Uscito nel 2017, Tutto quello che vuoi a prima vista si presentava come una semplice commediola italiana senza tanto da dire. Io stesso ero dubbioso; convinto che si trattasse di un’ennesima storiella italiana fatta tanto per. Mai giudicare un libro dalla copertina; parole sacro sante che non sono state mai vere come in questo caso. Mai giudicare un libro, in questo caso un film, prima di averlo letto o visto dovrebbe essere il motto per eccellenza. La bandiera, l’inno che faccia chiudere la bocca a tutti i più grandi fanfaroni che credono che sia tutto uguale e che sono convinti di possedere la verità data da non so quale sicurezza. Una sicurezza che cadrebbe immediatamente come un castello di sabbia se solo si desse ascolto e si indaghi un po’ di più. Questo per dire che giudicare il libro dalla copertina è un reato contro l’arte e contro chi, invece, riesce a regalarti un’ora e quaranta di bellezza. Purtroppo è accaduto lo stesso con Tutto quello che vuoi. I questo caso è stato trascurato il fatto che, una volta visto, ci si rende conto di quanto forte e sublime sia un film come questo.
Francesco Bruni, sceneggiatore di gran parte dei film di Paolo Virzì (da “Ferie d’agosto” a “Il capitale umano”), di Mimmo Calopresti (“La seconda volta”, “La parola amore”), di Francesca Comencini , dei film di Ficarra e Picone, di Spike Lee per “Miracolo a Sant’Anna” e moltissimi altri. Un esperto nel campo della sceneggiatura che ha intrapreso anche la strada della regia nel 2011 con l’opera prima, “Scialla”, seguita poi da “Noi 4” del 2014. Tra l’altro due buoni film che stanno al passo con i tempi e riescono ad essere poetici nello stesso momento. Tuttavia, è il terzo film che spinge Bruni un po’ più oltre, mettendo in piedi un ottimo lavoro, che più lo guardi e più ti fa stare bene, sprigiona in te emozioni e domande continue. Il regista/sceneggiatore parte dalla vita del padre; o meglio, da un pezzo di esistenza che comprende la giovinezza e gli anni della guerra e la vecchiaia. Come una romanza Bruni mitizza la sorte del genitore allestendo un dramma dagli ammirevoli risvolti scherzosi, seriosi e sociali; a mio dire un gran bel film sostenuto soprattutto dal ruolo degli attori e dalla storia che attorno ad essi gira, si dirama, confrontandosi anche con le problematiche odierne e con quelle di tutti i giorni.
La trama: Alessandro è un ragazzo di ventidue anni che vive a Roma. Un trasteverino rabbioso, scontroso, senza più la madre. Il fatto di non possedere un diploma, di non voler lavorare e di mettersi sempre nei guai con i tre amici, Riccardo, Tommi e Leo, lo porta a scontrarsi più volte con il padre che vorrebbe vederlo sistemato dal punto di vista lavorativo. Un odio/amore che nasce in lui soprattutto dopo il subentro di Regina, una giovane slovena fidanzatisi con il padre. Non volendo condividere in famiglia e con gli amici i problemi che più lo affliggono, si sfoga con Claudia, madre di Riccardo, con la quale da un po’ di tempo ha intrapreso una clandestina storia d’amore.
Un giorno, dopo essere ritornato dalla questura, il padre insiste perché vada a lavorare in casa di un certo Giorgio Gherardini: un anziano poeta, senza più la moglie e memoria. Il vecchio soffre infatti di Alzheimer e Alessandro è sempre più propenso a non accettare l’incarico, mostrando la sua quasi noncuranza nei confronti di Giorgio. Il poeta lo chiama Carlo, come il fratello morto durante la guerra, a volte perde l’orientamento, lo tratta come un estraneo ma anche come un caro confidente. Sebbene il carattere scontroso del ragazzo, tra i due nasce una sorta di simpatia che porterà Alessandro alla scoperta di una strana poesia incisa sul muro. Attraverso questo ritrovamento, il ragazzo intuisce che c’è qualcosa d’importante in quelle parole e aiuta Giorgio a ricordare.
Quando si scoprirà di un tesoro nascosto sulle montagne toscane, dove il poeta aveva passato il periodo di guerra con un gruppo di americani, Alessandro decide di riportarlo in quel luogo. Inizia così un viaggio on the road al quale partecipano anche Riccardo, Tommi e Leo. Un tragitto a ritroso nel tempo in cui Giorgio rivive la sua gioventù, passata ad amare una certa Costanza e poi quella assieme agli alleati; un cammino mai concluso e che continua con i tre giovani amici fino al ritorno a Roma. Quando i due, stremati ma ormai affezionati, capiscono di volersi bene e di fidarsi profondamente l’uno dell’altro. Alla fine, sarà dalla poesia incisa sul muro che Alessandro potrà finalmente seguire la strada verso un nuovo futuro.
“Tutto quello che vuoi, e fu quello il saluto. Tutto quello che voglio alla fine l’ho avuto”
Come già ho detto, la risalita dell’esercito americano fino in Toscana, è solo un contesto nel quale porre una parte della storia: quella più personale, molto più commovente di quanto sia la realtà del vecchio protagonista. Se in Alessandro si avvisa la ricerca di una figura, più che paterna, saggia, come un nonno fedele, in Giorgio c’è la ricerca di un figlio, un fratello o un nipote che non ha mai avuto. Questo può essere uno degli elementi principali della storia narrata da Bruni. Ed è soprattutto uno dei motivi che ti fanno apprezzare il film in maniera spensierata come una cosa abitudinaria. Ci incuriosisce la trama perché è vicina alle problematiche dell’odierna società. Soprattutto di quella parte di società che, nella Capitale così come in qualsiasi altra città, è formata da varie tipologie differenti e contrastanti di giovani. Potremmo riassumerle facilmente in: giovani che conoscono già il proprio futuro e quelli che non sanno ancora che farne di questa vita. Alessandro sembra appartenere a quest’ultima categoria; incavolato con il mondo per varie ragione, ma la più palese è quella di non essere capito dal genitore, si lascia andare a stati di infinita noia, passando le giornate al bar, a giocare a carte o con la play station. E chi non c’è passato? La vicinanza con il protagonista ci porta a capirlo più che ad accusarlo, così anche i suoi amici. Una volta Paolo Villaggio parlando dei giovani d’oggi disse: “Sono sempre incazzati. E dicono che la colpa è delle vecchie generazioni. Colpa mia no. Io ho fatto la guerra”. Eppure anche il buon Villaggio è stato un fancazzista di prima categoria durante la giovinezza, e anche lui può essere messo in stretto contatto con il protagonista. Alessandro non è un disgraziato, non è un vero delinquente. Fa parte di questa generazione ultra stanca, quasi menefreghista, e indolenzita.
Dall’altra parte c’è invece la generazione alla quale appartiene Giorgio; quella dei saggi, dei vecchi, della vecchia epoca. Egli è un poeta, ma con l’Alzheimer è diventato un anziano qualunque. Senza più moglie, fa avanti e indietro da stati di lucidità assoluta, dove è il carattere filosofico a prevalere, a momenti in cui tutto sembra non appartenergli; è comunque una persona a cui piace il divertimento e stare in compagnia. Alessandro e i suoi amici sono l’occasione giusta per svagarsi un po’. Tuttavia vivo è il ricordo della famiglia spazzata via dalla guerra; i genitori e il piccolo fratellino. Carlo è infatti il nome con il quale chiama per tutto il film Alessandro; come se la malattia lo riportasse indietro con gli anni e il volto del ragazzo in stretto collegamento con il fratello. Entrambi, sebbene la grande differenza di età e il diverso modo di pensare, apprendono qualcosa l’uno dall’altro, finendo per volersi bene davvero e la grande avventura verso la Toscana è un modo per conoscersi ma soprattutto per fidarsi ancora di più. Alessandro lo aiuta a ricordare, a ritrovare i duri momenti della guerra quando era amico di tre soldati americani e tutto senza volere nulla in cambio. Fargli vivere almeno un’ultima volta il passato grazie al quale tra i due riesce ad innescarsi una sintonia che gli altri tre amici di Alessandro non riescono a comprendere fino in fondo. Il regalo che Giorgio fa ad Alessandro è quello di capirlo, di non attaccarlo, di condurlo su una strada più armoniosa. E il connubio tra le due generazioni è sancito in maniera davvero toccante. Nel momento in cui Giorgio esprime tutta la sua fiducia nel ragazzo, quest’ultimo è toccato nel profondo e si rende conto di essere più legato a lui che a qualsiasi altra persona.
Giorgio: “Io non ci voglio nessun’altro qui!”
Alessandro: “Va bene”
Giorgio: “Mai, mai, mai!”
Alessandro: “Mai, mai, mai. Promesso!”
Un finale che non è un classico strappalacrime, ma che lascia lo stesso un qualcosa d’importante. In questa storia si ritrovano elementi che fanno parte del tuo stesso carattere e del tuo stesso passato. Per questo lo si apprezza, ridendo con esso e anche lasciandosi andare a sinceri stati di sana malinconia. Si ha il sospetto di rivedere se stessi nel tragitto che collega il poeta e il giovanotto. Come guardandosi allo specchio si ritrovano emozioni passate e autentiche che il film sa rievocare con simpatia e anche leggerezza.
Gli attori: “Tutto quello che vuoi” si regge anche grazie alla scelta degli attori che non appaiono mai troppo caratterizzati o scontati. Il cast scelto da Bruni è composto di attori giovani tra i quali compare il figlio Arturo –macchietta del romano sfrontato e fanfarone, Riccardo Vitiello ed Emanuele Propizio, forse quello con maggiore esperienza da attore; già interprete di serie televisive e film come “I Liceali”, “Grande, Grosso e Verdone” e “Miami Beach”. Grande scoperta è il giovane Andrea Carpenzano che alla sua prima esperienza d’attore riesce ad attirare il pubblico con una recitazione spontanea e forte. Donatella Finocchiaro nel ruolo di Claudia, e Antonio Gerardi in quello del padre di Alessandro.
Ma la stella del film è senza ombra di dubbio Giuliano Montaldo. Un regista veterano, autore di opere d’arte senza tempo; “Sacco e Vanzetti”, “Giordano Bruno”, “Il giocattolo”, “L’Agnese va a morire”, “I demoni di San Pietroburgo”. In un suo discorso avvenuto nel 2010, durante la veglia funebre di Mario Monicelli, Montaldo, definendosi un attore non molto esperto, disse che non avrebbe più recitato. Sei anni più tardi lo ritroviamo nei panni del protagonista rompendo così il giuramento. Apparve infatti nel 2006 nel film di Nanni Moretti “Il Caimano” in cui interpretava un anziano regista. In “Tutto quello che vuoi” la sua recitazione commovente e anche comica, gli valse un David di Donatello come migliore attore non protagonista.
Il duo Montaldo-Carpenzano è l’ingrediente giusto, azzeccato della storia che Bruni narra con leggerezza, arrivando anche a dare alla trama un energico ritmo da film on te road. Una storia semplice nella quale tu, spettatore, trovi te stesso. Le tue ansie, i tuoi ricordi più belli. Un film che ha di tutto al suo interno: amicizia, amore, tradimenti, viaggi e il buon vecchio scontro generazionale. Un graffiante resoconto dei tempi nostri, lasciati alla furia di un gran calderone ignaro di quel passato. La parte reale e pura di Montaldo sembra dire proprio questo; intraprendere la strada verso il futuro, un futuro migliore, è più facile se si guarda di tanto in tanto dietro di noi.
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