Dolor y Gloria – Lo spogliarello più intimo di Pedro Almodóvar

Pedro Almodóvar si denuda in un lungo spogliarello di ricordi, di crisi e di problematiche nel suo ventunesimo film: Dolor y Gloria. Una pellicola verso la quale è difficile non vedere il parallelismo con il capolavoro di Fellini rappresentato da 8 ½ . Così come è quasi impossibile non notare lo stretto legame di grado e di ruolo che può esserci tra il personaggio di Guido Anselmi interpretato da Marcello Mastroianni e quello di adesso, Salvador Mallo, interpretato da Antonio Banderas.

In un’intervista, Almodóvar mette subito in chiaro le cose: il parallelismo c’è ma bisogna saper aspettare per rendersi conto che, in realtà, la storia si evolve in maniera sostanzialmente differente. Almodovar parte da una crisi d’ispirazione, una perdita di certezza e di voglia di lavorare –la stessa che aveva attanagliato Guido Anselmi– per distanziarsi poi dall’opera felliniana attraccando in sensazioni ed accadimenti naturalmente più personali e che si avvicinano all’esperienza e all’universo del regista spagnolo.

I registi che tendono spesso ad utilizzare spunti di vita personale nella costruzione delle loro storie, arrivano facilmente a girarne uno in cui le esperienze di vita s’impossessano più dell’intera narrazione. Come in una specie di confessionale si spogliano dei problemi e di alcune pesantezze della loro esistenza o che fanno parte integrante di quest’ultima. Questo lo ha fatto Fellini nel lontano 1963. Ora lo fa anche Almodóvar estrapolando dall’opera del regista italiano il mitologema principale, il fattore primario, la causa e le fondamenta della storia, arrivando ad esplorare e ad esplorarsi in maniera molto più inconsueta.

Il regista Salvador Mallo (Banderas) è un uomo che ha superato la mezz’età e ora è stanco, senza un benché minimo progetto futuro: senza nemmeno il pensiero di un bel futuro che possa riaccendere il suo al quanto tedioso presente. Autore di Sabor, film che gli ha dato il successo che andava cercando, anche se lo ha messo per trent’anni in cattiva luce con l’attore protagonista Alberto Crespo (Asier Etxeandía), Mallo non intende più girare film. La vita del set lo ucciderebbe anche perché affetto da una serie di complicanze di natura sia fisica che psicologica: vive contemplando le sue malattie e il ricordo del passato. Quel passato avvenuto in riva al fiume ammirando la madre (interpreta da Penelope Cruz quando era giovane, da Julieta Serrano quando è anziana) lavare i panni, quello del trasloco assieme ai genitori in una cueva (grotta), quello del coro a scuola o quello relativo a Eduardo, giovane muratore al quale Salvador insegnò a leggere e scrivere.

Una contemplazione che torna nei momenti di forte stress e soprattutto quando i dolori alla schiena o i mal di testa sono insopportabili. Si fa tuttavia convincere a ripresentare dopo molti anni il suo capolavoro, Sabor. Per questo motivo Salvador si riavvicina ad Alberto. Successivamente, quando quest’ultimo si decide a voler mettere in scena un racconto autobiografico scritto da Salvador, qualcosa inizia veramente a cambiare, evolvendosi passo dopo passo in una semi autobiografia, e un intenso scavo di ricordi.

Il filo narrativo segue blando il suo percorso e la storia inizia con molta calma, anche con una non curanza per un ritmo più travolgente. È la vita del protagonista, che si fa via via più intensa quando in un momento della sua esistenza inizia ad abusare dell’eroina per scacciare i mali che quotidianamente lo affliggono.

È la vita del protagonista quando il ricordo si fa sempre più vivido, cercando insistentemente di scoprire la causa delle paturnie, del suo essere, del motivo perché sia arrivato a quello punto. È un pezzo di vita del personaggio quello che Alberto Crespo mette in scena non sapendo che tra il pubblico c’è Federico (Leonardo Sbaraglia): altro pezzo mancante dell’esistenza di Mallo. Un amore giovanile che è comunque il punto di partenza per tornare ancora più indietro con i ricordi. Sempre nella cueva, sempre quando era un bambino.

Almodóvar si mette davvero a nudo, trapiantando la sua essenza, o parte di essa, sul volto di Banderas che, in questo film, da un interpretazione sorprendentemente formidabile. Forse molto più sublime e gustosa che nelle opere precedenti sempre sotto la regia dello spagnolo Almodóvar. Penelope Cruz, Asier Etxeandía, Cecilia Roth, Leonardo Sbaraglia, tutti collaborano per una recitazione il più naturale possibile in un film che è solo uno pseudo 8 ½ .

Dolor y Gloria, una foto dal set del film
Una foto dal set di Dolor y Gloria

Si tratta di un romanzo di memorie dove ogni episodio descritto, dove ogni passo fatto da Mallo, dall’altra parte, vale a dire nella realtà, è stato compiuto anche dal regista. Almodóvar punta per la realizzazione di un bellissimo affresco di esperienze ma anche di forte disagio dovuto all’invecchiamento, ai desideri insoddisfatti, agli screzi avvenuti: e lo stesso, contemporaneamente, fa Salvador.

La ricerca di quel ricordo, di quel momento di distacco nel quale Mallo, o meglio Almodóvar, scopre di avere inclinazioni omosessuali è descritto in una magnifica sequenza all’interno della cueva degli anni dell’infanzia. In una quiete quasi fuori dal tempo e fuori da ogni spazio. Solo una musica lontana che si riconosce essere la canzone Come Sinfonia di Mina.

Quando la finzione supera la realtà, è uno dei temi principali di Dolor y Gloria, senza dimenticare il compito salvifico del cinema che ha avuto per Almodóvar: sarà allo stesso modo salvifico anche per Mallo? Realtà e finzione vanno a braccetto: il regista spagnolo afferma che l’opera ha solo un cinquanta per cento di spunti ed elementi autobiografici. Tuttavia, aggiunge, può essere vista come un’autobiografia al cento per cento se la si scruta molto più nel profondo.

Leggendo fra le righe e se si accetta di vedere il film nella sala buia del cinema, attorniati da sconosciuti, lasciandosi trasportare e sopraffare dalla sua potenza, dalla forza delle immagini che riescono ad estrapolare. Il cinema, ma in questo caso l’opera in questione, come strumento che sia in grado di salvarci, di costringerci a dire più sul nostro conto, proprio perché unico mezzo di purificazione. Proprio come avviene per Almodóvar, così lui fa fare al suo protagonista.

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