Era il 19 febbraio 1986 quando a Siena si spense per un arresto cardiaco uno dei volti più noti del cinema italiano. Avrebbe dovuto fare la sua comparsa sul palcoscenico, ma il destino segnato aveva incaricato il collega e amico Vittorio Gassman di prendere il suo posto. Chi si ricorda di lui? Come dimenticarcene?! La possente corporatura, il grosso naso aquilino, i capelli bianchi che erano diventati l’inconfondibile segno di riconoscimento quando si aggiungevano anche la voce profonda e lo sguardo intenso. Questo era Adolfo Celi.
L’attore a tutto tondo che, nato in Sicilia, aveva viaggiato per quasi tutta Italia, specialmente al nord, prima di fermarsi alla scuola drammatica “Silvio D’Amico” di Roma, dove avrebbe maturato l’interesse per il teatro e in seguito per il cinema; molto presto sarebbe diventato un perfezionista completo ma mai conosciuto pienamente se non si fosse spinto oltre oceano. Nelle terre sudamericane sarebbe diventato il secondo personaggio, dopo il fu Garibaldi, ad avere una così grande mole d’importanza sia qui sia in Italia.Prima di arrivare al clamoroso personaggio del professor Sassaroli, ruolo che lo consacrò per sempre come il grande attore italiano, alla pari di un Tognazzi, di un Sordi, di Gassman e molti altri, Celi fu uno dei pochi che, prima di subentrare nel cinema italiano, aveva già raggiunto un grande spessore al di fuori del nostro paese.
Successivamente al ruolo in “Emigrantes”, girato in Argentina, Celi si spostò in Brasile. Affascinato dagli usi e dai costumi di questa terra, decise di rimanere più di dieci anni, portando a termine, finalmente, la lunga gavetta che da giovane adolescente, lo aveva portato a Roma e poi nella terra straniera. Assieme alla moglie Tonia Carrero, fondò il Teatro Brasileiro de Comédia di San Paolo e la compagnia di prosa Carrero-Celi-Autran e intorno agli anni cinquanta la casa cinematografica “Vera Cruz” gli affidò la regia di vari film con i quali poté farsi un nome, riscuotere sufficiente successo per diventare uno dei registi più importanti del Brasile.
Da qui inizia anche la sua esperienza in opere inglesi e americane come “007 Thunderball: operazione tuono” a fianco di Sean Connery, “Il tormento e l’estasi” di Carol Reed, “Masquerade” o, sotto la regia di Luis Bunuel, “Il fantasma della libertà”. Ritornato sul suolo italiano, fu il ruolo da caratterista quello che gli fu affidato: onere che non mancò di sprecare o rifiutare mai una volta, cosciente, sempre e comunque, della sua impareggiabile forza d’attore drammatico e comico.
Dopo un susseguirsi di film diretti dai più svariati registi dell’epoca, tra cui ricordiamo la parte del Re Boemondo nel sequel “Brancaleone alle crociate”, venne anche per Celi il momento di essere veramente riconosciuto come uno dei più grandi uomini di spettacolo. Con un cast d’eccezione, la serie di “Amici Miei”, iniziata nel 1975 e conclusa nel 1985, resta una prova tangibile di quella verve comica, drammatica, grottesca e ironicamente mirabile trasposta nel personaggio, magistralmente elaborato e riuscito, del professor Sassaroli; l’ultimo dei cinque che entra a far parte del gruppo, quello apparentemente più serioso e integerrimo ma che si rivela un mostro di genialità nel portare avanti uno scherzo, di grande cinismo, mai sfiorato dalle prese in giro e sempre tutto d’un pezzo.
Ma cosa significa essere un Sassaroli? Celi, nella sua performance di tre film, ci mostra l’identità di un uomo con un buon lavoro da primario e chirurgo di fama internazionale, possidente di una clinica e una villa di lusso, sposato con moglie, bambine, cane san Bernardo, e governate in uniforme. Insomma, l’apice del successo, ma tra quei cinque amici, è quello forse più annoiato, rigonfio di cinismo e di grottesco, che non ci pensa due volte a vendere all’architetto Melandri (Moschin), la moglie, le figlie e il cane.
Da quel momento anche lui entra a far parte della banda. Qualche episodio sporadico mentre continua a esercitare la professione medica ma sempre ben disposto a lasciare la sala operatoria quando c’è di mezzo uno scherzo da elaborare. Una maschera comica e, come richiede la tradizione teatrale e cinematografica italiana, drammatica e rivoluzionaria, segno del passaggio, assieme agli altri personaggi della “trilogia”, da un cinema più esilarante a uno sebbene legato alla comicità, di più sociale, locale, regionale e quotidiana drammaticità.
Dopo la sua morte, Adolfo Celi venne sepolto nel cimitero di Messina, sua città natale. Dall’isola dove era nato, custodisce le radici di un cinema e di un teatro autoctono e uno d’oltre oceano.
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