Come tu mi vuoi è uno degli spettacoli in programmazione al Teatro Elicantropo di Napoli.
Tutto inizia con il Buio e una chitarra classica, poi compare Lei, una donna che corre in un tempo dilatato. In disparte Lui, un uomo in tuta da jogging a torso nudo, seduto, intento ad allacciarsi le scarpe.
Lui racconta del brutto palazzo dove abita vicino un discount. È ossessionato dal casermone di periferia dove vive, e soprattutto dall’immagine sociale di quello stile di vita che si sente cucito addosso; si considera uno dei tanti sfigati, e si appella alla categoria dell’ingiusto.
Entrambi sono nevrotici, entrambi ci raccontano la loro vita, alternandosi, in un luogo senza tempo, in un crescendo, dove le loro insoddisfazioni si intensificano negli occhi di un pubblico inerme di fronte alla sopraffazione della disperazione umana.
Lei parla continuamente del suo lavoro, o meglio della sua continua ricerca di un lavoro ideale che possa salvarla dal terrore di essere adocchiata dai suoi incubi. Tra una frase e l’altra, dei vuoti di silenzio, rendono quel volto divorato dalla paura incensurato, come quello di un fantasma.
Lui segue l’esempio di Mohamed Ali facendo jogging ogni sera sul ciglio della tangenziale; ma la differenza sta nel fatto che Mohamed Alì faceva jogging a Central Park, mentre Lui tra i casermoni e la tangenziale. Ma l’importante è fare jogging al tramonto: così Mohamed Alì vide la luce, la sua illuminazione, un globo scintillante. Anche Lui vuole la luce che lo noti, che gli dia ciò che vuole, che lo faccia entrare nella grazia di chi conta qualcosa.
Non viviamo più al tempo dei cavalieri medioevali. Nel mondo reale ( lui lo sa, a differenza di tutti coloro che non hanno problemi veri), lavorare duro e impegnarsi non serve, non più almeno. Lui guadagna 9 euro per 6 ore di lavoro, quindi in un mese porta a casa circa 250 euro, per abitare in un casermone di periferia; e per di più viene svilito dal suo team-leader, che lo chiama scimmietta e continua a ricattarlo con la minaccia dei richiami disciplinari. Poi non dorme la notte e questo porta ripercussioni sul suo lavoro da impiegato (sempre davanti una tastiera), e tra un mese, come se non bastasse, scade il contratto di lavoro. Lui non riesce ad accettare, ritiene di essere naturalmente portato per l’insoddisfazione. Ma ha paura che si pensi che la sua insoddisfazione deriva da una frustrazione economica, dal mero denaro; mentre Lui vuole solo una relazione di coppia, con una donna che crede di amare.
Lei cerca solo un lavoro, uno qualsiasi. Non si capacita di come la sua dedizione e flessibilità non le procurino quel minimo indispensabile che allontani la paura degli sguardi indiscreti.
Lui c’è l’ha con il popolo fantomatico e fantasmagorico degli abitanti delle tangenziali, che sfrecciano incuranti di Lui, incuranti di quel mondo che va in rovina, incuranti di quel caos che spaventa e inorridisce persone come Lui (gli ultimi di una nobile stirpe forse). Lui si sente solo (chissà se la ragazza della chat su internet potrà fare la differenza). Un giorno Lui si innamora di una donna che lavora nella sua stessa azienda, che trova bellissima, e incomincia a pensare che può ‘’diventare migliore con Lei’’. Lei, per lui, è ciò che il disco volante era per Mohamed Alì: la sua via di fuga da quel torpore esistenziale in cui rischia di annegare, da quel tepore nel quale non si riesce a scaldare. Vorrebbe comunicarglielo ma un impedimento li tiene lontani.
Lei si iscrive all’università (non sa neanche lei bene come e perché), è ancora finanziata dai genitori, quegli stessi genitori che probabilmente si trovano sempre al di là di quegli specchi incalzanti che sogna la notte, e che vede dappertutto: in ogni superficie riflettente che dissemina di grigi incontestabili la sua tetra realtà.
Poi torna la musica dell’inizio, la stessa chitarra classica.
Lei si chiede continuamente se è lei ad essere in difetto, dove sbaglia, come, e perché.
Lui ha sempre paura di essere giudicato, ha problemi con il suo ‘’io ideale’’, ma Dov’è il suo Es? dov’è quella forza che lo faccia correre in una nuova direzione, in quella giusta, in quella che anela tanto? come mai non riesce ad evadere dal regno del torpore? la sua superficialità è indissolubilmente legata alla sua sopravvivenza.
Lei diventa team-leader ma odia sempre la struttura precaria che si trova sotto il rivestimento della sua vita. Lei è continuamente in bilico, ed anche Lei (come Lui) teme di essere una ‘’fallita’’, e vive in un mondo di specchi deformati. Ora è Lei a chiamare Lui ‘’scimmietta’’.
Cercano entrambi una via d’uscita. Ma solo Lui riesce a tenersi aggrappato a quel brandello di ideale che corona la superficie della sua vita quotidiana. Lui ha paura di non interessarle, ma vorrebbe sempre averla. Nulla smuove questo anelito, l’unico che dia un vero senso alla sua vita. Lei, secondo lui, è crudele solo perché deve adattarsi (‘’più te ne frega degli altri e meglio stai’’). È, come dice Darwin, una questione di selezione naturale: chi non si adatta muore. Così, con questa teoria, questa spiegazione razionale dell’altro lui si protegge, si difende, mette al sicuro la sua prospettiva, dà un senso al suo personale ordine, così che possa imporre il suo stampo sul caos dilagante. Così, la sua via di fuga è salva, e rimane lì, dietro l’angolo del prossimo casermone, pronta ad attenderlo, infondendogli, con la semplice presenza, dovuta al suo esserci, un infinito senso di sollievo.
Lui crede che lei sia arrivata dov’è perché si prostituisce (nel bagno dell’azienda). Inoltre ciò spiegherebbe perché lei avanza di carriera a dispetto di quelli come Lui. Lui però incarna ideologicamente quei valori medioevali che verbalmente scredita. Si sa che il cinico è sempre il disilluso, e in quanto tale soffre per la sua diversità nei confronti del mondo.
Lui crede di essere empatico, Lui si giustifica sempre: se morirà sarà stata solo colpa di chi lo ha schiacciato sull’asfalto senza neanche accorgersene (colpa di un abitante del popolo delle tangenziali).
Lei, dopo essere stata licenziata, vuole sparargli, perché ora sono gli occhi di Lui ad essergli puntati contro, e finalmente un abitante del popolo degli specchi esce allo scoperto senza il suo scudo di specchi, e Lei può prendersi la sua vendetta; ma lui vuole solo danzare con Lei.
È la dialettica servo-padrone (che sia tra borghesi e proletari, o tra oggetti e soggetti poco cambia) dove però i ruoli si ribaltano, così che ad essere alienato ed estraniato sarà il padrone, e a rintanarsi nell’ideologia della fuga e del potere sarà il servo, aggrappato ad una illusoria speranza di rinascita.
Lei cambia continuamente, subisce una metamorfosi costate, dubitando di sé, vorrebbe sapere chi o cosa’ Lei sia, ricercando una risposta esistenziale negli altri (in quegli stessi occhi che la terrorizzano). Lui è un feticista, che continua a cesellare il suo feticcio, l’oggetto del suo amore incondizionato, della sua unica possibilità si salvezza.
I temi di Come tu mi vuoi
Chi racconta la propria vita recita sempre, e rischia sempre di farlo male. Nella seconda parte dello spettacolo l’interpretazione dei due attori (Giancarlo Luce e Ermelinda Nasuto) è decisamente migliore. L’apice del pathos viene raggiunto quando entrambi i due personaggi, mossi dalla loro lampante ed allarmante profondità si pongono all’unisono gli stessi raccapriccianti interrogativi: è già passato il momento in cui avrebbero dovuto smettere di accettare e di aspettare?
Ermelinda Nasuto trova nei momenti di silenzio, dovuti alla disperazione del personaggio, la sua forza maggiore: quando viene licenziata, e deve cambiare lavoro, ricominciando tutta la tortura da capo con ‘’colleghi nuovi’’, ‘’capi diversi’’, quando si laurea e deve giustificare tutto il tempo che ci ha impiegato ‘’che poi è il tempo medio che ci avevano messo tutti i miei coetanei’’ . Quando guarda nel vuoto del pubblico, lo spettatore è portato a chiedersi ‘’guarda me? proprio me?’’ ci si sente catturati, e dalle domande sul confine essenziale del personaggio con l’attore (‘’È l’attrice o il personaggio?’’), si sfocia nell’interrogativo sulla propria esistenza (‘’ma io ci sono? Cosa sono io?’’).
Quando racconta del bluff andato male sul posto di lavoro, pronuncia una sola parola: ‘’altrimenti..’’ e poi una pausa di silenzio, in cui il volto inizia il suo viaggio. Quel momento sancisce la sovranità indiscussa del personaggio sull’attore. Lo si vede negli occhi che cerca disperatamente di scappare da quel riflesso inopportuno dello specchio al quale si sta guardano. La sua vita non doveva andare così, lei lo sa, nel suo profondo, e si trova a combattere con il desiderio di raccontarsi, ed il bisogno di portare con se questa terribile e patetica verità: la sua realtà quotidiana ed esistenziale.
Chi vuole prendere in giro? Se stessa, o il mondo? Il vero orrore di quel momento, è che, a prescindere da tutto, ‘’Lei’’ si rende conto di non poter più ingannare se stessa. Neanche coltivando l’illusione negli occhi del mondo antropomorfo, che si è creata, e che la guarda dal suo specchio nel bagno, a cui pone domande sulla sua essenza, o da quello nel corridoio nell’atrio di casa sua, quando si specchia la mattina prima di uscire di casa.
Di chi sono gli occhi che ci guardano? Di chi sono veramente gli occhi dietro allo specchio? Come si fa a diventare ‘’Più! Più! Più!’’ ? Come?
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