Non conosco ancora abbastanza Michela Murgia per dare un giudizio critico sul suo spettacolo, tratto dall’omonimo libro Istruzioni per diventare fascisti. Ma posso raccontarvi quello che ho visto la sera dello scorso 4 aprile, al Teatro Subasio di Spello.
Preso il biglietto, entro in sala e mi sistemo in platea. Accanto a me una signora sulla sessantina, capelli castani a caschetto, buffi occhiali tondi. Iniziamo a chiacchierare. Lei, già fervida lettrice dei libri di Michela Murgia (Accabadora, Chirù, Il mondo deve sapere e molti altri), me ne parla bene, il che mi predispone in maniera positiva per la rappresentazione.
La quale comincia senza troppe esitazioni. L’estetica è molto semplice: a destra vediamo Francesco Medda Arrogalla che, mani alla consolle, esegue dal vivo la drammaturgia sonora composta da suoni elettronici, mentre sullo sfondo vengono proiettate delle diapositive e la Murgia si muove liberamente in piedi, spiegando come si diventa fascisti. Una vera e propria lezione. Affrontata, però, con un po’ di leggerezza (la scrittrice si è tolta le scarpe e le ha lasciate in un angolo del palcoscenico).
Inizia così ad elencare le sue famose istruzioni per imparare ad abbracciare il fascio: Cominciare da capo, Semplificare è troppo complicato, Farsi dei nemici, Ovunque proteggi, Nel dubbio mena, Voce di popolo, Non ti scordar di me. Nel libro queste indicazioni sono accompagnate da una Necessaria premessa di metodo, che alla pagina sette recita: «Quelle che seguono sono quindi istruzioni di metodo e in particolare istruzioni di linguaggio, l’infrastruttura culturale più manipolabile che abbiamo. […] Le parole generano comportamenti e chi controlla le parole controlla i comportamenti. È da lì, dai nomi che diamo alle cose e da come le raccontiamo, che il fascismo può affrontare la sfida di tornare contemporaneo».
Questo spettacolo si fonda quindi su una riflessione circa l’uso linguaggio. Per un’ora e mezza mi lascio trascinare dalla retorica dell’autrice, tanto raffinata quanto perturbante. La chiave sta nel parlarmi bene del fascismo per farmi capire quanto esso sia già presente nella nostra vita, specie appunto nel linguaggio. E, viceversa, nel parlar male della democrazia per farmene cogliere le contraddizioni, ma anche l’importanza nella salvaguardia della libertà.
«Essere democratici è una fatica immane. Significa fare i conti con la complessità, fornire al maggior numero di persone possibile gli strumenti per decodificare e interpretare il presente, garantire spazi e modalità di partecipazione a chiunque voglia servirsene per migliorare lo stare insieme. […] Allora perché continuiamo a perdere tempo con la democrazia quando possiamo prendere una scorciatoia più rapida e sicura?»
Il messaggio è chiaro: la scorciatoia è rinunciare alle libertà individuali per delegare il potere a uno solo. Facile. Economico. Immediato.
Alla fine, un gioco: il Fascistometro. Una serie di frasi, realmente pronunciate negli ultimi anni da politici italiani, di cui lo spettatore è chiamato a giudicare la sensatezza: «Non abbiamo il dovere morale di accoglierli tutti», «Il cittadino medio è come un bambino di 12 anni non troppo intelligente», e così via.
«Il bello è» dice Michela Murgia, svestendo i panni troppo stretti della filofascista, «che non importa se oggi non siete d’accordo con nessuna di queste frasi. Domani, magari, almeno una ne penserete. Dopodomani tre. Tra un mese tutte. Perché il fascismo ha l’incredibile capacità, se non stiamo attenti, di insinuarsi ovunque. Mentre scrivevo questo libro mi sono fatta del male, perché cercavo di parlare a favore di qualcosa che aborro, ma in maniera razionale».
E questo per far capire che l’importate non sono le definizioni, ma i comportamenti. «Dopo la pubblicazione, esponenti non solo della Lega, ma anche del Partito Democratico, mi sono venuti a chiedere: “Ma quindi mi stai dando del fascista?”. Sì. Perché se ti definisci “democratico”, come puoi usare frasi come “Non abbiamo il dovere morale di accoglierli tutti”? In questo ha ragione Forrest Gump: per me fascista è chi il fascista fa».
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