La dura battaglia tra Freddy Hillcocks e Paul Bellamy, due colleghi di lavoro in uno studio finanziario nel centro della grande mela, era iniziata ormai da mesi, ma solo nelle ultime settimane il fervore e l’odio nei due individui era arrivato a livelli immaginabili. Si conoscevano da sempre. Da quasi vent’anni. Erano entrati a lavorare all’interno di quello scrigno di vetro tutti e due nello stesso periodo. Uffici separati, un lungo corridoio tra altre scrivanie li teneva a distanza ma non si erano mai limitati a semplici sguardi e saluti formali. Devo dire che tra loro si era instaurato un serio e duraturo rapporto di amicizia, anche se rimaneva solo una cosa da consumarsi entro quell’orario prestabilito. Non appena quella fatidica campagna elettorale aveva preso avvio anche Freddy e Paul ne risentivano gli strascichi; Pensieri e ideali che andavano a contrastarsi e che si gonfiavano ogni giorno di più. A soli quattro giorni dall’ultima votazione che avrebbe stabilito in modo definitivo le sorti del paese, in quell’ufficio, tra le sedie di plastica e il profumo stagionato di chiuso, la tensione era febbrile.
Freddy – Ciao cazzone!
Paul – Buongiorno merdina!
E poi all’ora di chiusura
Paul – A domani frocio
Freddy – Se ci arrivi rincoglionito.
Paul – Attento che se non ci arrivi tu a domani la consolerò io tua moglie.
Questa era diventata la normale routine nel posto di lavoro. Fino allora tutto apparentemente tranquillo, goliardico oserei dire, ma più le settimane passavano più Freddy non vedeva il leader repubblicano solo come una minacciava bensì come un vero virus, che si era per troppo tempo propagato per tutto lo stato, in ogni parte del paese. Più la resa dei conti si faceva vicina più Freddy captava del marcio anche in Paul e non gli permetteva di vederlo come una persona normale.
Freddy – Tu sei pazzo. Non posso credere che lo farai.
Paul – Senti, Freddy, queste sono cose che non ti riguardano. Fatti gli affari tuoi. Chi ti credi di essere? Il giusto tra giusti?
Lo sbaglio di Paul fu quello di confessare a Freddy per chi avrebbe riservato il suo voto alle primarie. Una mossa stupida ma ingenua e comprensibile allo stesso modo, che Paul non avrebbe mai pensato potesse portarli entrambi in un baratro senza fine. Freddy disse “Hillary Clinton”, con un tono così superbo che veramente lo poneva in uno stato di completo raziocinio, come se fosse un lasciapassare per un mondo migliore, surreale e mistico. Paul non credeva davvero che ciò che avrebbe detto sarebbe stato un coltello piantato nella carne dell’amico seduto dinanzi a lui.
“Donald Trump”, disse Paul. Freddy era quasi paralizzato e ciò che gli disse in seguito non era tanto per il voto in se, quanto per l’origine che Paul aveva, per l’etnia che si portava dietro. Poteva sembrare Un cittadino americano, o almeno nord europeo, a tutti gli effetti, in realtà la sua famiglia proveniva da una lunga stirpe d’ispano-americani che nel corso dell’ottocento erano arrivati negli stati uniti, avevano prosperato e procreato e lavorato così a lungo che ormai si sentivano saldamente legati a quell’esistenza. Tuttavia Paul non si curava di ripetere a uno sconosciuto tutta questa storia, naturalmente era fiero del suo retaggio nascondendolo tra i capi ben stirati. Ecco perché Freddy, che invece si riteneva uomo bianco razionale, senza macchia e senza peccato, non sopportava l’idea che il collega votasse proprio la persona, il simbolo di chi invece voleva bloccare quel tipo di migrazione verso il nord.
Freddy – Tu non sei normale, Poly. Devi farti curare. Come fai? Come fai solo a pensare di votare quell’essere? Uno che basta che apre la bocca che si capisce subito che dice una stronzata. Tu lo voti e lui si scontra proprio con i tuoi interessi, con il tuo modo di vivere, di essere. Come fai a non capirlo?
Paul – Io non riesco a capire cos’hai che non va. Sarò libero di votare chi mi pare. Se lo faccio vorrà dire che lo ritenga giusto.
Freddy – Perché non mi dai ascolto? Lui è un razzista, un pazzo. È stato definito come un probabile Hitler, come fai a non essere solo terrorizzato dal fatto che possa assumere il potere? Ragiona.
Paul – Ragiona? Non basta essere donna e dire la cosa più banale per diventare la persona più giusta per il posto. Tu voti quella li, ma sta attento a non fidarti troppo di quello che dice.
Freddy – Lei non va in giro ha dire che i messicani portano violenza e malattie o che voglia costruire un muro. Ma dove siamo? Ancora nel ventesimo secolo? Apri gli occhi.
Paul – se è per questo dice anche altre cose. Tu lo giudichi solo per quella cosa ma sai cos’altro dice? No, scommetto. Perché tu vedi solo il marcio del mondo. Molti altri lo voteranno e non solo per queste quattro stronzate che tu ignorantemente mi stai citando. Veramente credi di essere un paladino della giustizia?
Freddy – Io sono solo un semplice elettore che sa chi deve votare .
Paul – E io sono un altro. Perciò non t’immischiare nelle mie scelte!
I buoni valori di Freddy Hillcocks non riuscivano a farsi strada tra quelli rigidi e inespugnabili di Paul che continuava a chiudere ogni volta il discorso senza cedere a uno scontro. Freddy continuava a punzecchiarlo. Ogni mattina, prima di sedersi alla sua postazione, passava accanto a Paul e con fare maldestro lo rimproverava. Ogni cosa che Paul faceva, d’ora in avanti, diventava un pretesto per Freddy un buon motivo per litigare e per finire sempre sulla solita discussione.
Il giorno prima di quell’8 Novembre, Paul si avvicinò a Freddy. Erano in pausa e stavano bevendo un caffè. Non si erano parlati per un po’ di giorni così Paul cercò di rivolgergli parola. Appena fu a un metro di distanza dal collega, gli allungò la mano in segno pacifico e disse:
Paul – Freddy? Che vinca il migliore!
Freddy si girò. Guardò la mano di Paul e ne rimase quasi disgustato.
Paul – Dai, non mi dire che ora non mi rivolgerai più la parola. Di qualcosa.
Freddy – Cosa vuoi? Io non mi abbasso a parlare con quelli come te.
Paul – Non ti senti solo un po’ ridicolo?
Freddy – Per niente. Io so quello che devo fare mentre per te è solo uno stupido gioco. Io amo questo paese mentre a te sembra che non te ne freghi un cazzo.
Paul – Non voterei se non me ne importasse un cazzo, non credi?
Freddy – Tu credi che t’importi qualcosa, ma la verità è che tu e tutti quelli come te vivono continuamente sulle spalle degli altri. Ve ne fregate del resto, a voi interessa che siano gli altri a decidere per voi. Vi fate fregare dalle parole di gente che non ha il minimo rispetto. Voi non pensate alle conseguenze.
Paul – Va bene. Forse credo sia meglio chiudere qui la conversazione. Ci vediamo.
Paul sta per imboccare la porta d’uscita ma Freddy lo richiama invocando un pubblico processo tra gli sguardi curiosi e allibiti dei presenti che guardano e si eccitano.
Freddy – non sapete stare al gioco. Te ne vai. Scappi. Hai paura di dire la tua, eh. Torna qui e dimostra di avere ragione, non fuggire come avete sempre fatto. Appena c’è un problema nel vostro piccolo siete già pronti a mollare ogni causa e andare dove tira meglio il vento.
Paul – Che vorresti insinuare con ciò?
Freddy – che avete perso la battaglia e già lo sapete. Quel pazzo non salirà al potere e tu non ti rendi conto di essere salvo perché sei troppo stupido e ingenuo. Ma poi, che parlo ancora a fare?! Questo è un problema che riguarda gli Stati Uniti, il nostro paese. Era scontato che un ispano-americano votasse per Trump, non avete cervello per capire la situazione. Siete tutti identici. Menefreghisti e imbroglioni. Una razza inferiore. Non meritereste nemmeno di votare.
La fine di questa discussione fu alquanto scontata; Paul si scagliò con tutta la forza che poteva contro di Freddy che cadde a terra e Paul sopra di lui. Calci e pugni, strilla, rimbombarono per tutto il locale, mentre la gente cercava di districarli. Alla fine furono presi stretti, uno da una parte e uno dall’altra, continuando a scannarsi a suon di offese e maledizioni; anatemi talmente forti e feroci che riecheggiarono persino dopo che furono trascinati fuori e lì finalmente divisi e allontanati.
Da quel momento le ore trascorsero nervose in tutti gli stati del paese. Le urne furono aperte e gli elettori poterono andare a votare a frotte fino a quando non venne il momento di chiuderle e passare così allo scrutinio finale. Il leader democratico e quello repubblicano avrebbero provato lo stesso sconforto in quegli istanti d’attesa nauseante, così come la stavano provando Paul e Freddy e assieme a loro tutta l’America. Era sicuro, certo, che il prossimo a varcare le soglie della Casa Bianca fosse stata la signora Clinton. Gente per le strade, nei locali, nelle case, non faceva altro che ripetere il nome del già scontato vincitore. Il primo presidente donna a governare gli Stati Uniti poteva superare ogni pregiudizio, e anche chi aveva votato per l’altro, alla fine, avrebbe potuto accettarlo. Invece, colui che ne uscì vincitore, superando le previsioni, fu proprio il leader repubblicano; l’odiato e amato Donald Trump. Mazzata.
La reazione dell’intera popolazione ancora prevale il quotidiano e fa parte della realtà. I sostenitori “Trumpisti” al settimo cielo. I democratici fedeli alla Clinton e al suo programma, riversati per tutte le strade e in molte città, protestando e creando disordine. Vere lotte all’aria aperta, con cortei, barricate, scontri armati, morti, feriti. Dilaga la violenza e si rompono gli argini del buon senso.
In questo confuso marasma, nel panico più completo, Freddy è dispiaciuto e desolato, seduto su di un marciapiede sotto un grattacielo notturno, unico spazio oscuro di quella città, mentre tutto il resto illumina a festa il faccione del nuovo padrone servito e servitore. Lacrime che solcano il volto e Paul, l’amico ripudiato, che torna da lui con le mani nelle tasche. Lui non è felice. La sua faccia resta seria fissando Freddy esausto e sconfitto, il quale, subito dopo aver intuito quella presenza alle spalle, si volta e guardandolo dal basso fa:
Freddy –Almeno la Clinton era più carina!
Paul sorride e guarda la città illuminata che si sparge ai suoi occhi.
Freddy – Dimmi la verità, Paul. Perché lo hai votato? Solo questo voglio sapere.
Paul – Per vedere se vinceva veramente.
Freddy – Bene. Ora che ne sarà di noi?
Paul lo afferra per un braccio e lo tira su dalla strada lercia.
Paul – Facciamoci una birra va!
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