Birra e Turchia – La famiglia non è casa

di Ettore Arcangeli

[segue]

Ero così assorto nei miei pensieri che se non fosse stato per una barbona con un maiale da compagnia al guinzaglio che mi urlò contro sarei morto sotto il tram della linea blu. Ritornai vigile e decisi di prendere in mano la situazione. La mia vita era in caduta libera, ma potevo almeno impegnarmi per qualcosa di più nobile. Avrei dovuto convincere il mondo del pericolo che Erdogan rappresentava per la Turchia e per l’Europa. Questo nuovo obbiettivo mi diede nuova linfa vitale. Raggiunsi la piazza dove si sarebbe svolta la manifestazione.  Mi mescolai tra la folla ed iniziai a cercare un punto da cui poterparlare a quella massa. Volevo spiccare. Almeno un giorno nella mia vita avrei potuto essere notato da migliaia di persone. Probabilmente mi avrebbero fischiato. Ai turchi non piace che gli si offenda il leader. Ma dovevo e volevo farlo. Me lo sentivo. Salii sul tetto di un chiosco di vivande di strada da cui potevo dominare la folla dispersa per  la piazza, e preso un po’ di coraggio iniziai ad urlare: -Mi chiamo Mete Demir, e come molti di voi qui oggi sono tedesco! E come molti di voi ho origini turche! Siamo tutti fratelli e dobbiamo volere il meglio per la Germania, la nostra patria, e per la Turchia, la terra dei nostri avi!

Chi era lì vicino iniziò ad applaudire e a incitarmi. Mi sentivo potentissimo. Dopo pochi secondi tutti iniziarono a rivolgersi verso di me bramando altre parole dense di orgoglio.

-I miei genitori si sono conosciuti a Berlino, ma mi hanno insegnato il rispetto, e cosa significhi la parola famiglia!

Altre acclamazioni. Tra la folla iniziò a serpeggiare un grande entusiasmo.

-Noi siamo una grande famiglia, turchi e tedeschi sono fratelli! Siamo la stessa cosa! E quando un fratello soffre bisogna aiutarlo e non girarsi dall’altra parte!

Dalla folla partì un boato:- DEMIR! DEMIR! DEMIR!- Sembrava di stare allo stadio e che io fossi l’attaccante che aveva segnato la rete della vittoria nei minuti finali della partita più importante della stagione.  Feci una breve pausa. Assaporai questi attimi di gloria e poi continuai:- Proprio per questo dopo quello che è avvenuto pochi giorni fa dobbiamo essere ancora più uniti!

La folla iniziò a reclamare gli elementi fondamentali dello stato di diritto: -LIBERTÀ! DEMOCRAZIA!

Io continuai la mia arringa: -Esattamente in nome della libertà e della democrazia, io vi chiedo, anzi vi imploro…

Tremavo. Sapevo che quello che avrei detto dopo mi avrebbe causato un sacco di guai.

-…di lasciar perdere quel figlio di puttana di Erdogan che tanto male sta facendoalla libertà e alla democrazia che i nostri popoli meritano!

Dalle acclamazioni al rischio di linciaggio il passo fu breve. Iniziarono a lanciarmi tutto quello avevano a portata di mano. Scarpe, bottiglie, lattine, ombrelli, penne, monete, persino coltelli e cacciaviti; mi arrivarono addosso costringendomi alla fuga, facilitatami dal tram che passava proprio dietro, alle mie spalle. Riuscii a prenderlo al volo. La folla fortunatamente rimase fuori.

Che gente di merda. Ogni volta che provavo a riscoprire le mie radici queste mi schifavano e mi convincevano di far bene a cercare di estirparle. Scesi dal tram dopo molte fermate utili a far dimenticare alla folla della mia esistenza. Mi diressi sul lungoreno. Mi stesi sull’erba, accesi una sigaretta e:- Cazzo, la birra!- Mi rialzai e andai a comprare delle lattine. Mi erano rimasti dei soldi da qualche lavoretto e non avevo voglia di raccogliere i vuoti necessari per pagarmi da bere. Usai quelli facendo attenzione di lasciarne qualcuno per comprare qualcosa per cena. Tornai sul prato. Ma questa volta non mi stesi. Seduto guardavo la vita brulicare sotto il sole d’agosto. Guardai un padre di famiglia giocare con il figlio mentre la madre immortalava l’azione col suo cellulare. Un bel ricordo per una bella famiglia. L’unica volta che mio padre mi aveva fatto tanto divertire è stato al suo funerale. Lo odiavo proprio. Era uno di quegli immigrati che pensa solamente al lavoro. Ci ha mantenuti tutti, è vero. Ma quell’essere era malvagio. Un gran lavoratore testa di cazzo. Pretendeva che tutti in famiglia si adoperassero per lui. Bisognava svegliarlo, preparargli la colazione, i vestiti, portargli la posta e parlargli come se fosse il Padrone e noi i suoi servi. La mamma da brava donna dell’entroterra anatolico prendeva molto seriamente la cura di suo marito. Il matrimonio era lo scopo della sua vita. Per quello era stata educata e in quello ha eccelso. Il suo successo è dipeso dal tenere in piedi il matrimonio nonostante quel maledetto uomo che aveva accanto. Ha dovuto sopportarlo pure troppo tempo. Da bravo musulmano qual’era non beveva mai e fortunatamente non l’ha mai picchiata. Almeno per quello che so. Ma le umiliazioni erano all’ordine del giorno. La sua era una violenza psicologica. Più sottile e meno evidente di quella fisica. La faceva sentire come se valesse meno di quei ragnetti rossi che colonizzano i davanzali in estate. Faceva la qualunque ma lei, la mia povera mamma, si sentiva sempre abbattuta, inutile e insignificante. E tanto non mollava mai la presa sulle nozze. Divorziare avrebbe significato un disonore troppo grande per tutti. Una cosa insostenibile. Se ho rotto anche con lei è per questa sua mentalità del cazzo. Nonostante tutto, questi pensieri mi fecero venire voglia di mettermi di nuovo in contatto con lei e tutto il resto della mia famiglia. A volte capita di voler tornare dove si è cresciuti, dove si sono vissuti i pochi momenti veramente felici di una vita troppo spesso maleodorante. E ultimamente mi capitava troppo spesso. Decisi di andarmene da quel lungofiume tanto evocativo per non arrivare a commettere l’insano gesto di chiamare a casa per sapere qualcosa di loro. Erano anni che non sentivo le voci di mia madre e di tutti gli altri. Non sono tornato neppure  a Berlino dal giorno che la lasciai. E mi piacerebbe continuare così. Che poi mio fratello ci aveva provato a mettersi di nuovo in contatto con me, venendo persino qui, a Colonia, per parlarmi di persona. Non avevo mai sentito tante stronzate in vita mia come quella volta. Che idiota perso…

[continua]


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