Thick Skin – Non sapere di essere uno stupratore

In un normale appartamento della periferia di Reykjavik, Hanna e Jónas partecipano ad una classica festa tra adolescenti. I due sembrano piacersi e dopo qualche chiacchiera si appartano per vivere un momento d’intimità. È qui che prende il via il tema narrativo di Thick Skin, corto di Erkendur Sveinsson presentato al Malatesta Short Film Festival. Infatti, nonostante la reciproca attrazione, in quel ripostiglio dove i due si ritagliano uno spazio al di fuori delle attenzioni degli altri qualcosa si rompe. Ciò che c’è tra Hanna e Jónas non è più un piacevole momento d’intimità ma un vero e proprio stupro. E lui non sembra rendersene proprio conto.

È questo il momento intorno al quale ruota il resto di Thick Skin. Il ragazzo torna a casa, e la mattina dopo si sveglia come se nulla fosse successo. Hanna, dentro quel ripostiglio aveva cercato di fermare Jónas, tirandosi su la gonna e le calze, ma inutilmente. Per Jónas quel rapporto era dato per scontato: lei è venuta all’interno del ripostiglio, si fa baciare e lo bacia, lo abbraccia e lo accarezza. Jónas non riesce a concepire che nonostante queste premesse lei non voglia andare oltre. Per questo, quando il giorno dopo la polizia si presenta a casa tua per portarlo in centrale è sconvolto e confuso. Non capisce. Lo spettatore non riesce a vedere in questo giovane adolescente un mostro. La colpa di Jónas è quella di essere intriso di una cultura maschilista, per cui il sesso è chiaramente consenziente quando una donna si apparta con un uomo.

Jónas purtroppo non ha gli strumenti per difendersi da questa cultura di sopraffazione che lo soverchia, lo assimila, lo usa e lo distrugge. Non è un caso che il regista si sia concentrato sul suo personaggio, lasciando Hanna fuori dalla seconda parte del corto. L’unica sua apparizione è in un secondo incontro fortuito con Jónas, il quale realizzerà, guardandola negli occhi, cosa abbia commesso.

Cosa si può imparare da questo cortometraggio di quasi 12 minuti? Penso semplicemente una cosa: potremmo aumentare le pene per gli stupratori e aggiungerci pure la castrazione chimica, ma fino a quando un certo tipo di cultura non cambierà nel suo paradigma, a livello concreto, non si farà la differenza. Avremo solamente carceri e centri antiviolenza più affollati.

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