In un periodo di forte collasso politico come questo, la TV inizia ad offrire serate dedicate alla visione di film tematici. Il genere risorgimentale, delle rivoluzioni italiane a inizio ottocento, le cosche carbonare, vorrebbero forse essere un modo per risvegliare il popolo italiano. Troppo stanco per prendere in mano una lotta armata contro il mal governo e i giochi di potere. Eppure è sempre bello starsene a casa quando trasmettono di questa roba. Siamo arrivati al punto che, se in periodo di elezioni Rete 4 trasmetteva solo Peppone e Don Camillo, dopo le ultime elezioni del 4 marzo 2018 si devono guardare film sulla vita di Garibaldi o le cinque giornate di Milano. Come a sottolineare il fatto che il popolo debba svegliarsi e riprendere in mano la situazione politica e sociale del paese. Oppure questi sono soltanto dei pensieri troppo belli e valorosi per non capire che, forse, ci stanno prendendo in giro?
Tuttavia non voglio allargarmi eccessivamente sull’argomento. Dirò solo che il film preso in questione ne ha tanta di satira al suo interno. Un manifesto dell’Italia che non cambia, e che a distanza di secoli è sempre la stessa; sorniona, incazzata, frustrata ma rassegnata nel suo tentativo di riscatto.

Nell’anno del signore, scritto e diretto da Luigi Magni, vuole essere un affresco storico della Roma papalina e dei moti carbonari di metà ottocento. Dopo la completa disfatta di Napoleone, a Roma vige la completa repressione di ogni libertà. Coprifuoco dopo lo scoppio del cannone di Castel Sant’Angelo, reclusione degli ebrei nel ghetto nonché battesimo forzato di ogni giudeo. Tutto sembra tacere sotto il potere di Papa Leone XII, ma la statua di pietra di Pasquino continua a mandare messaggi scritti al governo ecclesiastico. Pasquino è infatti un misterioso satirico la cui critica è rivolta personalmente al Papa e a tutti coloro che prendono ordini da lui.
Il cardinal Rivarola (Ugo Tognazzi), uomo integerrimo e inarrestabile nella sua furia repressiva, cerca questo famoso epigrammatico in tutta Roma, e manda ogni notte truppe militari in giro per la città. Nello stesso tempo, il dottor Leonida Montanari (Robert Hossein) e la sua cricca, escogitano un modo per rovesciare il governo. Trovatosi a Castel Sant’Angelo per alcuni lavoretti, il calzolaio Cornacchia (Nino Manfredi), scopre che uno dei congiurati di Montanari, il principe Filippo Spada, ha fatto la spia alle guardie ed è pronto a fare i nomi dei rivoluzionari. Avverte immediatamente Montanari che, accompagnato dal modenese Angelo Targhini (Renaud Verley), va ad ammazzare il traditore. Giuditta (Claudia Cardinale), donna di origine ebraica e compagna di letto di Cornacchia, innamorata follemente di Montanari, cerca di convincere quest’ultimo a scappare, ma i due vanno avanti per la loro strada, e giurando fedeltà alla rivoluzione accoltellano Filippo Spada. Giunti poco dopo sul luogo del delitto, Cornacchia e Giuditta scoprono che Spada non è ancora morto, e in una corsa contro il tempo cercano di avvertire Montanari e Targhini. Il capo della polizia, il colonnello Nardoni (Enrico Maria Salerno), convoca Montanari ad assistere alla vittima, in attesa che questa parli e riveli i nomi dei colpevoli. Una volta ripresosi, Spada fa i nomi di Targhini e Montanari e quest’ultimi sono immediatamente spediti a Castel Sant’Angelo, in attesa di essere condannati a morte.

Cornacchia, apparentemente non incline alla politica e pronto a chinare il capo dinnanzi ai potenti, cerca di convincere Giuditta a restare con lui e a dimenticare Montanari. La donna, convinta che il calzolaio sia solo una carogna, lo prende a male parole continuando a santificare i due rivoluzionari come i soli che abbiano tentato di fare qualcosa contro la tirannia del pontificato. Preso dai rimorsi, Cornacchia svela la sua vera identità. Egli è Pasquino ed è sicuro ormai che per Montanari e Targhini non ci sia più niente da fare. Andrà perfino da Rivarola, proponendogli di liberare Montanari in cambio di Pasquino; uomo molto più ricercato dei due carbonari. Tuttavia, il cardinale, astuto e feroce, troverà il modo di incastrare Cornacchia il quale si vedrà costretto a nascondersi pur di non essere scoperto. Lasciato l’ultimo epigramma sulla statua di pietra, si rifugia in un convento di frati cancellando per sempre la sua vita passata di calzolaio.

Nel frattempo, un frate mandato a Castel Sant’Angelo per l’estremo saluto ai condannati, farà di tutto pur di assolvere i due prigionieri che non ci pensano proprio a pentirsi. Ma il giorno tanto atteso si avvicina, e in una piazza allestita a festa, Leonida Montanari e Angelo Targhini finiscono sulla ghigliottina sotto gli occhi di Giuditta, che guarda la scena senza più la speranza di un mondo migliore.
Nell’anno del signore è praticamente incentrato sul ruolo cardine dei due personaggi di spessore. Per chi penserà a Montanari e Targhini, dovrà ricredersi. I veri burattinai di tutta la storia sono Cornacchia/Pasquino e il Cardinal Rivarola; rispettivamente un grande Nino Manfredi e un’altrettanto formidabile Ugo Tognazzi. I due carbonari, semplici bambole nelle loro mani. Sono molti infatti gli elementi che accomunano il terribile prelato e il calzolaio; la serietà verso qualcosa in cui credono, la ferocia nell’agire e anche un po’ di viscida esperienza nell’affrontare il vivere quotidiano. Rivarola è un uomo di chiesa e per essa è disposto a reprimere con la sola violenza chiunque vada contro il potere da lui rappresentato. Cornacchia, sebbene giochi una battaglia nascosta, non alla luce del giorno, combatte per la libertà e con i suoi scritti spera in una presa di coscienza collettiva che rovesci lo stato e dia il via alla rivoluzione.
Due personaggi che si rivelano poi essere due attori di grande spessore; Tognazzi nel ruolo di uno spietato cardinale e Manfredi in quelli di un apparente calzolaio analfabeta ma che invece ha molto da nascondere. Egli infatti sa scrivere e leggere, e giocando sul fatto che tutti lo reputino un povero mentecatto, agisce di persona e brama egli stesso contro il governo. All’oscuro di ciò, oltre a Giuditta, è lo stesso Montanari che, invece, pensa di essere il solo a poter scatenare una vera e propria guerriglia.
Forte è la descrizione della società italiana del tempo in cui attori e caratteristi di contorno si dividono in preti, guardie svizzere, militari, e in rivoluzionari giacobini o giudei. C’è però un elemento importante che né Montanari né la stessa chiesa sanno possa aver ancora un grande potere. Il Popolo. Quel popolo che, invece di scontrarsi contro i potenti, chiede subito di tagliare la testa ai due traditori ritenendo il tutto una grande carnevalata a cui assistere. C’è poi chi affitta i balconi sulla piazza dove saranno giustiziati i condannati e s’incazza pure se la cosa non viene fatta al più presto. Insomma, un popolo che non si è svegliato ancora, non ancora pronto a insorgere nel sangue e nella violenza come sperava Montanari. Da quanto avverrà in futuro in Italia, si intuisce che non si sveglierà mai. Neanche in questo presente. Ora più che mai, il popolo è sempre più pigro e masochisticamente insoddisfatto.
Tra i vari attori principali e di contorno, ricordiamo una giovane Claudia Cardinale nel ruolo di Giuditta De Castro; donna accecata dall’amore per Montanari che solo in lui vede una speranza. Robert Hossein nei panni di Montanari, e un fresco Alberto Sordi sotto forma di fraticello ingenuo ma di buon cuore. Infine, Pippo Franco in una delle sue prime apparizioni cinematografiche nel ruolo di “bella chioma”; rozzo pastorello e confidente di Cornacchia.
Musiche di Armando Trovajoli, e sceneggiatura dello stesso Magni, Nell’anno del signore è ancora un’opera contemporanea e vera nel suo pensiero e nella sua descrizione; troppo se si pensa che sono passati ben cinquantuno anni e niente è veramente cambiato. Ancora siamo legati a ciò che dice la chiesa, e ancora ci sono tante fazioni politiche e di pensiero che non prenderanno mai una decisione. Il popolo italiano deve svegliarsi; dovrà farlo al più presto.

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