
Nella scura notte di Ostia, tra il 1° e il 2 Novembre 1975, Pier Paolo Pasolini muore in modo brutale, cruentemente pestato in maniera inverosimile e il suo sangue cola dalle sue carni bagnando la terra accanto all’idroscalo.

Il volto tumefatto, la cassa toracica sfondata, segni e lividi pervadono il suo corpo smembrato senza più vita né voce. Nessuno lo ascolta più. La macchina che inferte l’ultimo colpo mortale, torna indietro e a retromarcia scorre nuovamente sopra il torace in un momento che sembra essersi arrestato e che torna all’indietro, infischiandosi delle leggi scientifiche e del normale percorso naturale. Ora Pier Paolo Pasolini è di nuovo in piedi, l’auto già lontana in retromarcia e l’Italia non ha saltato l’ultimo gradino marcio gettandosi nel vuoto tetro; lei è ancora li accanto al suo più umile servo che con passo da gambero ribatte la strada verso la sua macchina. Sale all’interno e va via anch’essa in retromarcia mentre gli alberi si muovono tutto intorno a velocità piuttosto velocizzata. Quella notte tutto è un continuo voltarsi e ripercorrere all’indietro il tragitto verso la città eterna, verso Roma dove il regista scrittore ha la sua casa e sua madre che si alza dal letto, lo saluta e va in cucina. La donna riprende i piatti, li posa sul lavello ritira fuori dal buco del lavandino pezzi di carne, pomodoro e spaghetti e imbratta ogni stoviglia a portata di mano ricreando dopo solo pochi secondi, un bel piatto di carne e una fumante amatriciana domesticamente speziata. Cammina indietreggiando e rimette le vivande in tavola dove la tovaglia prima è sporca e poi miracolosamente linda e pinta. Pier Paolo si siede e perfino la madre. Si guardano sbattendo affrettatamente le palpebre, ogni gesto convulso rimette di un secondo, un minuto un’ora indietro l’orologio sopra la mensola con i bicchieri e madre e figlio mangiano e parlano nelle ore più strane del paese.
Ogni cosa che fa, era già stata fatta e da quel momento non fa altro che rifarla all’indietro arrivando sempre a lavoro iniziato e poi mai compiuto. Legge De Sade ma le pagine scorrono da destra verso sinistra. Non siamo in Giappone! Ma no, ve l’ho detto, è il tempo che scorre all’indietro. Gira la scena finale di “Salò e le 120 giornate di Sodoma”, poi gira la penultima scena, poi la terz’ultima, la quart’ultima e via discorrendo fino alla primissima stesura del copione, al primo giorno in cui la lettera della macchina da scrivere riprende il suo inchiostro dalla carta porosa ed è solo un’idea nella sua mente; poi neanche più quella. Gli scritti corsari? Il Romanzo Petrolio? Rientrano tutti nella sua testa dopo essere stati già su un pezzo di carta, dopo che le stampe, e i giornali avevano pubblicato ma ogni macchinario segue ancora il tempo dietro, tempo già passato che torna ad essere presente, lontano dalla visione futura; un’utopia. Ora è l’inizio del 1972. “Il fiore delle mille e una notte” e “I racconti di Canterbury”. Il “Decameron” e siamo già al 1970. La Trilogia della vita, con tale nome andranno ad essere definiti questi tre film, è ormai un ricordo mai nato. Gira il documentario “12 Dicembre” narrando gli eventi della strage alla banca dell’agricoltura di Milano e dopo c’è la vera strage quel 12 dicembre e prima di quello niente, buio. La fine degli anni sessanta e l’Italia sazia del BOOM e poi un pochino meno e meno ancora; libera dai loschi personaggi della politica che tormentano Pier Paolo.

“Medea” con la Callas e poi è un film ancora da iniziare, la Callas non c’è. Pasolini si da ad altro. Scrive per giornali e riviste, si interessa alle lotte operaie e i malintesi della politica. Dopo ascolta per la prima volta tali eventi. Gira “Il vangelo secondo Matteo” nel ’64 e scrive “Poesie in forma di rosa”. Nel ’62 esce uno dei suoi lavori migliori, “Mamma Roma” ma dopo si accorge di non averlo mai fatto e il numero di denunce contro di lui che era salito a 24, scende vertiginosamente a 22, 21, 15, ecc. Successivamente inizia e pensa altri saggi, sceneggiature e romanzi, come, per esempio, “Una vita violenta”, “Le ceneri di Gramsci”, “Ragazzi di vita”. Lavora assieme al suo grande amico Franco Citti ad “Accattone” poi, anni dopo, incontra e conosce Franco Citti e più tardi ancora, Pasolini non sa nemmeno che esista un uomo di Citti. Conosce Sandro Penna, poeta perugino che aveva collaborato tutta la vita assieme a Pier Paolo ma in quel frangente, quando le mani si stringono, è come se non si fossero mai visti e conosciuti. Anni sessanta, anni cinquanta e inizio di essi. Pier Paolo vede Roma la prima volta ma quel treno va sempre all’indietro, e ciò che prima poteva essere Lazio, ora era Umbria, Emilia Romagna. Torna indietro; torna alla vita da giovane studente degli anni quaranta, quando vive a Lugano, quando viene denunciato per atti osceni in luogo pubblico, quando confessa con carta e penna la sua omosessualità. Al momento in cui viene a conoscenza della morte di suo fratello nelle fila partigiane e a quando lo vede partire per schierarsi dalla parte dei ribelli del regime, Ottobre 1944. Riuscito a nascondersi a Casarsa, fugge dalla deportazione e si arruola nell’esercito italiano attorno al 1942. Poi torna in Friuli dove coltiva e inizia le sue prime esperienze letterarie. Frequenta il liceo, si sposta a Sacile, torna a Casarsa in Friuli. A tre anni, con la famiglia si sposta a Belluno, poi a Conegliano.

Nel 1923, all’età di un anno, sebbene piccolo e in fasce man mano che il tempo lo risucchia, prima che da Parma torni a Bologna, si allontana dalle braccia di sua madre e fa due metri all’indietro trascinando le sue piccole gambette e rimane fisso con lo sguardo, lo stesso sguardo che ha poche settimane dopo essere venuto al mondo. Uno volto penetrante che scruta rivolto al remoto e surreale futuro che da adulto massacrato in una spiaggia deserta di Ostia lo ha riportato nella culla d’infante. Anche da lì sente il dolore della sua terra che già ha descritto ma che non è riuscito a salvare; forse a cambiare. Il flusso di corrente maestosa che lo riporta, nudo, nel corpo di sua madre, gli permette di rivivere tutti quegli attimi, quel sapore di vita e di gioia; un flusso di paura e sangue che appare però ormai lontano. Guarda per un istante le sue due madri, quella domestica e l’altra fuori dalla finestra. Il 5 Marzo 1922 non nasce Pier Paolo Pasolini.
Anche all’indietro la sua vita appare musicale, straordinaria, oscura e cosciente di aver detto detto qualcosa d’importante.
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