The Unforgiven è un film forte, che non può non turbare lo spettatore. Il protagonista è Esad Landžo, guardia bosniaca del campo di prigionia di Čelebići, a circa 50 km da Sarajevo, durante la guerra jugoslava -era poco più che maggiorenne al tempo, condannato dal tribunale internazionale de L’Aia a 15 anni di carcere per crimini di guerra. Nel 2003 Esad incontra il regista danese Lars Felballe-Petersen intento a girare un film sul limite tra diritti umani e sicurezza. Nessuno dei due poteva immaginarsi gli sviluppi futuri che hanno portato alla nascita di The Unforgiven.
Il film racconta quasi quindici anni di vita di Esad, uno dei pochi, se non l’unico, a pentirsi di quanto commesso in quella tragica guerra. Durante il loro primo incontro, nel 2003, in una prigione finlandese, Lars notò che Esad sembrava ritenersi veramente colpevole. Tra tutti i criminali di guerra incontrati da Lars Felballe-Petersen Esad è stato l’unico a mostrare segni di pentimento. Sperava che uscito di prigione potesse sentirsi meglio. Questo sentimento ha spinto il regista ad indagare più a fondo e a seguire Esad anche dopo la scarcerazione. Forse avrebbe potuto avere anche una vita normale.
Il senso di colpa però lo attanaglia. Soffre. Non riesce a dare un senso alla propria vita. Nemmeno un lavoro e una famiglia in Finlandia riescono a distoglierlo dal male che ha causato. Decide così di scusarsi con le vittime delle sue azioni.
Dopo l’arresto e la condanna i genitori di Esad erano distrutti. La madre si colpevolizzava: se lo avessero mandato fuori a studiare non sarebbe rimasto coinvolto in questa guerra e avrebbe avuto un avveniore migliore. Il padre non riesce a perdonarlo: uccidere un uomo innocente è come uccidere l’umanità intera, è la parola di Dio. È scritto nel Corano, ed Esad ha infranto non solo la legge degli uomini, ma anche quella di Dio.
Il viaggio interiore che Esad deve affrontare è tortuoso. Non è facile ammettere con se stessi e con gli altri di essere stato il male. Nonostante le resistenze della famiglia, per paura di ritorsioni, inizia il suo percorso di scuse. Scrive delle mail ad alcuni ex-prigionieri del campo di cui era guardia. Vuole incontrarli per chiedere scusa di persona. Il viaggio diventa reale, ed Esad ritorna in Bosnia, nei luoghi della giovinezza, nei luoghi della guerra.
Tra resistenze e dubbi le vittime decidono di incontrarlo per poterlo guardare negli occhi e poterlo mettere nuovamente di fronte ai suoi crimini. La mediazione di un film ha certamente aiuto e spinto le vittime a metterci la faccia. Anche per poter raccontare la propria storia, fatta di violenze, dolore e morte.
Esad incontra i serbi proprio nel vecchio campo di cui era guardia. Chiede scusa. Non cerca giustificazioni. Vuole solo parlare con quelle persone a cui ha causato tanto dolore e scusarsi.
Nessuno lo perdona. Qualcuno ritiene che nemmeno sia pentito. Ma anche coloro che sono convinti della bontà delle sue parole e del suo percorso di maturazione non riescono a perdonarlo. La grande lezione del film è proprio questa. Ci sono cose per cui non si può essere perdonati.
Esad Landžo ancora non ha chiuso con quel capitolo della sua vita. Probabilmente non lo farà mai e sarà perseguitato per sempre da ciò che ha fatto. È stato però il primo criminale di guerra a scusarsi. Un passo importante in un contesto, come quello dei Balcani, dove le atrocità degli anni novanta sono state nascoste e vengono taciute.
Nascondendo la brace sotto il tappeto questo prima o poi brucia nuovamente.
Il film è stato presentato al PerSo Film Festival 2017.
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