Ogni storia che esce dalla bocca di Bertolucci è come una grande epopoea, come un racconto mitico che ti porta via con sé e rende tutto più enorme. Questo era Bernardo Bertolucci; un intellettuale che vide nel cinema un mezzo per allargare le storie semplici ancora di più. Figlio del poeta Attilio Bertolucci, dipendente e amico di Pier Paolo Pasolini che lo prese come giovane assistente nei primissimi film, Bernardo ispirato dalla poesia e dal cinema, molla la prima e nel 1962 girerà il suo primo lungometraggio: “La commare secca”.
Ispirato dai grandi temi della rivoluzione, seguirà questo film in lungo e in largo sperimentandosi su un cinema un po’ diverso da quello pasoliniano. Nelle sue opere, uno o più individui devono fronteggiare una brusca trasformazione. Una rivoluzione all’interno di loro stessi e fuori, dato che il regista ha sempre cercato di ambientare le vicende in contesti storici be precisi. Ecco che il secondo film sarà “Prima della rivoluzione”, seguito da “Partner” nel 1968 e dal trionfo de “Il Conformista” del 1970. Sarà proprio grazie a questo film che inizia la sua ascesa al successo. Nel 1972 dirige “Ultimo Tango a Parigi”, con Maria Schneider e Marlon Brando; con questo film a Bertolucci sarà revocato il diritto di voto per quasi un anno e Ultimo Tango cadrà nelle mani della censura. Ma ciò non abbatte il giovane regista che vede i consensi verso il suo cinema moltiplicarsi. Una lunga lavorazione di quattro anni e nel 1976 esce il suo colossale “Novecento” con Robert De Niro, Gerard Depardieu e Donald Sutherland. La storia di due amici che crescono agli inizi del 1900 nella bassa Padana: uno figlio di contadini, l’altro figlio del padrone e del proprietario delle terre. La loro amicizia ripercorre la prima metà del secolo, passando per il biennio rosso fino alla dittatura fascista e il dopoguerra.Si riprende dalla lunga produzione di “Novecento” e nel 1981 gira “La tragedia di un uomo ridicolo”, con Ugo Tognazzi. Ormai è un punto di riferimento per il cinema italiano e i giovani cineasti, eppure il successo dei film precedenti non è niente in confronto a ciò che accadrà solo nel 1987. Bertolucci viene premiato con ben 9 oscar per il suo “L’ultimo imperatore”, la storia dell’ultimo imperatore cinese, Pu Yi, che gli da la possibilità di girare nella Città Proibita di Pechino. Nel 1990 gira “Il tè nel deserto” con John Malcovich e tre anni più tardi “Il piccolo Buddha” con Keanu Reeves. Una carriera che non è mai sotto quota, nemmeno con film più domestici. Nel 2003 segna un ulteriore successo di pubblico e critica con “The Dreamers”, la storia di due gemelli, Theò e Isabelle, e di un ragazzo americano, Matthew, che nella Parigi del 1968 scoprono ognuno l’intimità estrema dell’altro. Il suo ultimo film sarà “Io e te”, tratto dal romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti.
La lunga malattia della quale soffriva da tempo non è stata sconfitta. Il 26 novembre 2018 Bernardo Bertolucci si è spento all’età di 77 anni. Si potrebbe dire che ha perso la battaglia. Tuttavia, quella stessa battaglia di cui parlava Bergman, continuerà con i film, con le opere, con le interviste, gli scritti, le critiche, le battute. Bertolucci non è sconfitto del tutto e non per sempre, e grazie alla sua opera potrà continuare a combattere.
“Il cinema lo chiamerei semplicemente vita. Non credo di aver mai avuto una vita al di fuori del cinema; e in qualche modo è stato, lo riconosco, una limitazione.”
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