Birra e Turchia – La banalità della donna angelo

di Ettore Arcangeli

[segue]

Mentre mi dirigevo verso le casse notai una ragazza al reparto dei vini. Mi colpì moltissimo la sua indecisione. Per me era qualcosa di alieno. Di solito passavo davanti agli scaffali delle birre e prendevo quelle con il miglior rapporto prezzo/botta, e le poche volte che volevo farmela salire con il vino seguivo lo stesso ragionamento delle birre.  Comunque è una cosa che si fa una volta e poi non si fa più, a meno che una nuova scelta compaia tra gli scaffali. Ma lei non stava cercando un vino per passare una serata alcolica. Era troppo concentrata a leggere l’etichetta per essere un’alcolizzata. La guardai. Facendo finta di non trovare un prodotto mi avvicinai piano piano. Era bellissima. Ma non di quella bellezza che ispira gli istinti della carne. La sua era una bellezza eterna, la cui solo vista allietava i sensi. Sarei potuto stare tutta una vita a guardarla. Lei stava leggendo le etichette di due vini bianchi, probabilmente per decidere quale fosse il migliore per il suo nobile palato.  D’un tratto si girò verso di me e mi guardò. I suoi occhi azzurri mi misero subito in soggezione. Non avevo il coraggio di mantenere il contatto visivo e feci finta di stare guardando un punto dietro di lei. Lei sorrise a questo mio goffo tentativo di eludere quello che oramai era evidente e continuò a riflettere sui vini. Con un po’ di coraggio decisi a parlarle. Lo dovevo fare. L’attrazione che provavo per quella donna mi spingeva a compiere azioni mai pensate in vita mia. Non avevo mai pensato di scoprire la bellezza in un supermercato, ma così è stato. Interruppi la sua riflessione cercando di stupirla.

-Scusi se la disturbo signorina, potrebbe aiutarmi nella scelta di un buon vino per la cena di stasera? Vedo che è molto attenta nella scelta.

-Guardi,-rispose con una voce degna degli angeli del paradiso -dipende tutto da che cosa vuole accompagnare con il vino. Che farà per cena?

-Della carne… di manzo…-risposi un po’ imbarazzato. Avevo ancora in mano la confezione di bratwurst di prima e sarei passato da idiota sicuramente, ma ormai ero in ballo.

-Allora le consiglio un buon rosso!

Ogni volta che parlava la mia mente si perdeva concentrandosi più sulla melodia del suono che sul significato stretto delle parole. Lei intanto continuava:-A me piace moltissimo il Sagrantino. È un po’ costoso ma li vale tutti quei soldi!

-Oh, interessante… e quale sarebbe?!

-Dovrebbe essere tra i rossi…

Iniziò a muovere la mano destra in cerca del vino con una leggiadria degna di una dama dell’alta società. Lei era diversa dalle donne con cui ero solito provarci, e tanto da quello con cui di solito concludevo qualcosa. La grande differenza era da cercarsi soprattutto nei modi, eleganti e cortesi, mai sguaiati. Il suo sguardo era intenso e trasmetteva un’innocente malizia che lasciava stupefatti. Mentre ero perso nell’osservare le sua dita volteggiare tra le bottiglie trovò la bottiglia, me la passò e si allontanò. Mi augurò buona serata e, prima che potessi aprire bocca per risponderle o fermarla, scomparse dietro l’angolo dello scaffale delle bibite gassate. Appena tornai consapevole delle mia azioni le corsi dietro, cercando di non sembrare troppo uno stalker. Era già alla cassa, in fila, molto più avanti di me. Mi misi in fila alla cassa che mi pareva fosse più veloce, ma quando lei pagò io avevo ancora delle persone davanti. Lasciai i bratwurst nel carrello di un’ignara signora che mi precedeva e uscii di corsa. La mia donna angelo stava fuggendo e fuori del supermercato guardai a destra e a sinistra in cerca della sua figura. La vidi che andava verso il centro. Le corsi incontro e la fermai. Lei proprio non se lo aspettava e infatti non sapeva che fare. Forse aveva paura che fossi un malintenzionato, ma tant’è che le iniziai subito a parlare.

-Scusa tanto ma sento il bisogno di dirti delle cose. Innanzi tutto dei vini non me ne è mai fregato nulla, se non per ubriacarmi. E poi, volevo dirti che vorrei tanto sapere chi sei, cosa ti piace, cosa fai. Vorrei conoscerti. Parlarti…

-Ma se nemmeno ci conosciamo!- mi interruppe -Scusa eh, ma chi sei te?

-Mi chiamo Mete Demir, e sono uno sfigato disoccupato senza uno scopo nella vita, se non quello di riuscire a sopravvivere. Ti ho visto nel supermercato e mi hai rapito subito, coi modi, cogli sguardi, con la voce quando mi hai parlato. Sento il bisogno di conoscerti, di parlarti, di sapere chi sei e perché mi fai quest’effetto…

-È un piacere Mete, ma non posso attardarmi troppo. Ho da fare… comunque sappi che mi chiamo Erika. Sei molto carino e tutto ma devo proprio andarmene. Buona vita!

-Sì, vattene! Hai ragione a fregartene di uno come me. Uno zero. Uno che il suo più grande risultato nella vita è l’aver convinto il padrone di casa a non cacciarmi per due mesi di affitto non pagato. Fai benissimo! Immischiandoti con me ne perderesti solamente. Me ne andrò solo e in miseria, senza nemmeno un amico. Ma è quello che merito per aver abbandonato la mia famiglia! Me misero, me tapino!

-Scusa.. io non sapevo… io non pensavo che tu…

-Ma per favore! Non voglio la tua pietà! Anzi non voglio proprio più vederti! Pensavo fossi un dono del destino da cogliere al volo, ma sei solo un’altra di quelle puttanacce ipocrite dell’alta borghesia!

La puttanaccia ipocrita mi diede un sonoro schiaffone accompagnandolo da parole che rimarranno per sempre scolpite nella mia memoria:-Che uomo misero che sei… hai proprio ragione-. Le sue parole erano piene di ribrezzo. Ne rimasi ferito a tal punto che mi inginocchiai a terra e scoppiai in lacrime. Avevo toccato probabilmente uno dei punti più bassi della mia vita. Ero lì, in mezzo al marciapiede, a piangermi letteralmente addosso. La maggior parte dei passanti era indifferente a tutta quella situazione, non troppo strana per una grande città come Colonia, ma alcuni ridevano di me e mi facevano foto e video che sicuramente avrei ritrovato su tutti i social. Ma di quello non mi importava più di tanto. Dovevo riscattarmi e recuperare almeno un minimo di dignità. Alzai lo sguardo e vidi che Erika era ancora lì, per cui le chiesi scusa in ginocchio. Lei mi disse di alzarmi e mi portò in un bar vicino per offrirmi una bevanda calda che potesse tranquillizzarmi. Ordinato un tè nero ci sedemmo ad un tavolo. Dopo un momento di silenzio, dovuto all’imbarazzo di quanto accaduto poco prima la ringraziai per la sua gentilezza. Ci scambiammo alcuni convenevoli e frasi fatte, fino a quando mi chiese che cosa avessi trovato in lei.

[continua]


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