Io sono perugino. Nato a Perugia, e lì cresciuto, prima di poter uscire fuori da cuore verde della penisola italiana. Sebbene alcuni provincialismi di contorno che possono a volte portare a una fastidiosa chiusura da parte del cittadino medio verso quello che il mondo ha da offrire, con le sue novità e cambiamenti, non posso che riconoscermi in alcuni aspetti che sono insiti e localmente incollati nella struttura etrusca e medievale della città. Come persona nata in una piccola realtà come quella del capoluogo umbro, riconosco che possano esserci difetti che ci caratterizzano, limiti che ai quali senza un po’ di sforzo non potremmo mai sfondare. Il nostro sarà pure un dialetto semisconosciuto e non proprio musicale. Non abbiamo certo un’elevatezza né economica o individuale che ci permetta di essere superiori ad altre città del nostro bel paese, eppure, anche qui, da questo cucuzzolo di colle, disposto a 600 m sul livello del mare, circondato da montagne e aperta campagna, delimitato dal corso del Tevere da una parte, e dal Trasimeno dall’altra, anche noi possiamo vantare un certo patrimonio interessantissimo di personaggi che hanno portato Perugia a essere nota in tutto il mondo.

Luisa Spagnoli (30 ottobre 1877 – 21 settembre 1935), una rinnovatrice nel campo della pasticceria e dell’industria dolciaria, precorritrice di una politica aziendale più giusta, a favore del singolo operaio, una rivoluzionaria d’idee sempre nuove ma soprattutto donna capace negli affari. Con la sua genialità è riuscita nell’arco di un trentennio a portare alla riscossa una piccola fabbrica di dolciumi, e con la stessa tenacia, sebbene non abbia mai visto lo sviluppo vero e proprio, creatrice della nota marca di vestiti richiesti in tutto il mondo. Per coloro che l’hanno conosciuta o che hanno avuto la possibilità di lavorare in una delle sue fabbriche, sanno che il vero fervore economico e la sua stabilità sono stati in parte portati a termine grazie alla forza di questa donna. La sua storia, fino all’anno scorso celata ai più, è ora tornata allo scoperto; oltre a libri e saggi che parlano di lei, è stata la televisione a riportare alla luce lo spirito combattente della Spagnoli, con la miniserie Luisa Spagnoli.


Prodotta dalla RAI, e diretta da Lodovico Gasparini, traccia appunto trent’anni di storia italiana ma soprattutto perugina, narrando le vicende della celebre imprenditrice dai primissimi anni del novecento fino alla metà degli anni trenta, quando Luisa si spegnerà a Parigi a causa di un tumore. L’aspetto recitativo, storico e reale non è per nulla da sottovalutare. A incarnare la donna, Luisa Ranieri che, sebbene l’aspetto più dolce e meno rurale nei modi e nella fisicità, riesce a essere una Luisa Spagnoli al quanto convincente. E la vicenda parte proprio dall’inizio, quando giovanissima incontra quello che diventerà suo marito, Annibale Spagnoli, e quando prende in gestione la vecchia confetteria Corelli, trasformandola in qualcosa di nuovo e accattivante; la Perugina. Il duro lavoro al negozio e a casa dove, oltre alla pasticcera è anche madre di tre figli, Mario, Armano e Aldo, è continuamente ostacolato, oltre alla fastidiosa presenza del conte Icilio Sangiorgi (Gianmarco Tognazzi), alla scarsa produttività che poi avrà un incredibile slancio grazie all’intervento dell’imprenditore sansepolcrista Buitoni, che rileverà una quota della piccola azienda a conduzione familiare facendola diventare ben presto una vera e propria fabbrica con decine di dipendenti. Com’è noto, almeno in territorio perugino, i Buitoni furono un primo aiuto consistente allo sviluppo, il resto fu dovuto in gran parte all’instancabilità della donna. Decise di spostare la fabbrica dal centro della città alla zona di Fontivegge, dove c’è la stazione, accelerando notevolmente i tempi di carico e scarico delle merci e di spedizione. Fu sempre lei che, invece di portare la vendita dei prodotti verso l’Italia settentrionale, la spostò nel centro sud dove. Si deve a lei l’impiego di più donne nella struttura aziendale durante la prima guerra mondiale, mentre gli uomini erano al fronte, e via via anche la continua scoperta di nuovi prodotti da immettere nel mercato; prima solo nazionale e poi addirittura mondiale. Sotto la sua guida sono nati gioielli dell’arte dolciaria, come la Rossana, la Banana, il cioccolato “Luisa” e in ultimo, ma non ultimo, il cioccolatino che più di tutti le ha dato vera fama; il “Bacio Perugina”. Quelle voci di corridoio e leggende sulla nascita di questa delizia di cioccolato e nocciole, sono fedelmente riportate anche nella Fiction.

Tornato prima dal fronte e poi dalla campagna pubblicitaria della “Perugina” nelle Americhe, Giovanni Buitoni, figlio minore del patron della pasta Francesco Buitoni (Massimo Dapporto), tornato a Perugia rimette piede in fabbrica dove, grazie alla sua innata esperienza, aiuterà lo sviluppo dell’azienda. Sarà proprio in questo momento che si consoliderà il rapporto di lavoro e amoroso tra lui e la matura Luisa. Lo scambio di un furtivo bacio porterà per l’appunto all’ideazione del cioccolatino. La continuità della tresca portò anche all’invenzione dei bigliettini romantici da apporre nell’incarto dell’ambito prodotto.

Oltre al romanticismo romanzesco in cui ruota parte della storia, c’è tutto un fedele racconto della famiglia Spagnoli; di Annibale il quale, venuto a sapere dell’amore nato tra la moglie e Giovanni, abbandonò l’azienda e Perugia senza smettere mai di amare Luisa e di portarle il più doveroso rispetto. Di Mario, il figlio maggiore, che grazie alle sue doti d’inventore e sperimentatore, fu il motore dell’azienda dopo la morte della madre. Della creazione della casa di moda “Luisa Spagnoli” in cui venivano spazzolati i conigli d’Angora e il cui ricavato servì alla produzione di tessuti e abbigliamenti innovativi, oltre che alla nascita di una fabbrica che portò molto più lavoro in città. La miniserie televisiva si conclude con la prematura morte della protagonista. Luisa, affetta da tempo da un cancro alla gola, viene accompagnata a Parigi da Giovanni che la mise nelle mani dei migliori dottori dell’epoca. Sfortunatamente l’intervento non ebbe un esito positivo, e la donna morì a soli cinquantotto anni. Era il 1935; da lì in poi il suo nome sarebbe diventato faro di modernità, giustizia e qualità.

Sebbene ci sia l’uso costante di trasformare il tutto come fosse una fiaba, è proprio questo che da più credibilità alla figura e alla vicenda dell’imprenditrice perugina. L’uso di personaggi fittizi o stravolti dalla buona prosa recitativa, sono forse indispensabili alla buona riuscita del film. Tutto è narrato in maniera fiabesca, leggera e intensamente ricca di emozioni. Un’emotività e una dolcezza di contenuti che sicuramente si distaccano dalla vicenda vera e propria della protagonista donandole però fama, sia come donna in un periodo storico duro, dominato ancora dalla potenza maschile, sia come madre e lavoratrice. Perugia fa da contorno e viene fuori da quell’oblio di piccola città di una piccola regione. È anche grazie a lei che sono fiero di essere perugino; nel bene e nel male, rispettando il posto da cui provengo, senza restarne troppo sottomesso.
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