Capire, ascoltare, ma soprattutto vedere un film o solo una sequenza di un’opera di François Truffaut è come sfogliare il primo libro della vita, di un’infanzia; o meglio, come gustare il primo abbecedario, in cui le primissime conoscenze del mondo ti accolgono con la bramosia di essere lette e indagate. Uno dei registi più favolosi del secolo scorso, il cui cinema, più che una messa in scena di sola finzione, permette di scoprire altre forme e personaggi della stessa arte o di altre, mettendoti in una posizione di costante crescita culturale -basti pensare alla lunga gavetta da critico cinematografico avvenuta assieme ad altri colleghi francesi. Il cinema di Truffaut, ancor più che semplice arte vellutata di bella poetica e belle sequenze, è una “classe aperta” che ti porta veramente a conoscere tutto il cinema; dalle tecniche agli insegnamenti teorici, dai più illustri cinematografari fino a quelli meno conosciuti. Ogni suo film è un viaggio duraturo nelle vene e nel sistema nervoso della settima arte.
Inoltre, c’è quasi sempre quella nota autobiografica che, comunque, pone al centro l’individuo qualunque ma sognatore; quello che da bambino aveva avuto un’infanzia difficile per le strade di Parigi, o quello che di notte rubava le locandine dei film. Truffaut mette in gioco se stesso e la sua grande passione; quella che lo accompagnerà per tutta la vita trasformando un ragazzo minuto in uno dei massimi esperti di cinema. Quello che poi sarà caposaldo della Nouvelle Vague e che farà di tutto per accrescere, non tanto in se, quanto nella collettività, una stabile e salda cultura cinematografica.
Si potrebbe partire dai suoi primordi dietro la macchina da presa. Si dovrebbe dire tanto del suo lavoro come critico, sempre affannato a cercare, a scoprire, a intervistare chi, prima di lui, aveva intrapreso questa strada. Molto si potrebbe discutere del suo fare cinema e del suo vedere il cinema. Invece, mi focalizzerò su una pellicola che poi è diventata col tempo un manuale a cielo aperto. La Nuit américaine, opera del 1973 nota in Italia con il titolo di Effetto Notte.
Più che un film, è un film nel film. Ancor più che una rappresentazione nella rappresentazione, è la realtà, a volte veritiera a volte teatralizzata, di come si gira e si costruisce un’opera cinematografica.
Il regista Ferrand, interpretato dallo stesso Truffaut, è negli studi della Victorine a Nizza girando il suo film, “Je vous présente Pamela” (Vi presento Pamela). Un uomo di cinema preparato a tutto e con una grande troupe cinematografica. Nel corso delle riprese il lavoro dei tecnici, degli attori, del produttore e perfino le questioni di cuore, si mescolano nella lavorazione lasciando spazio a ogni sorta di emozione, ad ogni sorta di evento, sia felice che infausto.
Nei panni di uno dei protagonisti -in questo caso del regista stesso- Truffaut ci si mette con giocosa allegria e voglia di svelare i segreti del cinema. Ferrand/Truffaut è un Virgilio moderno che ci porta nei gironi che accompagnano la produzione di una pellicola. Nel film compaiono grandi nomi del cinema francese ed Europeo. L’attore feticcio Jean-Pierre Léaud che interpreta l’infantile protagonista del film Alphonse; grande amico di Truffaut sin dai tempi de “I quattrocento colpi”. Jean-Pierre Aumont veste i panni di Alexandre, la cui vita da Latin Lover hollywoodiano ricalca dei reali episodi dello stesso attore. Un uomo nato per il cinema e nella sua corsa sfrenata per restare giovane, trova la sua fine a pochi passi dagli studi cinematografici. Nel film anche Valentina Cortese che interpreta la ormai vecchia Séverine; attrice dal passato turbolento che mescola ormai lavoro ed emozioni rallentando la lavorazione. Jacqueline Bisset è la giovane Julie Baker, attrice inglese accompagnata dal vecchio marito, un dottore che l’ha aiutata durante il suo esaurimento nervoso.
Il cinema a volte fa brutti scherzi.
E Truffaut fa proprio questo; una cronaca di tutto ciò che può succedere quando si gira un film. Amorucci senza impegno tra attori e segretarie, la gravidanza di un’attrice, una crisi nervosa, la morte di uno degli attori. Insomma, pregi e difetti di un cinema che, per certi versi, continua ad essere lo stesso; con tutti piani già prestabiliti, il cambio di una scena o delle battute del copione. Alcune scene fondamentali vanno subito all’occhio, come la quiete prima della tempesta, la gioia fra i vari colleghi, la scelta di oggetti da mettere in scena o la maniera in cui girarne una. Quando la giovane Julie si confida con Ferrand in uno stato di esaurimento, lui, da vero regista, decide di utilizzare le parole della donna come battute da recitare dieci minuti più tardi. Il ruolo del regista che è un attento ascoltatore e osservatore; un ladro che ruba tutto ciò che possa fargli comodo. Altra scena degna di nota, è quando Ferrand, nell’intento di aprire un pacco appena arrivato lascia poi scivolare lentamente sul tavolo dei libri di cinema; Hitchcock, Rossellini, Renoir e molti altri. Vero tributo ai maestri di un tempo.
Tutto intorno, la grande macchina ovvero operatori, tecnici, fuochisti, segretarie di produzione, tecnico della fotografia, musicista, stuntman, produttore; il vero ingranaggio pulsante di tutto il circo.
La filosofia del cinema che accoglie qualsiasi tipo di reazione ed emozione. Il titolo “Effetto Notte” lo si deve al tipo di inquadratura usata per dare l’idea che le scene girate di giorno, rappresentino invece una situazione notturna; questo grazie all’utilizzo di un filtro blu difronte all’obiettivo. Inserito dalla TIME come uno dei 100 film da salvare, è un capolavoro firmato Truffaut che ci accompagna lentamente fin dentro le viscere di una produzione cinematografica, per poi uscirne fuori una volta terminate le riprese; nel momento del montaggio e poi dei saluti con tutta la troupe.
La scena finale vede un giornalista domandare al tecnico delle luci come abbiano fatto a girare nonostante le tante complicazioni -riferendosi alla morte di uno degli attori, e al prolungamento delle riprese a causa di questioni finanziarie. Il tecnico, per nulla turbato o serioso, risponde che andato tutto a meraviglia. Questo sta a significare che nel girare un film non c’è mai nulla di esatto, di facile o di perfettamente pianificato. Tutto può succedere ma la vera magia è andare avanti fino alla fine.
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