Due pensieri mi hanno colpito in contemporanea nel momento in cui ho visto uscire il certificato medico dalla stampante del mio medico di base. Il primo, lancinante, quasi di terrore. Sette giorni di reclusione in casa. Oh mio Dio, non posso uscirne viva. Il secondo, più dolce, ha attutito il colpo del primo: ho tutto il tempo che voglio per dedicarmi a ciò che mi piace, vedere film, leggere libri, scrivere articoli.
Ed è proprio in uno di questi annoiati pomeriggi di malattia che mi sono ritrovata a vedere per la seconda volta un film che, in qualche modo, mi ha segnata.
Those People.
Film drammatico statunitense del 2015 diretto da Joey Kuhn, è distribuito in Italia da Netflix a partire dal 2 Settembre 2016. Unica pecca, ma non troppo, la mancanza del doppiaggio, compensata però dalla presenza dei sottotitoli in lingua italiana.
Those People è il problematico rapporto tra Charlie, studente d’arte di New York, e Sebastian, suo migliore amico, entrambi omosessuali. Apparentemente, Charlie e il suo percorso di crescita personale e di indipendenza, difficile da realizzare proprio per il rapporto morboso ed ossessivo che ha stretto con Sebastian, sono il fulcro centrale della storia.
Ci vuole poco a capire di come invece Sebastian primeggi in tutto, anche nell’accaparrarsi il ruolo di protagonista.
Questa è una figura che per quasi l’intero film non subirà né evoluzioni, né involuzioni ma camminerà in cerchio sui propri problemi personali e familiari, aggravati da una profonda depressione e dalla massacrante certezza d’essere una persona orribile, convinzione che lo porterà alla costante ricerca di attenzione, approvazione e di disconferma di tutte le sue paure. E’ per questo che Sebastian ha bisogno dei suoi amici, per questo motivo li tiene stretti a se generando un rapporto tossico, specie con il povero Charlie, altalenando un rapporto ambiguo a limite tra amicizia ed amore, un amore di quelli che non fanno bene a nessuno.
Sebastian, figlio di un noto imprenditore, ricco, giovane, bello. Sembrerebbe avere tutto finché la vita non si abbatte su di lui. Lo scandalo finanziario che coinvolge il padre avrà pesanti ripercussioni sulla sua vita ed è da qui che nascono tutti i problemi, da qui che il film può finalmente srotolarsi su più piani. Senza Sebastian, la pellicola sarebbe stata un banale dramma amoroso.
Grazie a Dio non è così.
Un padre con il quale scorre un rapporto alla odi et amo, due sentimenti così contrastanti ma equivalentemente forti, tanto che, in uno degli attimi di disperazione più profonda, piangendo sul letto di casa sua, domanda straziato a Charlie come sia possibile provare la mancanza di un uomo che ti ha distrutto la vita.
Sebastian si porta dietro l’immagine e l’infamia del padre, è il figlio più odiato di New York, un riccone viziato che vive di lussi a spese della rovina degli altri.
E se lo sente ripetere così tante volte che ci crede anche lui.
Guardando il film, il sentimento di odi et amo che Sebastian prova per il padre, viene trasferito allo spettatore, che lo riflette direttamente su di lui, proprio come i paparazzi fanno ricadere le colpe paterne sul figlio, non del tutto ignaro, ma comunque innocente.
Sebastian lo si odia, perché è distruttivo ed egoista, un pesticida che impedisce alle persone che lo circondano di sbocciare. La carriera lavorativa di London, una delle più strette amiche di Sebastian, è andata in fumo per questo rapporto giudicato deplorevole dalla società.
Sarà lei la prima a cedere, a volersi liberare da quest’amicizia soffocante, che impedisce agli altri di vivere la propria vita.
E’ proprio lei la prima ad affermare che “Le persone cambiano e se ne vanno e che non può sempre tutto ruotare intorno a Sebastian”.
Una frase dura, ma non del tutto sbagliata.
Charlie è lì, ancora presente, fra un tentativo e l’altro di costruirsi la sua vita, di trovare l’amore giusto, quello che trova in Tim e che sicuramente non è Sebastian, eppure, per quante volte si allontani, per quante volte provi a vivere senza il fantasma del suo eterno amore, questo lo perseguiterà sempre.
Tornerà sempre dal suo amico, non come sentimento obbligato, ma volontariamente, perché sa che egli non lo abbandonerà mai, perché così fanno gli amici, quelli che ti amano sul serio, nonostante tutto.
Sempre presenti anche Wyatt ed Ursula, che, con la loro caratterizzazione meno accentuata, fungono da aghi della bilancia di tutti questi drammi personali, sono le other people pur rimanendo sempre le those people. Ed è proprio Ursula che rende manifesto questo intento, in una violenta lite con London, quando questa si lamenta del suo fallimento lavorativo, addossando la colpa alla tossicità di Sebastian. E’ proprio Ursula che ricorda a tutti che, oltre gli eccessi di quella vicenda, ci sono altre vite che scorrono, non esenti da problemi e che come sputerà in faccia a London, senza troppi mezzi termini, trovare lavoro non è facile, lei non deve credere d’essere speciale.
In realtà, hanno entrambe ragione.
Tuttavia è bello avere due personaggi come Ursula e Wyatt, più piatti ma bilanciati, i giusti pesi che servono ad equilibrare queste vicende portate all’eccesso, sebbene anche loro abbiano i loro momenti di smarrimento, le loro paure e fragilità. E’ bello, perché si riesce a sopportare la narrazione, decisamente carica, senza sentirsi appesantiti.
Ma è anche bello avere Sebastian, l’odio nei suoi confronti e l’amore che si prova per lui. Già, perché è inevitabile alla fine non innamorarsi di lui, delle sue fragilità, dei suoi bisogni. Sebastian ha solo bisogno d’essere amato e va in cerca d’amore per tutta la durata della pellicola, ma lo cerca nel modo sbagliato e nelle persone sbagliate. Tutti i suoi gesti, i suoi eccessi, sono frutto di una profonda carenza affettiva, di una mancanza d’autostima mascherata a fatica e tutto l’egoismo gli viene perdonato in un unico gesto, sia dallo spettatore che dagli amici, che alla fine rimarranno sempre con lui.
Gli unici che lo amano veramente. E lui lo sa.
Perché sono quelle persone.
Quelle giuste, che ti rimarranno sempre a fianco.
Sono la famiglia, quella che ti scegli.
C’è una frase molto bella verso la fine del film. Una frase che ancora oggi mi colpisce come due anni fa.
E’ un brindisi, durante il compleanno di Sebastian, pronunciato direttamente dal festeggiato stesso. Un brindisi rivolto a Charlie, il riconoscimento di tutti gli sforzi.
“Non solo vedi i nostri lati positivi, guardi il nostro occhio mostruoso e riesci a trovare la bellezza in esso”.
E’ questa la frase che ci fa capire di come Sebastian sia finalmente uscito dal suo loop di colpe, è da questo momento che può iniziare a vivere senza intossicare più gli altri. E lo spettatore, sebbene non sappia cosa la vita abbia in serbo per lui, ne può solo essere felice.
E’ qui che finalmente il pubblico e Sebastian fanno pace, in questo momento ci sentiamo pronti a concedergli la grazia e i fili della sua intricata psicologia vengono finalmente tirati.
E’ la fine di tutto lo spannung, di tutta la tensione che domina l’intera pellicola. Finalmente sentiamo lo stomaco strecciarsi e rilassarsi. E’ finita, andiamo in pace.
Perché non possiamo definitivamente odiare Sebastian?
Perché tutti, in qualche modo, ci immedesimiamo nelle sue fragilità. Tutti, abbiamo passato, passiamo o passeremo momenti di difficoltà e tutti ci comporteremo in modo più o meno tossico, egoistico, per il semplice fatto d’avere bisogno.
Sebastian si vede come un mostro. In realtà è soltanto una persona, come chiunque altra, con la fortuna, d’avere quelle persone.
Gli amici giusti.
E Charlie non è un’ottimista che vede del buono in tutti, è solo un ragazzo che vede le persone, nella loro completezza.
Those People. Un film che tutti dovremmo vedere per avere in qualche modo un’analisi di noi stessi e della natura umana e per imparare a convivere con i sensi di colpa che ogni giorno ci attanagliano, imparando la consapevolezza di essere semplicemente umani fragili e che, qualche volta, essere “brutte” persone significa semplicemente essere persone.
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