporaneamente all’indietro. La luce chiara del mattino che entra dalla porta principale si fa scura e tutta la commissione entra. Momento d’instabile equilibrio, di perdita dell’orientamento attanaglia tutti i presenti per qualche istante; alla vista di quei personaggi ci si domanda, ma solo internamente, se non si abbia sbagliato sala, o cerimonia. Tutte le più eminenti cariche della medicina universitaria di Perugia, sorreggono sulle proprie spalle la stola bianca a macchie nere che ricopre la toga, sotto all’inconfondibile Feluca, il classico cappello che in queste occasioni sarebbe un vero e proprio oltraggio non indossare.
Mentre questi avanzano, capitanati alla testa dal “Magnifice Rector” e da un tale vestito da gendarme con una specie di scettro in mano, la musica e le voci con essa salgono ancora, ancora, ogni minuto sempre più in alto, sempre più forte e fortificante, dirompente. Capisco che non è una cosa di tutti i giorni. Una lunga sfilata di volti severi rivolti in alto e spalle dritte, che attraversano tutto il salone; dietro a queste presenze, questi ministri e sapienti, la figura impettita e, se devo dire la verità, anch’essa spaesata, di Claudio Ranieri che segue la scia con il viso di un confuso gioioso ma sempre sul pezzo che non si scompone e che segue la sua strada, un po’ come aveva fatto con il Leicester City. Un rituale che andando più avanti si farà sempre più interessante, intriso di antico. Con la mente ed anche con il corpo, ritorno a un’epoca lontana; rinascimentale, medievale, non lo so di preciso ma vedendo Ranieri passarmi a soli pochi metri intuisco che anche per lui è roba nuova. L’atmosfera cinquecentesca si smorza solo quando, all’entrata dell’eminente mister e della commissione, tutti si alzano in piedi e mettendosi le mani in tasca, al posto della spada da porre verso l’alto in segno di rispetto e forza, sguainano tutti il proprio Smartphone e via che parte la sfilata di Selfie e video; al posto di fiori di campo, una cascata di flash ricopre il personaggio dai bianchi capelli un poco grigiastri. Alcuni attraggono veramente la mia attenzione mettendosi leggermente di sbieco al passar di Ranieri e pur di fare un selfie da lontano, si storcono tutti come tanti molleggiati dilettanti.
Le personalità si siedono, e il rettore sull’alto trono mentre il cadetto Ranieri rimane in piedi e silente, per tutto il tempo della lettura in italiano da parte di un’esponente di quella casta, della descrizione della sua vita, della sua personalità e degli alti livelli d’impresa acquisiti e raggiunti nel mondo sportivo. La Lunga cerimonia che, secondo alcuni, doveva durare solo pochi minuti, si avvia a superare la prima ora, quando Ranieri è ancora in piedi difronte ai dottori e al Rector che ora parla con un solenne latino aumentando il silenzio tutto intorno.
Più che un evento di Laurea, gaudioso e lieto, sembra più assistere a un processo Kafkiano, dove tutti i saggi e potenti sanno la verità tranne il diretto interessato che resta muto per rendersi conto solo alla fine quale sarà la verità. Le arcate di cemento, collegate l’una all’altra con una serie di bastoni di ferro, aumentano questa sensazione proprio sopra la mia testa. L’attenzione mia, abbandona solo un secondo le parole del magnifico Rettore, stanco anche lui, a metà festa, di parlare quel latino pesante e intriso di un velato classicismo, e si posa sul gendarme un po’ gobbetto dietro di lui. Quel signore sulla sessantina, era lo stesso che, nelle ore che precedettero la cerimonia, aveva fatto in gran furia le rampe sterminate del mio dipartimento universitario, con il fiatone, appoggiandosi faticosamente al “braccia mani” mentre il suo ansimare diventava visibile poiché tutto ciò che non riusciva a trattenere, si esprimeva sul suo corpo e i suoi più che modesti vestiti in sudore. Dopo averlo visto entrare in un’altra ala del palazzo, il mio occhio lo aveva seguito fin dove lui era diretto; un tetro rifugio sotto piccole scale di pietra. Ora era lì, vestito come una vera guardia reggendo il pesante, almeno all’apparenza, scettro argenteo, rendendosi fiero e indiscriminato; non più uomo qualunque ma corporativa presenza prima di tornare a vestire abiti civili nel suo spogliatoio segreto.
Tutto procede come scritto sulla guida. Il mister parla per abbondanti minuti ripercorrendo tutta la sua storia, da quando, negli anni ottanta, aveva iniziato la sua carriera da allenatore, ai giorni in Spagna, in Grecia fino ad arrivare al grande trionfo inglese che l’ha consacrato come uomo di giusta precisione, saggio nell’allenare, corretto, che sa bene quello che fa, rimanendo nella sua modestia un gran signore pieno di saggezza. Tutti, io compreso, lo seguono in quel racconto e così anche gli illustri giudici. Poco dopo si riprende a parlare latino e tutto è pronto per la votazione. Una donna passa, di dottore in dottore, porgendo loro un’urna dentro la quale sono poste delle fave (ceci); bianche se a favore della Laurea, nere se contrari. Dopo di che, Ranieri, che era stato fatto allontanare in attesa del voto, si riavvicina al banco e tutti, seguendo il rettore, lo circondano con le loro nere toghe. Il professor Moriconi accenna altre parole latine, dando, di pari passo, spiegazioni in italiano su cosa debba fare precisamente. Gli viene conferita una pergamena, che poi poggia sul tavolo. Il libro sacro è posto sulle sue ginocchia, e li rimane fino a che il Rettore, anch’egli emozionato e stanco, non finisca la liturgia latina che, negli ultimi minuti, non riesce più a proseguire con l’originale linearità dovuta alla stanchezza che si fa sentire. Mentre alcune parole gli sfuggono di mano, qualcuno, nelle file posteriori, non riesce a trattenere una silenziosa risata seguita da un’affermazione simpatica, in tema con ciò che si sta assistendo: “Blindo la Supercazzola Brematurata, come fosse antani, con scappellamento a destra, dominus bobiscum blinda……”. Incapace di resistere, rido pure io.
L’anello regale gli viene messo al dito. Fatto alzare, Ranieri legge le ultime righe in latino procedendo alla conclusione, di cui se ne ha vera certezza solo quando il Magnifico Rettore udendo le parole dell’uomo difronte a se, allarga le mani e dice “Prosit”. Un grosso applauso circoscrive l’intera aula magna, ed io applaudo con gli altri sentendomi contento e ancora un po’ scosso per ciò che ho appena visto. Il fastoso e antico rituale continua a inneggiare la sua gloria con altro suono di musica e voci, fino al momento in cui anche questa cerimonia finisce e una folla di giornalisti e fan circonda Claudio Ranieri che ritorna a essere intervistato come in una solita e a lui quotidiana conferenza calcistica.
“Gratias plurimas tibi ago, Magnifice Rector, et vobis omnibus excellentissimis meis doctoribus Perusinis – Rendo Moltissime grazie a te, magnifico Rettore, e a voi tutti eccellentissimi dottori miei perugini”
“Una Laurea di questo genere è una cosa unica, anche perché, appunto, non fa parte del mondo del calcio. è bello e sono orgoglioso di questo. Ringrazio il magnifico rettore, l’università di Perugia e ringrazio tutti i perugini e non che sono venuti oggi, qui, in aula magna” – Claudio Ranieri.
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