Il Vegetale. Alla fine sono andato a vedere il film di Fabio Rovazzi. E sapete una cosa? Come film d’intrattenimento, leggero e senza pretese, per me, ci può anche stare.

Un giudizio veloce e serio: comicità spesso bambinesca (per centrare a pieno il target dei fan di Rovazzi) accompagnata però da alcuni tratti di satira ben riusciti; qualche moralismo di troppo; un fastidioso Luca Zingaretti; un Ninni Bruschetta sempre sul pezzo; e per concludere, tema colto in pieno.
Il film si concentra infatti sulla difficoltà dei giovani ad inserirsi nel mercato del lavoro.
Fabio Rovazzi è un giovane disoccupato in cerca di un lavoro che è disposto a tutto pur di lavorare. Dopo la morte della madre ha rotto i rapporti con suo padre (Ninni Bruschetta) e vive con un fattorino di un ristorante di sushi. Nonostante la laurea in Scienze della Comunicazione l’unico stage che riesce a fare è uno nel quale deve consegnare volantini.
Quando il padre ha un incidente Fabio diventa responsabile dell’impresa che nel frattempo il genitore si era creato, anche grazie ad un pizzico di disonestà. Ma Fabio non ha la stessa mentalità, e finisce per liquidare l’aziende e denunciare il padre per abuso edilizio. Di nuovo senza un soldo, ma con una nuova sorellina -più sveglia di lui, è contattato di nuovo per quello stage e spedito in un piccolo paese agricolo del Centrosud.

Qui inizia il suo ‘stage’ come bracciante nei campi di pomodori. Niente stage in nessuna agenzia pubblicitaria. Cassette e pomodori. A seguirlo in questa trasferta c’è la sorella, catapultata dalle chic scuole private di Milano alla scuola pubblica di questo paesino popolato da braccianti africani.

E questo è un tema interessante, che nel film non è stato affrontato né con la retorica dell’invasione di una certa destra, né con il buonismo di una certa sinistra. Il destino dei piccoli centri tipici dell’entroterra della nostra penisola è infatti incerto. Questi sono infatti sempre più disabitati, con i giovani che se ne partono verso le città vicine, attratti da maggiori possibilità di studio e lavoro. Così, sempre più spesso gli anziani rimangono gli unici abitanti di questi piccoli borghi che diventano sempre più spesso luogo di villeggiatura per ricchi stranieri o ex-abitanti. Ma con l’aumentare del fenomeno migratorio sempre più immigrati scelgono di trasferirsi in queste piccole comunità dove, come nel paese del film di Rovazzi, possono lavorare come braccianti. Un classico lavoro che “gli italiani non vogliono più fare”.
Gennaro Nunziante affronta anche questo tema con una buona dose d’ironia. Non si lascia andare né a pietismi, né a razzismi. L’esagerazione scenica zooma su un aspetto particolare del nostro tempo e della nostra società, oltretutto molto sensibile come dimostra la campagna elettorale.
Rovazzi riesce ad integrarsi nella sua nuova comunità, anche grazie al supporto di Luca Zingaretti, alias Armando, ed arrivato alla fine dello stage è ansioso di poterne ricavare qualche frutto. Il mondo del lavoro si mostrerà per quello che è oggi: precarietà, disonestà ed incertezza.

Fabio è però cambiato. Ha appreso l’importanza del lavoro, e come nelle migliori favole americane riesce a costruirsi un futuro da solo con le proprie mani.
È soltanto l’ennesima vittoria del capitalismo.
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