La vera storia di Babbo Natale

La storia di babbo natale? È una parola. Tanti ne hanno scritto e ne scrivono, sulla figura imponente di questo fantomatico omone che solo a mezzanotte parcheggia la sua slitta trainata da renne, scende giù per i camini delle case e lascia ogni sorta di doni. Hai fatto il bravo? Sei stato un bambino ubbidiente? A chi importa ormai! Schiavi del consumismo sono anni che facciamo ai bambini questa domanda senza domandarlo mai a noi stessi. Ancor più spiacevole sarebbe farcela da soli. Sono stato bravo? Merito un regalo? Dopo un’attenta riflessione scopriremmo che forse non siamo poi migliori di altri, specie di bambini che, se non siano tra le truppe islamiche, non hanno ancora avuto il tempo di fare del male in maniera irreversibile. Ma è comunque uno di quei rituali che fa bene ogni tanto, almeno una volta l’anno, ripetere. Dopotutto, Natale, festa venduta al consumo anche troppo trasgressivo, ma è pur sempre una di quelle festività che ci ricordano che possiamo essere ancora buoni. Bisognerebbe esserlo sempre, ma è quasi impossibile per un essere umano essere costantemente, ogni giorno, brave persone. Esserlo veramente una volta l’anno ci fa sentire ancora ben voluti e accetti da chissà quale disegno o struttura superiore alla nostra. Da ormai adulto posso vedere nei visi di quei piccoli uomini, bambini in fremente e concitata attesa, la vera gioia, un’emozione che raramente vedi in altri momenti. Nemmeno a un compleanno la tua irrefrenabile contentezza è così visibile e infettante. Vedendo tali emozioni non posso dimenticare certo di quegli anni in cui la felicità di un intero anno trovava il suo apice in quel solo giorno.

menu-tipico-napoletano-della-vigilia-di-natale-come-tradizione-comanda

Se torno indietro di anni ancora ricordo la lunga strada buia e selvaggia, immersa nei campi, che separava casa mia da quella dei miei parenti materni. Il giorno di ritrovo era sempre la vigilia di Natale, per me più importante dello stesso giorno di Natale che, così come oggi, lascia sempre in me solo l’amaro del pranzo e la depressiva inquietudine tra un sonnellino sul divano e un ennesimo brindare a non so che cosa. La Vigilia, quella si che era bella; aveva in se l’aria di una piccola festa prima di quella più grande ancora in attesa, e nello stesso tempo si rivelava essere la più piacevole, forse perché non c’è festa senza una buona pappata, e non c’è vigilia senza una cena solo a base di pesce, così com’era di tradizione in quella casa. Spaghetti allo scoglio; una teglia enorme che occupava mezzo tavolo e infinite mani, forchette e cucchiai a grattare fino al fondo di quel tegame. Poi cocktail di gamberi e aragoste, anche se erano solo astici per economia, però da bambino qual ero mi piaceva pensare che in quella casa si spendeva sempre più per il cibo. Alla terza portata di dolci, non mangiavo quasi più. Non potevo. Nello stomaco c’era solo il borbottio che annunciava l’ansia che saliva in me, la speranza di poter vedere quel personaggio misterioso. Il rituale finale, in quella casa, giungeva sempre con un offuscamento delle luci del salone. Mamma, zie e parenti tutti chiedevano ai più piccolini di rifugiarsi nello studio grande, vicino ai due bagni. Ci chiudevamo lì dentro, sorvegliati naturalmente da un adulto collaborazionista che, piuttosto che calmarci, ancora di più incrementava in noi la voglia di sfondare quella porta e abbracciare il simpatico vecchione. Ma tutto avveniva nel più rigoroso silenzio e il caos non era certo all’ordine del giorno. Un campanaccio risuonava; era il segnale di uscita. L’adulto si affacciava sul corridoio e appena ne arrivava un altro si faceva ripetere il segnale, quello di aprire o no la porta. A un altro segnale convenuto, la libertà si faceva vivida nei nostri occhi e arrivando nel salone la zia annunciava del suo passaggio. Lì era veramente la confusione. Uno di quegli adulti chiedeva “Ma chi è passato? Ha fatto il bravo?”. Un altro invece “Corri, corri, che è passato Babbo Natale”. Un altro ancora diceva “Guarda che ti ha portato Gesù bambino! Sei stato un bravo bambino!”. Signori, signori, pensavo tra me e me. Mettetevi d’accordo. È un babbo o un bambino? È Gesù o un suo grasso sottoposto? Ci sono o no quest’ostia di regali? Ditemelo che mi regolo.

In tutto questo schiamazzo, che finì col comprendere solo più avanti, lui, il Babbo generoso, il grasso, grosso barbuto non si vedeva mai. Io almeno non l’ho mai visto. In tutta sincerità ho sempre preferito questo come allestimento che un altro. Credere che veramente passasse senza mai vederlo non faceva altro che accrescere la mia fantasia. Il mistero irrisolto è più sublime del fatto concreto. Più di una volta avevo pensato di svegliarmi nel  cuore della notte e aspettare il suo passaggio; non l’ho fatto mai, per non rompere l’incantesimo infantile e per il sonno. Ma chi ha la forza di svegliarsi dopo una mangiata come quella di poco fa? Il giorno dopo ci si svegliava, si vedevano i regali e il solito adulto affermava che era passato. Solo questo ci importava, che era passato, i regali li scartavamo ugualmente. Quando venni a sapere che Babbo Natale lavorava per la Coca Cola, pensai che avesse bisogno di soldi per vendersi a una multinazionale. Era anche scortese chiedergli di lavorare così tanto per una sola persona in più. Divenni uomo e la mia infanzia non fu più la stessa.


Pubblicato

in

da

Commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *