Non ci resta che il crimine – Come è duro risollevare il cinema italiano

Non si può dire che Massimiliano Bruno, per chi non sapesse chi fosse basta dire Martellone e Boris, non ci abbia provato. Estrapolare l’idea di Back to the future di Robert Zemeckis e riportarla nella Roma del ventunesimo secolo sotto le sembianze di tre amici sgangherati è buona. Direi anzi, spontanea, che potrebbe venire in mente a chiunque ma che potrebbe essere utilizzata anche con originalità. Tuttavia Non ci resta che il crimine termina subito la carica e nella ricerca di qualcosa di buono finisce subito per ricopiare la scontata commediola Italiana degli ultimi dieci anni che non rende ancora giustizia al cinema -fermo nel suo baratro con le eccezioni di pochissime opere. Quindi ricopia se stessa senza rendersene, forse, nemmeno conto.

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(da sinistra) Alessandro Gassman, Edoardo Leo, Ilenia Pastorelli, Massimiliano Bruno, Gianmarco Tognazzi e Marco Giallini

Tre amici, Moreno (Marco Giallini), Sebastiano (Alessandro Gassman) e Giuseppe (Gianmarco Tognazzi) cercano di racimolare qualche soldo mettendo in piedi un tour dei luoghi più importanti e sanguinolenti della Banda della Magliana. Mentre cercano di fuggire da un loro vecchio amico, finisco per caso nel retro della cucina di un ristorante giapponese e tramite una finestra magica tornano nel 1982. Sono gli anni dei mondiali di calcio e subito ne approfittano per scommettere sui risultati delle partite, vincendo così molti soldi (è una mia idea o questa l’ho già vista?). Per un disguido con il conto al Night Club, si imbattono proprio nella banda di Renatino (Edoardo Leo), il quale sequestra Giuseppe in attesa del denaro. Attraverso una serie di disguidi, Sebastiano si innamorerà della donna dello spietato boss (interpretata da Ilenia Pastorelli) e tutti e tre si imbatteranno nel tesoro della banda nascosto nella chiesa di Sant’Apollinare, ma solo dopo averci pensato bene sapranno cosa farcene realmente.

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Non ci resta che il crimine

Un film senza grinta né forza, iniziando proprio dai tre protagonisti; veramente più fiacchi (alcuni più del solito). Persino Giallini perde un po’ la sua verve comica spinta mentre Tognazzi dimostra di non essere molto in forma e con poca reattività. Gassman si diletta meglio dei due colleghi ma è superato dall’interpretazione rozza e romanesca di Leo. Forse l’unico personaggio più azzeccato di tutto il film, che con il suo Renatino riesce a dare un po’ più di brio al film.

La scena della rapina in banca vale tutto il film e nella quale compare proprio lo stesso Leo e dove gli altri tre attori si risvegliano: peccato che duri solo cinque minuti. Ilenia Pastorelli nella sua naturale bravura di interpretare la cafoncella romantica, è intrappolata ormai in questo ruolo infinito che ripropone sempre senza mai stancarsi (lei forse no). Il film di Bruno, che nel film veste i panni di Giancarlo, vuole avvicinarsi al successo di altre pellicole precedenti. Oltre al tributo anche troppo esplicito a Ritorno al futuro, Non ci resta che il crimine cita, ma solo per il titolo, il cult di Benigni e Troisi, e poi anche la trilogia comico-gangster di Smetto quando voglio: ahimè, senza avvicinarsi nemmeno un po’. C’è un’idea ma non viene sviluppata fino in fondo. C’è la trama, ma svanisce presto la curiosità e tutto si esaurisce con uno scopiazzamento continuo senza troppo successo.

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Non ci resta che il crimine

Poteva essere sfruttato meglio ma la volontà di voler rimettere insieme a tutti i costi un trio di amici, come nella commedia all’italiana, scade nel banale e nel già visto e il problema di fondo resta la poca vitalità dei componenti: salvo alcune eccezioni.

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