Sono sempre stato legato a Eduardo De Filippo e a tutta la sua immensa opera drammaturgica. Soprattutto adesso, sono certo del fatto che il suo spirito e le sue idee siano più vive che mai; ora che vengono ridate alle stampe molte delle sue commedie in lustre edizioni, sotto forma anche di fumetto per coloro, specie i più giovani, che sono attratti dal suo lavoro ma scelgono una strada più simpatica e grafica per entrare nel mondo immaginato e descritto da Eduardo. C’è la riscoperta del teatro di De Filippo che viene tramandato in maniera esaustiva e originale da svariate compagnie teatrali e persino un cofanetto completo di tutte le sue commedie sembra essere una spesa più utile di altre. In quest’epoca stralunata, in bilico tra la tragedia naturale e quella umana, sociale, è inutile e incomprensibile cercare la risposta nei volumi e negli scritti più d’elite, nelle tecnologie più avanzate; quando, invece, tutto ciò di cui abbiamo bisogno è proprio qui ed stato già scritto. Leggetevi una commedia di Eduardo e la risposta per una buona esistenza, universale o solo individuale e comunitaria, la si trova sfogliando o guardando. Traendo da quella filosofia napoletana uno spunto per la crisi che ci abbatte si scopre anche lo spunto per quella tranquillità e assoluzione che tanto cerchiamo.
Eduardo non da, almeno non subito, una vera, unica e inequivocabile risposta per la pace sociale, familiare, politica ed economica. Da, invece, una serie di risposte e di verità che sono frutto del malcontento generale e dell’alienazione che ci attanaglia da decenni; è agghiacciante notare e rendersi di conto come molto di quello che Eduardo scrisse negli anni venti, trenta e quaranta, ritorna ancora oggi. Torna con una maschera diversa ma lo stesso volto di un mondo cicatrizzato; al confine tra catastrofe e salvezza.
Il grande drammaturgo e attore del nuovo teatro, descrive i nostri sentimenti e gli istinti più animaleschi ripiegandoli tutti insieme in un ambiente familiare. Molte delle tematiche da lui affrontate come la guerra, l’amore, gli screzi tra uomo e donna, tra padre e figlio, la sete di denaro, la prostituzione, il ruolo della donna, l’omicidio, il sogno che si mescola alla realtà, la realtà che si mescola al sogno, altro non sono che problematiche riplasmate dalla nuova società che si distacca da quella passata e creano una visione nuova; più cinica, menefreghista e confusa. Un fatto atroce come quello della guerra è visto in maniera ancor più grande e cruenta quando lascia i suoi strascichi in un ambiente chiuso e ristretto come quello domestico o di una città di piccole dimensioni. Eduardo è nel campo di battaglia e come una sorta di reportage bellico affronta e prende appunti sui più diversi e cruenti comportamenti umani; comportamenti che diventano concreti sul volto della madre o su quello di un portiere di palazzo.
Nella vita quotidiana di tutti i giorni, egli descrive il dramma sociale, la psicologia umana in molte sue forme. Ancor più grandioso è carpire e capire vari aspetti dell’esistenza anche se spiegati in napoletano. La lingua partenopea diventa quindi una lingua universale e molti dei concetti e modi di dire che ritornano nelle sue commedie sono diventati con il tempo di uso comune; si pensi alla frase “adda passà a nuttata”, pronunciata dal personaggio di Gennaro Jovine in Napoli milionaria, che nel gergo di tutti i giorni significa avere pazienza, bisogna aspettare e vedere cosa succede. Tutto ciò che Eduardo ha detto e scritto, è più contemporaneo che mai. Tra gli spunti reali e autobiografici il mondo eduardiano è la realtà che appare ai nostri occhi. Vizi e pregi umani in una Napoli che potremmo descrivere come centro dell’umanità; da quella più giusta e simpatica a quella più parassitaria e crudele.
Uomo e galantuomo (1922)
Iniziamo questa rassegna citando alcune tra le sue commedie più belle e interessanti; solo alla fine daremo un volto biografico più ravvicinato al grande autore napoletano. Cominciamo da Uomo e Galantuomo. Composta nel 1922, l’opera risente ancora gli influssi della commedia napoletana tradizionale; quella di Scarpetta soprattutto. Non è ancora un “eduardo” al cento per cento; potremmo descriverla come una classica farsa degli equivoci con episodi e battute irresistibili che si aggirano per tutta la commedia.
La sgangherata compagnia teatrale comandata da Gennaro De Sia, riesce a farsi ospitare gratis nell’albergo del ricco Alberto De Stefano a Bagnoli. Per riscattarsi dal brutto spettacolo della sera prima, Gennaro allestisce le prove -se così si possono chiamare- della nuova commedia intitolata “Malanova” composta da Libero Borio. Già dalla prova, l’opera è ridotta uno straccio a causa dell’incompetenza degli attori. La prova si termina con un inseguimento; Salvatore, fratello della prima donna, messa in cinta da Gennaro, la vuole difendere da quello sfruttatore. Infatti Salvatore, prima delle prove, aveva parlato con Alberto De Stefano, il quale gli aveva detto di volersi sposare la sorella e prendersi cura del figlio. Salvatore e così Alberto, hanno capito male; il primo ha pensato che stesse parlando della sorella, mentre il secondo credeva alludesse a Bice, la donna che corteggia da mesi, la quale però non vuole confessargli dove abita. Insomma, dopo questo primo malinteso, Salvatore scarica la sua ira addosso a Gennaro che, per scappare, sbatte contro la pentola per gli spaghetti e dell’acqua bollente finisce sui piedi ustionandoli.
Il secondo atto si apre nella villa di Bice, donna sposata con un dottore e con un’anziana madre a carico. Il marito, Don Carlo Tolentano, fa entrare in casa sua Gennaro De Sia per guarirgli le ustioni e fasciargli i piedi. Mentre i due entrano nello studio medico, arriva a palazzo il giovane Alberto De Stefano. Non sapendo che la donna sia sposata, va dalla madre e la chiede in sposa. Quando ritorna il marito sta per accadere il peggio ma Alberto, per evitare di essere ucciso dal marito di Bice, si finge pazzo intonando l’allegra e stravagante canzoncina “Lallalarallì, lallalarallà”. Il dottore, confuso tra verità e bugie da parte del giovane, chiama la polizia che arriva e arresta De Stefano. Prima che possano portarlo via, Gennaro, per evitare scandali afferma anche lui la pazzia del giovane.
Terzo atto. Portato in caserma, il dottor Tolentano fa visita a De Stefano al quale suggerisce di restare pazzo. Il motivo? Ha scoperto tutto tra lui e la moglie e la finta pazzia è l’unico modo per Alberto di rimanere vivo. Se così non farà il dottore gli promette che si vendicherà. Alberto, impaurito, accetta e viene rispedito in cella. Poco dopo l’arrivo del delegato di polizia, arriva anche la giovane Bice. La ragazza afferma di aver inscenato il tradimento con De Stefano perché aveva scoperto del tradimento del marito con un’altra donna. Il delegato racconta poi il fatto a Gennaro De Sia e, convinto di questo, sta per rilasciare De Stefano ma quest’ultimo, non sapendo niente, continua la farsa del finto matto. Mentre il delegato, esausto, sta per accontentare il ragazzo e spedirlo in manicomio, torna Gennaro che dice tutto ad Alberto. Resosi conto supplica il delegato di rilasciarlo. In quel preciso istante torna Tolentano con la moglie e la frittata si rovescia a scapito suo; per uscirne da vero galantuomo, si finge pazzo e intona la stessa canzoncina “Lallalarallì, lallalarallà”. De Stefano è libero e se ne può andare e mentre anche Gennaro sta per seguirlo, il delegato lo ferma ordinandogli di pagare il proprietario dell’Hotel per la loro permanenza. Senza neanche una lira, De Sia si mette il cappello, si allaccia la giacca e con i piedi ancora fasciati intona “Lallalarallì, lallalarallà”. La commedia finisce.
La tradizione napoletana ritorna in una delle sue opere prime come Uomo e galantuomo, nelle quali sono ancora vivi i precetti e gli insegnamenti dell’arte comica. Infatti, se si vede l’interpretazione di Eduardo nello spettacolo televisivo, ci si rende conto di come sia tutto un’omaggio anche alla società del buon vestire, alla difesa dell’onore e alla Belle Epoque. Nella scena delle prove c’è, inoltre, uno studio approfondito sull’arte, più che del bravo comico e attore, di quello cattivo. Piuttosto che un semplice episodio burlesco, è un insegnamento che Eduardo propone su come si faccia a recitare male. Difficile è recitare, ancor più difficile è recitare alla perfezione, ma difficilissimo è saper recitare orribilmente con degli attori bravi e del mestiere. Eduardo riesce in questa piccola messa in scena a superare la passata tradizione; e sebbene non se ne separerà mai, il suo scopo è troppo grande per quel genere di teatro e tutto ciò sarà più chiaro nelle opere successive.
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