Harry Dean Stanton è quello che si può definire un vero caratterista. Nato ad Irvine nel 1926 si laureò in giornalismo; più tardi si rese conto che una faccia in quella maniera è difficile trovarla o sprecarla per un semplice lavoro da scrivania. Più che altro se ne accorsero registi e produttori che lo ingaggiarono senza stregua dal 1957. La famosa gavetta, sebbene anche quando divenne più famoso, lo si ritrova sempre dietro gli interpreti principali a riempire la scema: facendolo anche magistralmente, aggiungerei.
Mai stato di bell’aspetto e per chi lo conosce bene ha sicuramente notato come Stanton non sia mai stato giovane. Una caratteristica mostruosamente utile, come non se ne vedono molte –altro grande attore che sembrava perennemente vecchio anche da giovane era Raimondo Vianello.
Ruoli più svariati, parti di contorno o di grande spessore. In “Nick Mano Fredda”, del 1967, interpretava il ruolo di un vagabondo, a distanza di quasi dieci anni si ritrova nei panni di un agente dell’FBI che doveva proteggere il pentito Frankie Pentangeli, ne “Il Padrino – Parte II”. Successivamente ci si accorge di averlo già visto e di come la sua faccia stia bene sempre e ovunque.
Il critico Roger Ebert disse di lui: “nessun film con Harry Dean Stanton sarà mai un fiasco”.
E infatti non smette mai di prestare il suo volto in grandi o piccole produzioni, cinematografiche o televisive che siano. È la seconda vittima in “Alien” di Ridley Scott. In “1997: Fuga da New York” è Harold “mente” Helman partecipando poi a film molto diversi tra loro, come “Christine – auto infernale”, “Repo Man”, “Un sogno lungo un giorno” o nel film di guerra “Alba Rossa”. Ma il ruolo che lo farà diventare una vera star apprezzata è sicuramente quello di Travis nel film di Wim Wenders “Paris Texas”, assieme a Nastassja Kinski e Dean Stockwell. Tuttavia, sebbene il grande successo, i ruoli da protagonista non sono stati mai il suo forte, nemmeno nei decenni successivi; non perché non ne fosse capace. La sua faccia era quella di un perfetto caratterista.
“L’ultima tentazione di Cristo” di Scorsese, “Fuoco cammina con me” di David Lynch –interprete perfetto per i suoi film. Verrà chiamato anche per “Una storia vera” e “Inland Empire”-, “Paura e delirio a Las Vegas” di Gilliam, sono solo alcuni dei tanti film da lui interpretati. Lo ricordiamo come il pazzo Toot ne “Il Miglio Verde” o come il ceco che mette nei guai Adam Sendler nel film comico “Terapia d’urto”. Una delle ultime che voglio ricordare con affetto e gioia è la parte di Robert Plath, inventore delle valige con le rotelle nel film di Paolo Sorrentino “This Must Be the Place”.
Rimane uno dei più grandi attori di sempre; per i suoi toni calmi, la sua faccia rugosa, il fisico dinoccolato è stato capace di trasformarsi in qualsiasi personaggio. Un’innata natura maturata nel corso degli anni, diventando un po’ la carta vincente per molti registi, che se lo sono passato in situazioni di difficoltà.
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