Ironia, arrivismo e crudeltà. Sono questi i tre grandi ingredienti di Morto Stalin, se ne fa un altro (The Death of Stalin).
Il film del regista scozzese Armando Iannucci sviscera le trame, i sotterfugi e i complotti, che hanno animato Mosca nei giorni successivi alla morte del Compagno Stalin.
Grazie ad un cast d’eccezione un’atmosfera pesante, come quella dell’Unione Sovietica, viene resa con una comicità leggera e tagliente allo stesso tempo, mai squallida né fuori luogo. L’intero sistema del totalitarismo sovietico viene messo alla berlina: dall’onnipresenza del Partito alla paura, comune a tutti, di infastidire il Segretario Generale Iosif Stalin; dalle tremende pratiche della polizia segreta alla perversione quasi grottesca dei suoi vertici; dall’ipocrisia più sfacciata del leader alla sua più assurda glorificazione.
La politica nel suo lato più assurdo e meschino. Come dei fedelissimo faranno di tutto per sostituire il leader improvvisamente scomparso senza un chiaro lascito è il tema del film. Nulla di inventato. Tutto vero. È storia.
Simon Russel Beale è Lavrentij Berija, capo della polizia segreta. Esecutore materiale degli omicidi politici di Stalin si dimostra già pronto a prendere le redini del paese facendo leva su Georgij Malenkov (Jeffrey Tambor), indeciso e timoroso vice proprio di Stalin, che si ritroverà ai vertici del paese.
Michael Palin è il famoso Ministro degli Esteri Vjačeslav Molotov (proprio quello del patto con i nazisti per la spartizione della Polonia). Una grande interpretazione la sua, che ci fornisce un personaggio ambiguo, incapace di discostarsi anche solo di una virgola da quella che è la linea del partito: non si capisce mai se la sua è pura adesione ideologica o solo tanta paura di finire in Siberia (anche se io metterei i miei soldi sulla seconda!).
Steve Buscemi invece è lo straordinario interprete di un Nikita Chruščёv totalmente inaspettato: simpatico, irriverente, ma determinato. È l’outsider che sbuca alla fine e vince tutto. Nonostante viene messo in disparte ad organizzare le esequie di Stalin. La facciata di un incarico di tanto prestigio nasconde un declassamento. Declassamento che Niki non può tollerare. Così inizia a muovere le sue pedine per cercare di eliminare Berija, troppo potente come capo della polizia segreta, e assumere la guida del Partito, e quindi del Paese.
L’ironia con cui il film riesce a trattare le lotte di potere all’interno di uno dei regimi totalitari peggiori della storia centra perfettamente il punto. L’ideologia è solo un mezzo per raggiungere il potere. Niente conta più di quella scrivania da cui tutto viene deciso. Anche gli affetti sono sacrificabili per raggiungere il vertice del potere.
L’atmosfera surreale di certe scene, come il direttore d’orchestra deportato a teatro per rimpiazzarne un altro mentre sullo sfondo decine di persone venivano realmente deportate, è quella di una società in cui le libertà che diamo per scontato sono sospese, in cui anche una parola fuori posto può significare la morte. È l’atmosfera che si spera non si debba più vivere in Europa nonostante un certo revival abbia sempre più seguito.
Morto Stalin, se ne fa un altro è uno di quei film che riescono con un pizzico d’ironia a far riflettere sulle pagine più nere della Storia. Uno di quei film che tutti dovrebbero vedere, per ridere, ma anche per riflettere.
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