Andiamo a dare un’occhiata alla filmografia di Paolo Virzì, elencando quelli che sono i suoi cinque film più belli, emozionanti e rivoluzionari. Perché, vero è, che Virzì ha trasformato il cinema italiano degli ultimi venti anni riportando in auge la commedia e quel particolare genere del cinema vernacolare che sa essere sia apprezzato a livello locale sia universale e intelligibile a tutti.
.1 Ovosodo (1997): In un’atmosfera spoglia e sporca, cruda e cinica che, come disse lo stesso regista, è cavallo tra una commedia italiana e un film underground benissimo riconducibile ad una storia di strada anglosassone, ambientata nei bassi fondi di Liverpool o Manchester. Il terzo film, “Ovosodo”, è la storia di un ragazzo, Piero (Edoardo Gabbriellini), cresciuto nel quartiere popolare di Livorno che da nome al titolo. Dalla sua nascita, comprendendo la storia della sua famiglia un po’ disgraziata, del padre galeotto e della matrigna, fino allo sviluppo adolescenziale e la scoperta del sesso femminile. In seguito, dall’ultimo anno di liceo, con la presenza di nuove amicizie, fino al riscatto sociale di un lavoro ben retribuito e il felice matrimonio. Virzì dà di Livorno un’immagine completamente diversa da quella che si penserebbe di solito. Classica e piccola città sulla costa toscana; è invece molto di più. Covo di genti diverse e luoghi nascosti, dai quali fuoriesce uno spirito e carattere territoriale che poi torna nei film del regista e che è tipico di una società nata nel 400 e 500 con la bonificazione medicea, con l’arrivo di prigionieri e poi con l’arrivo degli ebrei sefarditi che venivano dalla Spagna. Il film è diventato col tempo un cult unico, raro, come non se n’erano visti prima. Virzì fa di Livorno la sua Glasgow, descrivendo personaggi e ambienti stralunati e malfamati, e la sua Napoli, accentuando la poesia e lo spirito farsesco del popolo Livornese; duro, rozzo ma elegante e solitario nel suo insieme. Il primo film, inoltre, dove tutti questi elementi, il dialetto, la terra natale, il carattere, il modo di fare e di essere, il romanticismo e lo spirito d’avventura romanzesco, escono fuori dalla mente del regista e dalla sua natura; avventurosa, romantica, sentimentale e piena di humor nero. Figlio di quella terra.
.2 Il capitale umano (2014): Simile matrice a quella di “Ovosodo” per alcuni aspetti, ma di diverso contesto; a mio parere, il suo terzultimo film è uno dei suoi più belli. Qui la commedia c’entra poco, e si solleva dalla trama la tematica centrale della sopravvivenza umana a scapito di altri esseri umani. La mistificazione fra le varie classi sociali e tra le varie caste, in Italia ancora vive e divisorie. Il tema del protagonista di basso rango, che si relaziona con individui più benestanti e che hanno potere sul popolino, è principale quanto fondamentale nei film di Virzì. Perché è un tema presente anche nella letteratura, nei romanzi di Dickens e Twain che formano il giovanissimo regista prima di entrare nel cinema. C’è anche il gioco violento e alienante della rivalsa sociale a tutti i costi che finisce con il ritorno a ciò che è sempre stato; i signori da una parte e i plebei dall’altra con, in più, il sacrificio da parte di uno di questi ultimi per mantenere le cose come stanno. “Il Capitale Umano”, diviso in vari capitoli, finisce col dare al pubblico la vera faccia della società, soprattutto della nostra, quella italiana. La faccia di chi misura il valore di un uomo in termini monetari. Un concetto già visto, per fare un esempio, in “La poltrona per due” di John Landis. Ma se nel film con Eddie Murphy c’era più divertimento e ironia, nell’opera di Virzì si arriva al vero dramma e al thriller. Tratto dal romanzo di Stephen Amidon, parte del successo de “Il Capitale Umano” è dovuto alla giusta scelta degli attori tra i quali spuntano Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Bentivoglio e Fabrizio Gifuni. L’ambiente, sebbene non più Livorno, è universale e lo stesso per tutti gli strati sociali.
.3 La prima cosa bella (2010): La poetica di questo film è pari alla grandissima e sublime interpretazione delle tre attrici che governano e muovono la trama della pellicola. Micaela Ramazzotti nella parte della madre da giovane del protagonista, Stefania Sandrelli in quella della madre anziana e vicina alla morte e Claudia Pandolfi, sorella del protagonista. È la storia di Bruno Michelucci, un fallito e tossico dipendente professore che, dopo la lunga assenza da Livorno, è costretto a ritornare accompagnato dalla sorella Valeria poiché la madre, affetta da tumore, sta per morire. Nel suo ritorno deve fare i conti con la storia della sua vita, da bambino ad adolescente, sempre in pieno contrasto con la madre, donna apparentemente libertina e infedele ma che agisce solo per il bene dei suoi due figli. Un flash back dopo l’altro che spiega e mostra il vero carattere dei personaggi principali e il loro agire nella Livorno degli anni sessanta e poi in quella dei giorni nostri. Mirabile interpretazione della Sandrelli che non perde la grinta avvicinata dalla Ramazzotti e dalla Pandolfi. Ma tutto il cast è sinceramente perfetto, da Valerio Mastandrea a Marco Messeri e Dario Ballantini. C’è anche un omaggio al cinema italiano della commedia, nella scena in cui si sta girando “La moglie del prete”, in cui, nei panni del regista Dino Risi, c’è il figlio Marco. Il dialetto livornese torna a fare da padrone accompagnando le vicende che si intersecano tra presente e passato.
.4 Caterina va in città (2003): Questa volta Paolo Virzì sceglie Roma e i suoi dintorni dove ambientare una nuova storia. Caterina Iacovoni (Alice Teghil) è una giovane ragazza con la passione per la musica classica e il canto. La sua timidezza è riscontrabile nel carattere sottomesso della madre (Margherita Buy) e insieme non possono fare altro che stare agli ordini e alle idee megalomani e confuse del padre (Sergio Castellitto). Quest’ultimo, dopo aver insegnato a Montalto di Castro, riesce ad ottenere un posto in un liceo di Roma e la possibilità di ascendere a più alti livelli sociali è un suo chiodo fisso. Una frustrazione che lo porta a influenzare anche Caterina, alla quale consiglia e ordina di farsi amicizie altolocate tra i figli dei più importanti uomini d’arte e di politica della capitale. Caterina cerca di accontentare il padre senza mai riuscirci; dopo aver conosciuto la figlia di due noti scrittori, diventa amica della figlia di un noto politico di destra, ma anche in questo momento capisce di non essere all’altezza. O più semplicemente, di non essere interessata da quella voglia di riscatto che invece opprime il padre portandolo, alla fine, alla fuga da casa dopo aver scoperto la relazione della moglie con un suo caro amico d’infanzia; e dopo aver capito di non essere stato un buon padre. Dopo di che, la moglie e Caterina sono ormai libere di vivere a loro modo, inseguendo i propri interessi. Più che a livello sociale, è la donna che si impone sull’uomo a livello domestico; primo vero step fondamentale per poi inserirsi a pieno nella grande e convulsa società.
.5 N – Io e Napoleone (2006): Come ultimo di questi cinque film, voglio citare forse il meno famoso di Virzì. Non inserisco “La Pazza Gioia” solo perché aspetto che il numero di film cresca. “N – io e Napoleone”, è un film storico tratto dal romanzo “N.” di Ernesto Ferrero. Girato quasi interamente a piombino e nel livornese, è la storia di Papucci Martino (Elio Germano), un giovane e sognatore maestro di Porto Ferraio il quale, non appena sa dell’arrivo di Napoleone (Daniel Auteil) come esiliato sull’isola d’Elba, medita di ucciderlo ponendo fine alla tirannia e la tragedia che l’ex imperatore aveva portato in tutta Europa. Finisce col diventare il suo bibliotecario e confidente e i tentativi di assassinarlo falliscono uno dopo l’altro. Solo alla fine, quando vede morire il suo maestro di vita, Fontanelli (Omero Antonutti), decide di darsi da fare. Entrato nelle sue stanze lo pugnala nel letto dove, però, non c’è nessuno. Napoleone è già lontano e pronto a riprendersi il potere. Anni dopo, quando ormai la vendetta è lontana e il lavoro e la famiglia sembrano interessarlo di più, ritrova la pistola con la quale aveva tentato di uccidere il tiranno francese. Decide di seppellirla nella tomba del maestro Fontanelli. Tuttavia, mentre è chino sulla terra bagnata, capisce di dover affrontare nuovamente Napoleone. La didascalia finale ci dice che Martino ha lasciato l’Elba per raggiungere l’imperatore a Sant’Elena dove era stato esiliato. Ma al suo arrivo era ormai troppo tardi; era già il 6 maggio 1821. Su consiglio di Roberto Benigni, Paolo Virzì legge il romanzo di Ferrero e ciò che ne viene fuori è un film molto carino e divertente con un cast di attori formidabile. Germano e il francese Auteil sono perfetti per i loro ruoli. Valerio Mastandrea interpreta Ferrante, il fratello maggiore di Martino, e Sabrina Impacciatore sua sorella Diamantina. Massimo Ceccherini viene scelto per la parte di Cosimo Bartolini, lo spasimante di Diamantina e poi si annoverano nomi importanti del teatro e del cinema toscano come Carlo Monni e Vittorio Amandola. Infine, anche la bella Monica Bellucci rientra nel cast trasportando, invece che il dialetto livornese, il dialetto di Città di Castello; e per un perugino come me, sentir parlare castellano in un film italiano è qualcosa di estremamente insolito e divertente.
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