di Ettore Arcangeli
Era un giorno come tanti altri da qualche mese a questa parte. Dopo aver perso il lavoro la mia vita aveva preso una spirale discendente. Ancora continuavo a svegliarmi presto, come per non rassegnarmi alla disoccupazione. La sveglia suonava, mi alzavo, mi preparavo la colazione. Tutto, come se poi dovessi uscire per raggiungere il luogo di lavoro. Non avere uno stipendio fisso non è facile e farne l’esperienza non è piacevole. Non potevo più uscire, andare in vacanza, non vedevo più i miei amici. Quando non si ha un reddito è difficile presentarsi a casa di qualcuno. Sembra sempre che si cerchi un po’ di pietà. Gli sguardi di chi ce l’ha fatta sono sempre pieni di commiserazione, e feriscono l’orgoglio più di ogni altra cosa. Vivere alla giornata ti allontana da coloro che riescono a pianificare il loro futuro in ogni dettaglio.
Quel giorno seguii la stessa routine di sempre. Sveglia, doccia, colazione: uova, pancetta e birra. Mio padre mi ammazzerebbe. Mio cugino mi sgozzerebbe, quel bastardo. Se dovesse provare a tornare in Germania e a chiedere aiuto lo denuncerei senza esitazione. Maledetto. A colazione ho sempre visto la televisione, unica superstite di tutto quello che ho venduto per sopravvivere questi ultimi mesi. Senza quella scatolina non vivrei. Riempie le mie giornate vuote. Era la mia compagna e come tutte le mattine mangiavo e mi nutrivo delle notizie sui vari canali. Mi guardai tutti i telegiornali di tutti i principali canali. Sennò che altro avrei potuto fare… Tra le solite ripetitive notizie di omicidi, rapine, incidenti, politica, quella mattina rimasi stupefatto e allo stesso tempo nauseato del fatto che a Colonia, quello stesso giorno, si sarebbero radunate quasi un milione di persone per manifestare a favore di Erdogan. Quel bastardo!Una cosa che non riesco proprio a spiegarmi è come qualcuno possa ancora ritenere quel despota criminale un saggio uomo di governo! Ma in fondo non era un mio problema. In Turchia ci sono stato solo per trovare i miei nonni, e dopo la loro morte non ci ho più messo piede. Pensai che avrebbe potuto epurare dalla vita chiunque avesse voluto, non essendo un problema che mi riguardasse. Da tedesco però non tolleravo che la mia nazione si rapportasse conun uomo dalle ambizioni da Sultano. Gli stretti rapporti di quel tale con il governo della Germania, e in particolare con la Cancelliera Merkel, mi schifavano. Quanto desideravo che se ne prendessero le distanze.
Decisi di andare alla manifestazione per vedere dal vivo quali idioti potessero sprecare la loro mattinata in abomini simili. Presi il secchio della spazzatura e lo portai di sotto, nello stanzino dei secchi, dove dormivano da due settimane due clandestini. La signora Flök quasi è morta d’infarto quando li scoprì. Che ridere! Per una vecchia signora polacca trovarsi di notte quattro occhi senza volto deve essere un trauma abbastanza difficile da superare. Fosse davvero morta,almeno non avrei avuto più problemi col vicinato. Non si può avere tutto dalla vita, ma almeno questo mi avrebbe fatto piacere. Seydou e Keyta non c’erano, e mi resi conto di come avevano trasformato la stanza dei secchi della spazzatura nella loro casa in una maniera degna dei migliori manuali di sopravvivenza. A fianco delle coperte, delle torce elettriche e dei vestiti, un po’ di cibo e persino un libro, scritto in francese: LesMouches d’automne. Fu scioccante. Non mi aspettavo nemmeno che sapessero leggere. Appresa e digerita tale sensazionale scoperta mi diressi verso il luogo della manifestazione. Decisi di non prendere i mezzi pubblici, ma di andare a piedi. Colonia è una piccola città e dal mio piccolo appartamento al centro non era molta strada. Il camminare poi mi aveva sempre aiutato a riflettere e ad approfondire i miei pensieri.
Magari avevo esagerato a considerare dei mostri questi manifestanti. In fondo difendevano il loro presidente democraticamente eletto e il loro paese dalla dittatura dei militari. Lungo il tragitto mi imbattei nel piccolo kebab dove avevo lavorato nei primi mesi dopo il mio arrivo a Colonia. Burak, il proprietario, mi aveva aiutato molto quando mi trasferii da Berlino. È sempre stato come un fratello per me. Entrai, e mi riconobbe subito.
-Mete! Come stai fratello? Quanto tempo che non ti si vede da queste parti!
-È stato un periodo difficile…
-Ho saputo del licenziamento, mi dispiace molto. Quando Meral me l’ha detto non ci credevo, volevo chiamarti ma sai com’è… tra il matrimonio e il bambino… ho avuto molto da fare…
-Hai finalmente messo su famiglia! Che bello! Dimmi tutto!
Dopo un racconto molto sommario iniziò ad ignorarmi per servire i primi clienti della giornata. Eravamo stati grandi amici, ma la vita ci aveva allontanato. Tutti quei convenevoli mi avevano fatto dimenticare sia la manifestazione che Erdogan. Iniziai a vagare con la mente, a riflettere sulla mia vita e sul mio futuro. Senza un lavoro; senza nessuno accanto cosa mi sarebbe aspettato se non una vita misera, una vita inutile, il fallimento più totale?
[continua]
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