Cos’è che può unire belgi, italiani, francesi, olandesi, cambogiani e colombiani?!
Ve lo dico io: lo sport.
E nel caso particolare, la Liegi-Bastogne-Liegi: una delle corse ciclistiche più antiche e prestigiose.
Vivendo da qualche mese in Belgio, da appassionato delle due ruote, non potevo mancare l’appuntamento con La Doyenne.
Così, coscritti i miei coinquilini cambogiani -non avevano idea di cosa fosse una corsa ciclistica- ci siamo diretti verso le Côte de Saint-Nicolas.
Poi… l’attesa. Bisognava attendere l’arrivo della corsa, previsto in poco meno di due ore. Il sole scotta e avvampa. La temperatura sale. Non è il Belgio che conosco io: sembra quasi l’agosto italiano.
O sono io che non ci sono più abituato.
Poi una voce: “Andiamo a quel baretto!”
E ti pareva che non ci fossero italiani anche qua!
La voce veniva dall’altra parte della strada, oltre le transenne che delimitano la zona vicina alla sommità del muro, l’ultimo che i ciclisti dovranno affrontare prima dell’arrivo pochi chilometri più avanti.
Quella voce si era però persa tra la folla. Però l’idea è buona e scendiamo la strada, lungo la ripida salita che affronteranno poi i corridori, fino ad un posto meraviglioso: un baretto super tamarro e forse mezzo illegale. Sul terrazzo di una casa privata, riempita di avventori intenti a guardare la corsa sul televisore, ci sono due tavolini e un tendone. Tre tizi, con una specie di divisa, stanno al bar, ovvero dietro l’angolo della casa, all’ombra, distribuendo birra e Coca-Cola fresca di frigorifero a chi ha la fortuna di capitare da quelle parti.
Come è logico che sia qui in Belgio la birra scorre a litri e permette di sopportare la canicola che si è venuta a creare.
Dopo aver bevuto, spiato un po’ della corsa dal televisore e fatto qualche conoscenza bisogna solo aspettare l’arrivo della corsa.
Da lontano si sentono grida d’incitamento e applausi. La corsa è qui, dietro l’angolo. E subito dalla curva a gomito esce il ciclista lussemburghese Bob Jungels. È solo e si appresta a vincere la corsa in solitaria. L’intera strada esplode. È uno spettacolo.
Persino i miei coinquilini cambogiani, due pesci fuor d’acqua fino a quel momento, si immedesimano e incitano, gridano e battono le mani per spingere i corridori in cima alla salita.
Il ciclismo è uno sport epico. Epico nel senso che crea epica, crea eroi, personaggi che si ergono a immagine della tenacia, del coraggio e del duro lavoro.
Ma è anche socialità, perché nel suo carattere nomade, attrae e impone un’attesa degna di essere riempita con della buona birra in compagnia.
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