Una saga impareggiabile che va avanti da cinquant’anni. La contemplazione tra l’uomo e la scimmia che fece l’autore francese Pierre Boulle nel ’63 portò alla stesura del romanzo La Planète de Singes. Fu immediatamente un grande successo e spinse moltissimi sceneggiatori e registi cinematografici a pensare ad una possibile opera filmica. Il primo che riuscì a coronare tale sogno fu il regista statunitense Franklin J. Schaffner che, nel 1968, diresse quello che molti poi affermarono essere il suo capolavoro. Planet of the Apes esce al cinema in un momento di grande trasformazione.
Nel 1968 la guerra in Vietnam era nel suo momento più intenso e drammatico, la guerra fredda imperversava in tutto il mondo. La corsa allo spazio aveva portato il primo uomo a toccare la superficie lunare e nel frattempo le lotte studentesche imperversavano nelle società, mentre la paura dell’arma nucleare si faceva sempre più forte e le crisi economiche e gli scandali politici erano all’ordine del giorno.
In questo periodo di forte marasma il cinema partorisce capolavori indimenticabili come 2001: Odissea nello spazio e Il Pianeta delle Scimmie. Quest’ultimo fu visto come un’ancor più esplicita critica nei confronti dell’umanità deviata che da lì in poi non avrebbe fatto altro che mutare sempre di più: e in maniera forse ancor peggiore.
Il romanzo di Boulle, e così il film di Schaffner, interpretato da Charlton Heston, si apre con una spedizione spaziale guidata da George Taylor e i suoi tre assistenti nella ricerca di un nuovo pianeta da ripopolare. Il viaggio dura 700 anni e l’equipaggio, in stato di d’ibernazione, giunge finalmente ad una meta che sembra essere di loro gradimento. Atterrano infatti su di un pianeta molto simile a quello che avevano lasciato.
Non resta che incominciare il ripopolamento e chiamare i rinforzi. Tuttavia, imbattutisi in un gruppo di umani dall’aspetto e dai modi primitivi e selvaggi, scoprono che quel luogo è in realtà sede di una forte e stabile società governata da scimmie.
Tutto è apparentemente rovesciato: gli esseri umani presenti sono incapaci di parlare mentre le scimmie sembrano essersi evolute. Taylor, imprigionato e rimasto solo dopo la morte dei suoi uomini, cerca di spiegare a quelle creature che nel suo pianeta la situazione è ribaltata.
Tutti lo credono pazzo e anche un animale molto più pericoloso, ma Taylor è un individuo intelligente e grazie all’aiuto della dottoressa Zira e di Cornelius, riesce a scappare prendendo in ostaggio il Professor Zaius: colui che più di tutti avrebbe voluto per Taylor una condanna a morte. Tuttavia, lontano dalla città, Taylor arriva al mare. Qui viene guidato da Zaius in una grotta dove rinviene i resti di una civiltà molto più antica, e probabilmente ricollegabile alla specie umana.
Deciso a voler continuare il suo viaggio da solo, Taylor saluta i suoi amici Zira e Cornelius e si mette in marcia verso il suo destino. Dopo alcune miglia Taylor scopre finalmente la verità e questa compare ai suoi occhi sotto la forma della Statua della libertà, logorata dal tempo e incastonata nella sabbia.
Il protagonista, in uno sfogo di rabbia contro l’intera umanità, capisce solo in quel momento di essere sempre stato sulla terra. La navicella è ricaduta dopo 700 anni di guerre e devastazioni nucleari, portando la razza umana all’estinzione. Lui è l’ultimo superstite di un mondo ormai antico.
Immediatamente dopo la sua uscita, Il Pianeta delle Scimmie divenne ben presto un grande successo di critica e pubblico. Fra il 1970 e il 1974 quattro furono i sequel di questa intramontabile opera, L’altra faccia del Pianeta delle Scimmie (1970), Fuga dal Pianeta delle Scimmie (1971), 1999 – Conquista della terra (1972) e Anno 2670 – Ultimo atto (1973): nessuno di questi riuscì ad avere lo stesso successo del loro capostipite.
Fu solo a partire dal 2001, anno fatidico del capolavoro di Kubrick, che si iniziò a valutare una serie di sequel e remake del film di Schaffner. lo stesso anno uscì infatti il remake diretto da Tim Burton e interpretato da Mark Wahlberg, Helena Bonham Carter, Tim Roth e Paul Giamatti. Una rivisitazione dell’opera che non riuscì certo a superare il predecessore. Ci vollero così altri anni prima che Il Pianeta delle Scimmie poté avere finalmente un nuovo volto.
Nel 2011 la storia cambiò con il primissimo reboot intitolato Rise of the Planet of the Apes diretto da Rupert Wyatt, aprendo la strada a quella che sarà poi una nuova rivisitazione dell’opera di Boulle. Tre anni dopo, nel 2014, il progetto passò nelle mani del regista Mark Reeves che diresse Dawn of the Planet of the Apes, seguito nel 2017 da War for the Planet of the Apes.
Tre opere nuove che, sebbene il filo narrativo legato alla storia di Boulle, si slegano lasciando spazio alla vicenda di Cesare, scimpanzé che da cavia di laboratorio inizia poco a poco a pensare come un essere umano. Dotato di straordinarie capacità cognitive, Cesare crescerà prima amato dal suo padrone e poi lontano da esso, imparando a cavarsela da solo.
Tre film che furono acclamati dalla critica e dal pubblico, ma ancora di più fu acclamata l’interpretazione di Andy Serkis che, mediante la motion picture, dimostrò di essere all’altezza di attori che fanno uso della recitazione tradizionale.
Opera nata dalla mente di uno scrittore francese ma che solo gli statunitensi potevano glorificare così a lungo e con così tanti film ad essa legati. Dal canto nostro anche l’Italia vanta un breve ma pur sempre rimarchevole tributo a questo storico film.
Nel settimo capitolo della Serie sul Ragionier Ugo Fantozzi, il regista Neri Parenti lascia un tributo all’opera di Boulle e Schaffner e scherzando anche sull’infinita serie di film. La nipotina del ragioniere, Ughina, diventa attrice per le sue doti fisiche ed estetiche, e il primo ruolo affidatole è proprio quello della scimmia nel film fittizio Il Pianeta delle Scimmie 5.
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