Trainspotting 2 – I treni passano ancora

Ultimo spettacolo delle ventidue e venticinque. In sala si proietta Trainspotting 2, e già dalle prime scene il pubblico volge lo sguardo verso un’amara malinconia del passato. La stessa malinconia che si rincorre fin dai primissimi fotogrammi e che ha, se non in alcuni punti, un costante legame con il primo film, quello che tanto successo aveva avuto e che, dopo vent’anni, non smette mai d’impressionare, di far ridere e di esprimere rabbia e compassione per ogni personaggio.

Il regista Danny Boyle, che dopo quel momento si era gettato al perfezionamento della sua tecnica, raggiunta con altrettanti buoni film come The Island, 28 giorni dopo, The Millionaire, ora si concentra essenzialmente più su una seriosa maturazione di quell’opera che lo aveva trasformato in un regista d’avanguardia, rivoluzionario e irriverente. Con Boyle, il cinema britannico aveva potuto godere di un po’ di gloria e interesse al di fuori delle sue coste, cosa che ora, invece, è riassumibile come rimaneggiamento di un classico e di un’opera d’arte ormai patrimonio di tutti. Tuttavia, c’è subito una questione da chiarire. Per i fan sfegatati del primo Trainspotting, che magari indugiano nell’andare a vedere il sequel, o anche per quelli che guardano e basta senza attaccarsi molto alla storia, Trainspotting 2, per quanto si sforzi, non è un continuo narrativo in tutto e per tutto. Poteva benissimo essere un banale, divertente ma pur sempre scontato sequel, invece si tratta di una pellicola un po’ a se, con un involucro esterno che, naturalmente, ha dei rimandi, dei contatti con il suo predecessore, ma che non è poi così dipendente. E questo concerne svariati elementi.

Tutto è in continuo sviluppo, e una profonda, drammatica maturazione circonda i vari personaggi che, costretti a fare i conti con i fantasmi di un passato mai del tutto scomparso, arrivano a un traguardo vitale che, in un certo senso, chiude quel cerchio iniziato vent’anni fa. Ciò che era per gli anni novanta, ora lo è per la seconda decade dei duemila che partoriscono nuovi ideali, valori e spunti sui quali i produttori e sceneggiatori non possono non soffermarsi, anche solo un istante.

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Sebbene non abbia intenzione di spoilerarvi tutto il film, che dall’inizio alla fine mantiene un buon ritmo che non annoia, anche se non sincopato come nel primo, sento il dovere di dirvi in anteprima qualcosa, anche se poi, guardandolo, potrete rendervi conto con i vostri stessi occhi. Con un’introspezione sui personaggi principali si possono intaccare le basi per comprendere quella maturazione, o regredimento esistenziale che si colloca nei protagonisti di questo secondo e ultimo capitolo della storia.

Mark Renton

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Rent e Sick Boy in Trainspotting 2

Ewan McGregor torna a vestire i panni del protagonista che, scappato nel precedente film con i soldi a godersi la vita lontano da quella realtà vecchia e marcia, torna a Edimburgo dopo aver avuto un attacco di cuore, o ciò che più gli si avvicina, e si ritrova a dover fare i conti con l’altra faccia della sua esistenza, quella che più di tutti aveva cercato di nascondere e cacciare. Sembra cambiato, più adulto e con i piedi per terra; in realtà, quel tunnel, dal quale sembrava essere uscito, lo risucchia e non lo fa uscire. Non è la droga a tenerlo alle strette, bensì tutto ciò che fu generato da quel periodo di degradazione e poi di astinenza che ce lo fanno vedere non più come un antieroe dei giorni nostri. Invecchiando, capisce egli stesso di essere un eroe negativo che torna alla sua precedente vita con la solita vena filosofica, apparentemente fonte di salvezza, e invece crolla su quegli ideali che prima aveva scelto di vivere, quando se ne era andato con la borsa di soldi. Ora, invece, il passato che vive e rivive in ogni momento, gli fa capire che non se ne sarebbe dovuto andare lasciando gli amici e gli affetti, m che forse avrebbe dovuto accettare quella società e quella matrice dalla quale era stato partorito. Non fa che vivere fossilizzato verso un qualcosa che, tutto sommato, lo lasciava libero di vivere e pensare.

Simon “Sick Boy” Williamson

Lo strafottente, il “Conneriano”, l’ossigenato, lo scaltro, stronzo Sick Boy cerca di arrangiarsi giorno per giorno, gestendo il vecchio pub della zia e con l’aiuto di Veronica, un’Escort bulgara, ricattando uomini che si rinchiudono in camere d’albergo con la ragazza per un’ora d’amore e lussuria. Ma non gli va così bene come egli crede e ogni volta resta intrappolato in qualcosa più grande e forte di lui. La piccolezza è il suo pane, e da piccolo furfante qual era cerca di mettersi in gioco, senza arrivare a una soddisfacente conclusione. Nel momento in cui rivede il vecchio amico Renton, la rabbia e l’odio verso di lui si scagliano con la massima violenza. Vorrebbe rifarselo amico per poi colpirlo alle spalle come lui aveva fatto. Una vendetta, quella di Sick Boy, che confessa a Veronica nel momento in cui vuole aprire un bordello. Ma anche lui è legato alla vecchia gloria del passato; il rimorso dei tempi lontani, della gioventù, del “tutto è ancora in tempo” e della spensieratezza conclusasi con la morte della piccola figlia, nel primo film, che lo cambia e lo tormenta. E quel nuovo patto lavorativo che stipula con Rent, nella speranza di fargliela pagare, si schiude con un ritorno alle origini e la sua spassionata fedeltà all’amico che sente di voler vicino. Avevano iniziato insieme e insieme finiscono adagiandosi sulla poltrona della quotidianità e degli uomini qualunque.

Francis “Franco” Begbie

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Begbie in Trainspotting 2

Il duro del vecchio gruppo, Begbie (Robert Carlyle), scappa di prigione e si mette a fare dei lavoretti imponendo al figlio la sua autorità e il dovere di aiutarlo, sperando che un giorno diventi come lui. Nello stesso tempo, quel rancore covato contro Renton può finalmente finire e, saputa la notizia del suo ritorno, passa i suoi giorni nell’attesa di beccarlo e molto probabilmente ucciderlo.

Daniel Murphy “Spud”

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Spud in Trainspotting 2

Ma il vero superstite di una società a disagio, è senza dubbio il caro vecchio Spud (Ewen Bremner). Il buono Spud, l’ingenuo tossicodipendente che non cerca un modo di fuggire, e viveva ogni giorno come se fosse l’ultimo. Tuttavia il suo personaggio attua una metamorfosi predominante e troppo importante per le vite dei suoi amici, con la quale riusciranno a salvarsi o almeno a stabilizzarsi. Un angelo custode al quale prima non avresti dato un minimo di fiducia; ora è la sua convinzione a vivere la vita e a cambiare a farne un uomo nuovo, il più riuscito dei quattro. Perché Spud non ha mai avuto un carattere individuabile con aggettivi e combinazioni. Renton è intelligente ma se può guadagnare qualcosa lo fa anche a costo di tradire un amico. Lo stesso fa Sick Boy, sconfitto e consapevole di avere una misera bontà e inettitudine che può superare solo con il vecchio compare di sempre. Mentre Begbie, che vent’anni prima diceva alla madre di Spud che suo figlio era uno scoppiato, ora intuisce di essere lui il vero relitto, che si faceva di gente, sempre ai margini della società, lo scoppiato che alla fine compie l’unico gesto d’integrazione sociale con il suo unico figlio al quale augura di essere un uomo migliore di lui.

Spud è il tassello mancante che con la sua malinconica e innata bontà resta sui binari di quel treno diventandone il sommo cantore di quei giorni e di quelle avventure passate: unico modo per cambiare il futuro dei suoi compagni che da personaggi di strada, arrivano l’immortalità prima di essere morti, tra le pagine di racconti vitali. La parte della coscienza è lasciata alla figura femminile.

Veronica e Diane (Kelly Macdonald), diventata ora avvocato, e anche la moglie di Begbie, sono lo specchio all’interno del quale sono riflessi le regole e i buonismi di una giusta esistenza prodotta da una realtà scomoda.

Con Trainspotting 2 Danny Boyle ci regala una chicca non mal riuscita, attaccata al passato in un presente ancora più irriverente, insensato alla moda sempre. Sebbene ci siano continui rimandi alla pellicola originale, Boyle è maturo abbastanza per non lasciare finire tutto quanto nella classica banalità di un sequel che per forza è costretto sotto l’ombra prepotente del primo, ma che comunque riesce ad avere un senso, un ritmo, e novità proprie, non scontate. La presenza di un Regno Unito solitario e indipendente è uno dei vari elementi riferenti alla politica che ancora sono sparsi qua e là, assieme alla recente Brexit che invade i cuori e le menti e anche un leggero rammarico verso l’Europa abbandonata.


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Commenti

Una risposta a “Trainspotting 2 – I treni passano ancora”

  1. Avatar Ettore Arcangeli
    Ettore Arcangeli

    C’è da fare una recensione del primo ora, che ne dici?!?

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