Not their President!

Non ha ottenuto la maggioranza dei voti popolarti, è vero. Ma ha comunque vinto, e di molto, secondo le regole che garantiscono la rappresentanza dei singoli stati dell’Unione. E’ il gioco democratico. Si vince e si perde. Non si può non accettare il risultato della competizione perché sgradito.

E’ altrettanto democraticamente giusto che si possa protestare e manifestare tutto il proprio dissenso. Il dissenso è sano e meravigliosamente democratico. Non va sopito o annichilito. Magari in maniera pacifica si fa più bella figura, giusto perché ancora il nuovo presidente non ha nemmeno messo le sue penne sulla scrivania dello Studio Ovale. Che si dia a Trump il tempo di fare di qualcosa. Forse la sua prima azione dopo l’insediamento darà motivazioni più solide per dargli contro con vigore. Ma come molti, mi auguro che non ci sia molto da potergli contestare in futuro.

Protest against President-elect Donald Trump in Los Angeles, California

In un grande paese e complesso paese come gli Stati Uniti le proteste e le rivolte ci sono sempre state. Siano violente e pacifiche, hanno caratterizzato la vita di moltissimi americani. Spesso sono state spinte da ideali nobili, altre volte dai più beceri istinti umani. Ultimamente anche dalla crisi economica.

Nel 1920 dopo aspre e dure battaglie le donne americane riuscirono ad ottenere il diritto di voto in tutta la federazione dopo proteste in tutto il paese. La mobilitazione, spesso sedata con la violenza, ha permesso l’inizio dell’emancipazione femminile.

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Dopo la Seconda Guerra Mondiale prese vigore il Movimento per i Diritti Civili degli Afroamericani con l’obbiettivo di porre fine alla segregazione razziale, fortemente diffusa negli stati sudorientali del Paese. La battaglia fu lunga anni, se non decenni. Caratterizzata da piccoli gesti di sfida alle leggi razziste compiuti da singoli uomini e donne in varie città, come dalle manifestazioni, per lo più non violente, di massa. Simbolo di questo movimento era ed è il Dottor Martin Luther King, che predicava metodi pacifici per porre fine alla segregazione. a_flashback_selma_150304.jpg

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Nel 1967 una pacifica ed oceanica manifestazione contro la guerra del Vietnam non è sfortunatamente servita a niente. La guerra finirà nel 1975, dopo 20 anni di combattimenti.

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Due anni dopo, in seguito all’ennesimo sopruso della polizia newyorchese, è scoppiata la rivolta della comunità gay. Era il 27 giugno 1969 e la retata nello Stonewall Inn ha dato il via ad un cambio radicale negli obbiettivi della persone omosessuali. Non più semplice e disgustata tolleranza, ma rispetto.

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Nel 1992 a Los Angeles esplode il conflitto etnico. Sei giorni di scontri. Cinquantaquattro morti. Il casus belli fu l’assoluzione di alcuni poliziotti ritenuti responsabili del pestaggio di un tassista afroamericano, ripreso da un videoamatore che trasmise il nastro alle reti televisive. Allo scontro tra la comunità nera e quella bianca si aggiunsero le comunità asiatiche e latine, molto presenti nei sobborghi di Los Angeles. In quei pochi giorni il disagio sociale di quelle persone che erano state escluse dal sogno americano è esploso con ferocia innescando una enorme faida razziale.

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La storia americana è piena di rivolte e sommosse accese da fatti di cronaca. Persino l’ultima presidenza di Obama, il primo presidente afroamericano, ha visto un susseguirsi di sollevazioni popolari. In particolare è stata la comunità nera ha insorgere più volte, in particolare contro le forze dell’ordine, responsabili a volte di un uso eccessivo della violenza. Negli ultimi anni la lista è incredibilmente lunga: Ferguson; Baltimora; Milwaukee; Charlotte; e la lista andando indietro nel tempo si allungherebbe a dismisura.

Ma negli Stati Uniti non ci sono solo rivolte razziali od esplosioni di odio e violenza incontrollate. Una delle più grandi proteste è scaturita infatti dai gravi squilibri economici che la crisi del 2007 ha generato e per protesta contro le grandi banche e la finanza mondiale in generale. Nel 2011 nasce un movimento fortemente critico nei confronti dei colletti bianche di Wall Street. Occupy Wall Street ha bloccato e paralizzato il centro del mercato finanziario globale chiedendo la fine delle disuguaglianze economiche. Il risultato però è stato solo quello di ottenere una grande risonanza globale attraverso i media e i social network.

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Proteste e dissenso sono il sale della democrazia. Non le banalizziamo.


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2 risposte a “Not their President!”

  1. […] 45 non ha fatto in tempo ad insediarsi che le città sono scese in piazza per protestargli contro (2,3). Il suo mandato è iniziato col botto: Muslim Ban, fuori dall’Accordo di Parigi per […]

  2. […] 45 non ha fatto in tempo ad insediarsi che le città sono scese in piazza per protestargli contro (2,3). Il suo mandato è iniziato col botto: Muslim Ban, fuori dall’Accordo di Parigi per la […]

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