È passata una settimana dalla scossa più forte degli ultimi trent’anni. Nonostante gli 80 chilometri che separano Bastia da Norcia la potenza del movimento tellurico si è sentita tutta. Ci sono stati danni pure qua e un piccolo manipolo di persone è stato evacuato per il rischio crollo di due ciminiere di un vecchio impianto industriale a ridosso del centro. Nulla rispetto a ciò che è ora la situazione tra quelle montagne ferite.
Il mio legame con quelle zone e con Norcia in particolare è basato sul cibo -le penne alla norcina sono tra i miei piatti preferiti – e solo con l’università ho conosciuto amici originari di quelle zone. Quest’estate, dopo tanti anni, ci sono tornato per qualche ora e nonostante fuori città si sia consumato un fatto spiacevole -ho tamponato un tale che veniva da Visso, capita- dentro le mura ho potuto ritrovare la serenità giusta per superare il trauma della lamiera incidentata. Oggi, decine di migliaia di persone hanno vissuto un trauma infinitamente più grande. Case e paesi non esistono quasi più. Uno squarcio lacera i monti a simbolo della violenza della terra.
Da umbro scrivo queste poche parole per ricordare a chi pensa di avere perso tutto che non è solo, come non lo erano Nocera Umbra, Foligno e la stessa Norcia nel ’97. Fortunatamente questa volta nessuna vita è stata spezzata.
L’importante è non smettere di pensare al futuro, come hanno fatto gli imprenditori norcini con la creazione di I love Norcia, per rilanciare l’economia della città. Se l’economia si ferma la città muore. Ma Norcia è rinata più volte.
Nonostante gli anni impiegati le ferite del ’97 si sono rimarginate e lo stesso succederà per questo nuovo, e chissà quanto lungo ancora, sisma.
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