Viaggiare è qualcosa di estremamente piacevole. Si viaggia per conoscere nuovi luoghi, nuove persone. Si viaggia per potersi rilassare insieme agli affetti più cari lontani dalla monotonia di tutti i giorni. Si viaggia però anche per altri motivi, non solo turistici. Si viaggia per lavoro, per studio, per motivi di salute e familiari. Insomma, il viaggio fa parte della vita di tutti noi.
Per questo gli aeroporti, le stazioni e le autostrade sono sempre luoghi ben affollati.
Vivendo in paese relativamente piccolo l’auto è il mezzo ideale per spostarsi, soprattutto se si è in gruppo. Quando poi i collegamenti ferroviari non sono il massimo diventa l’unica scelta.
In auto però c’è più rischio d’incidenti. È un rischio di cui spesso non si ha coscienza finché non accade. Si spera senza gravi conseguenze. Quando se ne è coscienti lo si mette in conto e la paura svanisce. O meglio si controlla.
Ultimamente però ha iniziato a fare capolino tra i pensieri degli italiani che percorrono lo Stivale in lungo e largo un nuovo spettro. Qualcosa che non mi sarei mai aspettato.
Negli ultimi mesi sono numerose le tragedie dovute ai crolli dei cavalcavia. Da poco l’ultimo crollo, fortunatamente senza conseguenze per le persone. Non si può dire lo stesso di altri crolli.
Quando il cavalcavia si stacca non ci si può far niente. Si dovrebbe far qualcosa prima ovviamente. Ma è così.
È qualcosa che ho sempre dato per scontato. Non mi è mai passato per la testa, mentre percorrevo i numerosi cavalcavia nel mio territorio, che potessero venir giù. Sono sempre stati una certezza. Da piccolo ne ammiravo l’altezza, e mi stupivo passandoci sotto. Ora capita di pensare se regga o no.
Forse è esagerato, lo so. Certamente non è un pensiero fisso. È più una sensazione. Passare sul luogo dove poco più di un mese fa un cavalcavia ha schiacciato un’auto non tranquillizza affatto. Viaggiando lungo l’A14, tra Ancona e Loreto, non si può fare a meno di osservare quelle rampe che poi finiscono nel vuoto.
Un’immagine non certo facile da digerire.
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