Con le parole del rapper Piotta, si chiudono tutti gli episodi di Suburra, serie Netflix ispirata dal romanzo di Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo sul mondo della mafia romana odierna. Un mondo che è venuto alla luce negli ultimi anni. Un mondo che tutti conoscevano. E le parole di Piotta, scritte non per la serie, ma per raccontare la sua città sono perfettamente indicative di quelle che è Roma.
Mafia Capitale ha portato alla luce quel mondo di mezzo che metteva in contatto criminalità e politica. Quel mondo dove criminali di bassa lega e potenti mettono da parte le differenze per poter sedere allo stesso tavolo e spartire lo stesso ricco pasto.
Roma, 2008. Una commissione del Vaticano deve decidere a chi assegnare dei terreni lungo il Lido di Ostia. Sono loro i protagonisti della serie. Per loro i personaggi tramano, tradiscono, minacciano, uccidono. Ad amministrare il tutto ci pensa Samurai, interpretato da Francesco Acquaroli, che diventa il braccio delle famiglie mafiose del Sud Italia nell’affare di Ostia. Ostia che è il feudo degli Adami, famiglia di “ristoratori” da litorale. Al padre Aldo si affianca nella gestione degli affari la figlia Livia, mentre il fratello minore Aureliano è sempre ai ferri corti col padre, accusato di ritenere il figlio colpevole della morte di parto della moglie. Rivali degli Adami sono gli Anacleti, famiglia sinti che vuole sfondare nel territorio dei ristoratori di Ostia. Il capo del clan zingaro è Manfredi, che lega in matrimonio il fratello Spadino (Alberto per la mamma) con Angelica, rampolla di un’altra grande famiglia della mala zingara. L’unione aiuterà la scalata della famiglia verso il vertice della criminalità romana. Spadino però non sarà d’accordo. Si capisce fin da subito il suo disagio nello stare con una donna. Omosessuale, in una famiglia sinti, dovrà però reprimere la sua identità .
Nella Suburra però non gravitano solo criminali brutti e cattivi. Ci sono anche quei colletti bianchi che innestano il malaffare nella politica. Quegli arrivisti disposti a tutto pur di non rinunciare al benessere. Quei prelati più attaccati al soldo che al Vangelo.
C’è Amedeo Cinaglia, politico del popolo, onesto e per questo dalla carriera poco brillante. La sua integrità da consigliere comunale di Roma viene messa da parte, non senza remore morali, quando Samurai ne chiede l’appoggio interno in Consiglio. Una firma per far sì che l’affare sui terreni di Ostia sia vantaggioso.
C’è Sara Monaschi, revisore dei conti in Vaticano, che corrompe Monsignor Theodosiu, membro della commissione vaticana che si occupa dei terreni di Ostia, proprietà della Chiesa. L’obbiettivo della Monaschi è ottenere i terreni per la ditta del marito sfruttando la volontà del Vaticano di cederne la proprietà per sistemare i conti. Al fianco della Monaschi c’è Gabriele “Lele” Marchilli, giovane amante di Sara, interpretata da una fredda Claudia Gerini, il quale, nonostante sia figlio di un poliziotto, procura cocaina e prostitute per i festini organizzati per il Monsignore. La carriera criminale di Lele prenderà però una brutta piega, e anche lui si troverà immerso in quel sottobosco criminale di una Roma che divora come un barracuda.
Tutti questi personaggi gravitano intorno a questi terreni. Terreni che in un comune come quello di Roma, costantemente sotto l’assedio bulimico dei palazzinari, hanno un valore enorme. Se poi nel film diretto da Stefano Sollima nel 2015 la questione arriva ai banchi del Parlamento, è chiaro come l’investimento criminale in essere è qualcosa che esula dalla piccola criminalità di borgata. Una realtà che si manifesta sempre più evidente anche ai personaggi -eccezion fatta ovviamente per il Samurai- durante il procedere degli eventi. L’alleanza Lele-Aureliano-Spadino non può funzionare. Nel novembre del 2011, nei giorni prima dell’Apocalisse, Aureliano è ormai diventato Numero 8 e gestisce come un vero boss il litorale di Ostia; Spadino si muove a lato delle grandi manovre del fratello Manfredi e del clan; Lele nemmeno è presente. Ma non bisogna aver visto il film per immaginarsi come gli affari possano andare a finire per un trio del genere: basta la prima puntata. Non possono competere con il Sistema. Il loro sodalizio non può intralciare la trama del Samurai, che prevede uomini in Vaticano, in Comune, un via-vai costante di uomini e donne che lo informano di tutto quello che accade intorno al suo affare, e l’assoluta assenza di riposo.
Suburra racconta una criminalità diversa a quella di un’altra grande serie di produzione italiana: Gomorra. La violenza è l’extrema ratio di un potere criminale che minaccia sfruttando debolezze e scheletri nell’armadio. Il buon nome, la reputazione sono valori più importanti della vita. Come può un monsignore far trapelare le sue passioni per le orge e la cocaina? È impensabile. Per lui, come per il sistema ecclesiastico. Una cosa impensabile nella serie prodotta da Sky. L’arma della camorra è la violenza. Nei quartieri difficili di una metropoli tentacolare e complessa come quella napoletana un morto in più non raccoglie l’attenzione dei media. Si deve dar fuoco ad una ragazzina per far si che l’Italia tutta si interessi. Un altro giovane soldato morto per il controllo di una piazza, o per vendicare un torto subito da un clan rivale, è normale amministrazione. A Roma così non si può fare. Non si può ammazzare un uomo politico, o un alto prelato del Vaticano. Ma nemmeno serve. Gli unici ad utilizzare senza troppi problemi le armi da fuoco sono gli Anacleti, gli zingari. Un indicatore chiaro di come la violenza istintiva e spregiudicata non faccia parte del repertorio criminale della cupola criminale che governa oggi la Capitale. Anche Aureliano, è incline all’uso della violenza per risolvere i suoi problemi. E la testata che lancia durante la prima puntata ad uno zingaro, che sarà alla base dell’escalation tra le due famiglie, è l’emblema di come l’impulsività non serva nella gestione degli affari criminali. Basta vedere la fine di Roberto Spada: libero come un fringuello di gestire gli affari criminosi della sua famiglia prima di quella testata che gli è valsa l’arresto e l’accusa di violenza privata e lesioni aggravate dal metodo mafioso.
La criminalità della Suburra è qualcosa di più fine di quella delle Vele. È un’organizzazione di potere politico, non militare. Un potenza politica che è però subordinata a quella militare ed economica delle famiglie del Sud.
Il legame tra Suburra e Gomorra non è quindi solo di genere, ma più profondo. Sono due realtà che non scorrono parallele ma che si intrecciano. L’enorme liquidità generata dai traffici illeciti nel proprio territorio di competenza viene poi reinvestita nel resto d’Italia, e anche a Roma, grazie all’appoggio diplomatico di chi vive e lavora da sempre vicino al cuore pulsante del potere politico del Paese. Gomorra e Suburra sono due realtà italiane. Due realtà raccontate in maniera magistrale senza mettere i criminali su un piedistallo.
Chiudo con poche parole.
Più Suburra.
Più Gomorra.
Ma solo in televisione.
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