Olavi è un uomo anziano che ha dedicato tutta la sua vita all’arte. Prima di ritirarsi e chiudere la sua galleria d’arte è deciso a fare almeno un ultimo affare. L’occasione gli si presenta durante l’esposizione di alcuni oggetti pronti per essere messi all’asta: tra questi Olavi scorge un dipinto di un autore ignoto dalla bassa base d’asta. Ma se il suo intuito non lo inganna quello potrebbe essere proprio l’ultimo affare necessario per chiudere in bellezza la sua lunga carriera. Insieme al nipote Otto scopre che l’opera è Il Cristo Buio di Ilya Repin. L’affare deve solo essere chiuso senza attirare troppe attenzioni sul quadro.
Il regista finlandese Klaus Härö dirige una storia pulita che racconta molto di più che di un intrigo artistico. È l’Olavi uomo, con i suoi problemi, il protagonista di Tuntematon Mestari (Un’ultimo affare). L’arte è la passione, quasi ai limiti dell’ossessione, che riempie la sua vita. L’arte lo ha allontanato dalla sua famiglia e rinchiuso nella sua galleria in un signorile quartiere di Helsinki. Per questo la figlia Lea, che non vedeva da anni, è titubante sul nuovo rapporto tra Otto e Olavi, ignaro della difficile vita che si conduce nei sobborghi. Il nipote, presentatosi dal nonno per svolgere -controvoglia- l’obbligatorio tirocinio previsto dalla scuola, inizia però, in poco tempo, ad apprezzare l’attività di Olavi e si immerge totalmente nella ricerca della verità sul dipinto.

Tra il dramma familiare e il thriller, il film procede con la pacatezza dei visitatori di un museo. Lentamente, come l’andatura di Olavi, il film conduce prima alla soluzione del mistero sul dipinto e poi all’epilogo della vicenda. Anche i rapporti tra i vari personaggi si sviluppano con lo stesso ritmo della pellicola, forse complicati dalla tipica freddezza del popolo finlandese.
Olavi non è stato né un padre né un nonno presente, e non sembra, almeno inizialmente, molto interessato a cambiare la situazione. La sua galleria d’arte è la sua vita. Le aste la sua occupazione principale. E nemmeno il rischio di fallimento lo fa desistere dal cercare a tutti i costi un nuovo affare sul cui concentrare tutte le sue forze.
Il rapporto tra Olavi e il nipote diventa però centrale: non solo nella narrazione ma anche, e soprattutto, per i personaggi. Otto, da adolescente problematico si responsabilizza e si dedica con serietà alla ricerca che lo vede coinvolto. Olavi, dal canto suo, riesce a instaurare con il nipote una sana complicità che diventa il vero e proprio tesoro della vita solitaria del mercante d’arte.
È questo l’ultimo vero affare di Olavi: l’aver fatto entrare Otto nella sua vita giusto in tempo.
Lascia un commento