Sembra esagerato classificare la non qualificazione della Nazionale Italiana ai Mondiali di Russia 2018 come un lutto nazionale. Basta scrollare per un po’ i vari social che però ci si rende conto di quello che ha significato per molti italiani questo fallimento. Anch’io sono amareggiato. Niente grandi riunioni tra amici, conoscenti e vicini per tifare, mangiare, bere e gioire -o singhiozzare- insieme. Forse l’unica nota positiva è che non avrò distrazioni per la tesi, ma non ci credo nemmeno io.
Però quant’è successo è figlio di un atteggiamento sbagliato. Un atteggiamento che accomuna molti in questo paese. E tra questi molti mi ci metto anch’io.
Pensavamo di qualificarci per diritto divino. Che la Svezia fosse solo una formalità. Che si immolasse per regalarci un mese di Mondiale. Forse l’unico momento di vera unità nazionale.
Un approccio diffuso. Dallo studente che non si prepara per l’esame e si presenta strafottente pretendendo di passare, al politico che se ne frega dei bisogni dei cittadini per poi affrettarsi a rattoppare la sua immagine in vista delle elezioni.
Così questa Nazionale ha approcciate le qualificazione. Con un po’ di supponenza, indolenza, come se fossero un obbligo a cui adempiere ma della cui utilità pochi erano convinti. Lo stesso nell’andata del play-off, fino all’autorete di De Rossi.
Il ritorno poi è stato giocato con passione. Bisogna ammetterlo. La grinta riempiva i volti di ognuno dei giocatori in campo. Ma non può bastare. Non può bastare perché non è così che va il mondo. Non ci si può svegliare a poco dalla catastrofe per cercare di rimediare in fretta e furia. Può andare bene. Una volta. Non questa però.
È il castigo che nessuno si merita, ma di cui, forse abbiamo bisogno.
Non solo come Nazionale, ma come Nazione.
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