Dall’altra parte del confine

Se c’è una costante nella storia dell’uomo è la volontà di delimitare i confini del proprio gruppo sociale d’appartenenza.

Definire di chi fa parte o non fa parte di una società è sempre stato problematico. I romani non facevano discriminazioni in base al colore delle pelle o della religione (fino all’avvento dei cristiani), ma dividevano il mondo in liberi e schiavi. Nel medioevo si distingueva tra cristiani e eretici. Poi tra cattolici e protestanti. Con la colonizzazione, tra uomo bianco e selvaggio.

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C’è però un gruppo sociale che è stato costantemente discriminato e scacciato in malo modo, soprattutto quando le cose per i governanti si facevano complicate e avevano bisogno di qualcuno da dare in pasto alla folla. È inutile sottolineare che si parla degli ebrei, i quali proprio il 31 marzo 1492 venivano espulsi per decreto dalla Spagna dai Re Cattolici. La continua diaspora ebrea continuò fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per l’unica colpa di essere ebrei.

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Expulsión de los judíos de España (año 1492) di Emilio Sala Francés

Con le dovute differenze, oggi sembra non essere più tabù parlare di allontanare, dividere o espellere una comunità dalla società. Anzi sembra l’unico modo possibile per risolvere i mali del mondo.  Per questo ovunque si fa un gran parlare di muri, reti e barriere. Ovunque si chiede sicurezza. E delimitare lo spazio vitale aiuta molto a sentirsi più sicuri. Lo vediamo tutti i giorni in televisione. Lo leggiamo nei giornali. Lo sentiamo alla radio. La gente vuole sicurezza. Vuole sentirsi sicura. Così i muri vengono costruiti. E nei posti dove non possono essere materialmente costruiti per motivi tecnici o politici si erige un muro immateriale con posti di blocco e controlli. È tutto giusto e nella legittimità di ogni stato farlo. E probabilmente molti condividono l’idea del muro. Certo. Fino a quando quelli che si vogliono tenere fuori non sono loro.

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È quello che è successo a noi italiani. Spero non ve lo siate perso. In un’epoca di sovranità c’era però da aspettarselo. Così gli svizzeri hanno deciso. Infatti il Canton Ticino, su mozione di Roberta Pantani della Lega dei Ticinesi, ha chiuso tre frontiere con l’Italia per sei mesi nelle ore notturne. Questo perché nel nostro stivale sembrano esserci troppi ladri che fanno i pendolari in Svizzera. Nulla di così eclatante dati i tempi che corrono. Per quanto mi possa sentire offeso, tutto questo non mi stupisce per niente. Ciò che mi stupisce è la reazione della Lega Nord, che invece di applaudire e di chiedere che si segua l’esempio dei ticinesi, si indigna. Infatti, secondo Cristian Tolettini, sindaco del comune di Colverde, “la sicurezza non si ottiene blindando i confini” (1). Parole che stridono con quelle del segretario del Carroccio ma che tradiscono la paura di ritrovarsi ad essere dalla stessa parte del muro dei negher.

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Sono molto confuso.


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Commenti

Una risposta a “Dall’altra parte del confine”

  1. Avatar Vincenzo

    Chi di spada ferisce…

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