Dopo i dodici minuti di scroscianti applausi al Festival di Cannes, Il Traditore diretto da Marco Bellocchio è già un fenomeno mediatico. Uscito nelle sale cinematografiche italiane nell’anniversario della strage di Capaci, il regista italiano rievoca figure ed eventi che sembravano essere sepolti nella memoria, soffermandosi sul personaggio di Tommaso Buscetta detto Masino, pentito di mafia e collaboratore con la giustizia.
Il primo pentito, dopo il quale altri ne seguirono, ad aver svelato l’organizzazione di Cosa Nostra e ad aver aiutato i giudici a catturarne i capi.
Ma basta questo a far riabilitare il personaggio Buscetta come uomo giusto? Bellocchio non sembra essere troppo di parte, ma inganna lo spettatore usando uno i volti più noti e amati del cinema italiano contemporaneo.
Quando entra in scena Pierfrancesco Favino, che nel film veste i panni della star Buscetta, effettivamente cala il silenzio, sebbene i primissimi minuti siano scanditi da una pulsante tarantella siciliana. È la festa di Santa Rosalia e le famiglie palermitane firmano una pace con i corleonesi per il controllo del traffico della droga a Palermo. Ci sono i più importanti nomi di Cosa Nostra: Pippo Calò, Gaetano Badalamenti, Totò Riina, Salvatore Contorno e anche Tommaso Buscetta.
Quest’ultimo, da semplice soldato qual’è e tale vuole restare, torna in Brasile occupandosi degli affari d’oltreoceano. Con tutta la famiglia vive a Rio de Janeiro, fra lussi e agi vari, deciso a non volersi immischiare troppo negli affari siciliani. Quando le tessere del domino cominciano a crollare sotto i colpi di Riina, votato all’assoluto potere, vengono ammazzati anche i figli di Buscetta, Vincenzo e Benedetto, e suo fratello.
Ma Buscetta non vuole tornare. Solo dopo il suo arresto da parte della polizia brasiliana e la tortura, si convince e farsi consegnare nelle mani della polizia Italiana. Un ritorno in Sicilia da far suo significherebbe una condanna a morte certa per mano dei corleonesi. Per questo motivo si affida al volere delle stato, o meglio, alle istruzioni del giudice Giovanni Falcone (Fausto Russo Alesi) per il quale rilascia un lungo interrogatorio e un resoconto di quattrocento pagine sui nomi di Cosa Nostra e sulla sua organizzazione.
Si arriva così al maxi processo. Sotto i vari “cornuto” e “spione” lanciati dagli altri imputati, Buscetta è fermo nelle sue decisioni e convinto a smascherare l’intera cosca. Come Buscetta, poco più tardi altri, così anche Salvatore Contorno (Luigi Lo Cascio), farà lo stesso, arrivando nel 1993 all’arresto di Totò Riina.
Bellocchio si spinge oltre non soffermandosi solo sulle perfette ricostruzioni processuali. Il regista aggiunge gli anni che seguirono le inchieste e i lunghi interrogatori, quando Buscetta è un latitante da Cosa Nostra in America e sempre sotto stretta sorveglianza. Lontano dagli sfarzi di poco tempo prima ma convinto pienamente di essere ancora un uomo d’onore ma soprattutto ancora un uomo di quella Cosa Nostra più tradizionale che lui rispettava.
Nonostante tutto, nonostante il pentimento e le informazioni date alla giustizia, Buscetta resta sempre un individuo pericoloso, terribile e temuto. Bellocchio non entra troppo in confidenza con questo personaggio, limitandosi a prendere più spunti possibile dalle interviste, dagli interrogatori. E ciò che ne viene fuori è il resoconto di un uomo alla fine della sua vita da potente e da individuo rispettato, temuto. Se Cosa Nostra rappresenta una copia della società, o delle sue strutture sociali, allora Buscetta è un borghese. Un piccolo borghese che si è visto crollare difronte agli occhi tutto ciò che aveva costruito in più di trent’anni di disonesto lavoro.
È la fine di una stella della mafia che, tuttavia, diventa una stella nei tribunali. È forse quasi impossibile, specie dopo aver visto questo film, capire o meglio affermare chi o cosa sia stato in realtà Tommaso Buscetta. Un personaggio verso il quale si nutre, più che una simpatia, una fascinazione. Odio e disprezzo, naturalmente, da parte di quei cosiddetti uomini d’onore che ancora restano in questo paese. Una fascinazione che Bellocchio sfrutta al meglio usufruendo di un attore versatile come Favino, che dall’alto della sua bravura attoriale e mimica riporta alla luce tale scomodo personaggio.
Personaggio scomodo perché non è, né da parte della mafia né da quella del semplice cittadino, un modello da seguire. Per la giustizia è stato sicuramente un punto d’appoggio e un aiuto importante per lo smantellamento dei vertici mafiosi. Forse niente di più. Il film racconta il Buscetta intimo, il Buscetta sotto arresto, il Buscetta che s’incazza perché non è riuscito a dire o a fare di più, il Buscetta che nutre simpatia e stima nei confronti di Falcone: categoria di uomo che, se non fosse stato arrestato, avrebbe quasi sicuramente disprezzato. Il Buscetta che inchioda e disprezza la stessa gente che prima seguiva e serviva.
Buscetta è tante cose messe insieme. Bellocchio non si schiera. Bellocchio non gira un film giudiziario o poliziesco e cerca proprio di non girare un film ispirato dall’epica gangster, proprio per abbattere quell’aura mitica che si era venuta a creare attorno a classici come Il Padrino. Film rimasti nella storia ma troppo schierati, anche solo per il gusto di mostrare solo violenza, solo il fascino del capo banda. Bellocchio e il suo film non mostrano solo violenza, ma un normale e ben agghindato evolversi delle vicende realmente accadute. Bellocchio resta un freddo osservatore di quegli eventi e di quegli uomini.
Buscetta: santo o mafioso? Diciamo che Buscetta resta uno dei più pericolosi appartenenti di Cosa Nostra. Non si può dire, però, che non sia stato utile. Non si può certamente negare che il suo intervento è stato in un certo qual modo risolutivo. Lo è stato. Ma resta pur sempre un assassino.
Per quanto riguarda la scelta dell’attore principale, la somiglianza che c’è fra il vero Buscetta e quello di Favino è davvero molto tangibile. Non si può non affermare che Bellocchio abbia girato un bel film. Per la prima volta distante dalla politica, anche se non completamente. Per la prima volta distante dalle tematiche precedenti e dai film precedenti, sempre ricchi di spunti autobiografici.
Stavolta il regista sceglie un soggetto esterno, sterilizzato dalla sua solita maniera di fare cinema. Forse è proprio questo distacco che fa de Il Traditore un buon film: che non calca troppo la mano e non va oltre con elementi romanzati. Ma non si tira neanche indietro, ed espone in una sorta di reportage circostanze, volti, avvenimenti e le cronache di quegli anni. Ottima scelta degli attori tra i quali compaiono Luigi Lo Cascio, Fausto Russo Alesi, Maria Fernanda Cândido, Fabrizio Ferracane, Bebo Storti e Giovanni Calcagno. Ma l’attenzione è tutta su Favino e assieme a Bellocchio mette in scena un’opera sempre sul filo della tensione, anche quando sembra non stia per succedere niente.
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