A un primo sguardo, nel momento in cui ci si rende conto, anche se di poco, quello che avviene in quella piccola stanzetta abbellita, si potrebbe pensare ad uno Psycho elevato all’ennesima potenza. Forse un po’ riduttivo definirlo subito così, ma ciò che appare ai nostri occhi è sicuramente una riuscita interpretazione di un pazzo, di un deviato, di centinaia di squilibrati in un solo corpo che si danno il cambio in un lasso di tempo di meno di dieci minuti per ciascuno, ma ripetuti così bene e a ruota libera, da perderci noi stessi, nei meandri di una mente anormale. Uno Psycho potenziato sebbene Split, e il suo autore e regista, il poliedrico e immaginario M. Night Shyamalan, vogliano preoccuparsi di dirci qualcosa in più, rispetto alla malinconica e grigia figura di un Norman Bates qualunque, ponendo le basi per un disegno ancora più grande, affascinante e astuto. Suspense e famelica curiosità non lasciano ma la presa sull’attenzione dello spettatore che, dopo The Visit, ritrova un prodotto fedele e la polpa sa di tutte quelle storie che dalla mente del regista si rifanno su di noi con carica e adrenalina.
Un classico alla Shyamalan; una storia che non pretende iniziare con complessità, com’è del suo stile del resto. Una festa. Una ragazza introversa e malinconica e le sue due amiche, sono prelevate al parcheggio di un probabile centro commerciale da un uomo con la testa rasata, camicia e occhiali. Condotte, prive di sensi, in una piccola stanza senza finestre, senza la possibilità di uscire, non sanno bene cosa le aspetta, ma possono subito pensare ad un banale rapimento con riscatto; di quelli che avvengono più di frequente, chiamiamoli così. Tuttavia, una volta aperta la porta e fattosi avanti l’autore del misfatto, le tre ragazze devono immediatamente cambiare la loro strategia, perché colui che si presenta con pretenziosa e ambigua calma e con la mania per l’igiene, non è un uomo comune: è solo una di quelle venti tre personalità con le quali dovranno imbattersi e convivere, prima della sua trasformazione finale.
La dottoressa Fletcher, la psichiatra che tiene in cura Kevin Grumb, il rapitore, sa degli innumerevoli cambi di personalità del suo paziente, ma la cosa non la spaventa. Dopo anni passati a studiare il suo comportamento, e quello di altri pazienti, raggiunge la convinzione che queste persone, oltre ad avere una doppia o multipla personalità, possiedono delle capacità non concesse ai normali; capacità innate che usano senza rendersene conto, ma Kevin è un passo più avanti. Venti tre persone diverse vivono nella sua mente, e sembra che riesca a controllarle: almeno quelle rimaste nella luce, ovvero quelle che possono impersonarsi del suo cervello senza la paura che facciano perdere il controllo e quell’equilibrio ritrovato. Ma quelle che sono nell’ombra, negli spazi più nascosti della sua psiche attendono, bramano e pianificano il momento giusto per venire allo scoperto, e lo fanno; le tre ragazze sono il frutto di quella liberazione, e dovranno attendere il momento della grande trasformazione di Kevin, che avverrà proprio nel momento in cui anche la dottoressa si è ormai resa conto di quello che sta per accadere.
Un finale aperto che non vi sto a raccontare: dovrete vedere il film per capire di cosa si tratta. Il cameo finale, nella tavola calda, desterà, come già ha fatto, dubbi su un significato più profondo, o un sottile collegamento. Oppure solo un semplice cameo?
In Split Shyamalan ripercorre la strada di un thriller psicologico ma scava ancora più in profondità con la rituale leggerezza di chi vuole portare scompiglio e stupore. Temi nati da una idea, una fantasia, che sono effettivamente semplici, o almeno sembrano. Questa volta la sua propensione verso un finale a sopresa è più sfumato, ed è ciò che divide la parte iniziale da quella finale ad accrescere veramente curiosità e il sospetto che ci sia dell’altro racchiuso tra quelle porte, tra le pieghe di un cervello all’apparenza deviato ma che dimostra un potere inaspettato.
Cosa si nasconde dietro a quelle “maschere”, che Kevin Grumb si costruisce senza sapere? frutto di un’innata natura. Ciò che lega la giovane protagonista che si svela lentamente tra ricordi e rimorsi lontani: quello che la porta a scoprire un legame con il suo rapitore. Shyamalan scruta le emozioni, i ricordi più nascosti, si sporca le mani con le efferatezze della vita di una e alla fine crea la sua bestia per ripagare di quell’ingiustizia. Scava in una mente contorta ma vi scorge un disegno più stupefacente e grande.
Come ebbero a dire di Jack Nicholson, dopo aver impersonato il ruolo di Jack Torrence, tutto ciò che c’era di più profondo e misterioso in Shining, accadeva nella mente di Nicholson; anche il semplice fatto di dover interpretare un pazzo totale. Cosa non facile, sebbene il suo sguardo rasenti comunemente la follia. Diciamocelo. Ci vuole bravura. Lo stesso si può dire di James Mcavoy, che in Split, si ritrova a dover governare i suoi personaggi con una mimica attoriale davvero sorprendente. Il risultato è un film non deludente, capace di tenerti sempre sul chi vive, che vive dell’immaginario di Shyamalan, che da una semplice storia, magari già vista, è capace di superarla con un tocco leggermente deviato. C’è sempre quel qualcosa in più, basta un niente, per far cambiare direzione alla trama. E in questo film, tale deviazione è sempre in agguato, dall’inizio alla fine, e come in ogni sua opera che si rispetti, può uscire fuori come un’illuminazione o come segnale di sventura.
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