La prima volta che andai al cinema ero un ragazzino. Avevo otto, nove anni e il por Riziero di Gambelunghe mi chiese se volessi andare con lui al cinema. –Ci verrò- dissi. Andai a vedere Tarzan. Mi fece davvero impressione non solo la scimmia, ma anche lui come nuotava in mezzo ai coccodrilli, e con il suo urlo richiamava gli elefanti, gli altri animali. Io rimasi così. Non l’avevo mai visto. Chi s’immaginava che potesse essere così. La mattina dopo, a scuola, lo raccontai ai miei compagni. Tutti a chiedermi com’era il film. Com’è? Com’è? Dissi, Tarzan è un ragazzo proprio bravo.
Sicché, anche per il nostro illustre racconta storie è giunto il momento di parlare un po’ di cinema. Per un bambino degli anni trenta, andare a vedere un film al cinema non era cosa di tutti i giorni. Con il tempo divenne uno dei passatempi più celebri, specie in Italia. A Perugia non c’era un’abbondanza di cinema. Osvaldo ce ne cita alcuni:
C’era l’Etrusco, in via del Carmine, ma era un po’ “balordetto”. Piccolino, un poco striminzito.
Il Modernissimo, ubicato nel profondo centro città, era più grandicello, forse alla pari del Lilli; entrambi tuttavia non avevano un posto sicuro dove parcheggiare la bicicletta o la moto. Perciò, quando lui ed altri, si preparavano ad andare a vedere un bel film, erano quasi sempre costretti a lasciare il mezzo alla casa cantoniera della stazione. Li c’era una vecchia che volentieri controllava le biciclette. Dopo erano costretti a farsela tutta a piedi, passando per una ripida e scoscesa viuzza chiamata appunto “bucaccio”.
Il Pavone era più che altro un piccolo teatro dove si allestivano spettacoli di varietà; pochissime volte erano trasmesse pellicole.
Tuttavia, il titolo di miglior cinema della città andava senza alcun dubbio al Turreno. Situato appena dietro la cattedrale, aveva una platea immensa, una grande gallerie e una piccionaia. Inoltre era proprio in centro, tra le mura antiche e i vari monumenti; non si poteva chiedere di meglio. Lì vicino c’era anche la fermata del Tram che avrebbe fatto risparmiare ad Osvaldo la fatica di tornare giù a piedi e al buio.
Dagli otto fino ai sessant’anni, il cinema era un vero e proprio spasso. Con pochi soldi entravi e uscivi quando ti faceva più comodo. Specialmente quando c’era Stanlio e Ollio si rimaneva fino a tarda notte, quando veniva proiettato l’ultimo spettacolo. A sentire queste parole, l’invidia ci assale. In tanti anni, dall’infanzia fino alla pensione, il caro Osvaldo ha visto, da una poltroncina reclinabile, l’industria cinematografica crescere, espandersi. I più celebri film cult sono passati per i suoi occhi. Ricorda con gioia i film di Hardy e Laurel, quelli di Totò. Il western della prima ora, quelle delle grandi praterie con John Wayne, James Stuart, Burt Lancaster. Il western moderno di Leone. Con l’arrivo dei figli era di regola, almeno tutte le domeniche, uscire, prendersi un gelato e guardarsi un bel film.
Non appena fattosi un po’ più vecchio, smise di andarci. Dice che l’ultimo film da lui visto fu “il Padrino”. Dopodiché non ci tornò più. Il cinema era cambiato, racconta. Troppa violenza e scene incomprensibili. Non sopportava l’idea di vedere un film che inizia di notte, con il rumore della sirena di una nave, un cavallo che nitrisce e una donna che urla. In generale non si capisce niente. Questa descrizione ci fa sorridere. Ci fa capire meglio la sua visione di un film. Cresciuto in un epoca dove non si voleva piangere ma ridere ed emozionarsi, il cinema doveva essere una spensierata fuga dalla realtà, e non un una lezione incomprensibile di vita. Quella la imparava ogni giorno lavorando.
Uno dei film più belli che ho visto, fu “Il Gigante”, con James Dean. Lui è orfano e va a vivere con la zia in una casa. Dopo un pò di eventi, c’è un incendio, la zia muore e lui torna dove abitava prima.
Con questa divertente recensione, che il vecchio Osvaldo ci ha raccontato, concludiamo la nostra intervista e vi aspettiamo alla prossima.
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