La diciassettesima edizione del Ravenna Nightmare si apre con un ospite d’eccezione, il regista Premio Oscar Jean-Jacques Annaud, già direttore de Il Nome della Rosa (1986), Sette Anni in Tibet (1997) e Il Nemico è alle Porte (2001). Nel pomeriggio del 30 ottobre 2019, nella Sala Olindo Guerrieri del Palazzo dei Congressi di Ravenna, il regista francese ha incontrato la stampa per un intenso confronto sul cinema e sulla sua carriera.
Jean-Jacques Annaud non si cimenta in una lunga lezione magistrale sul cinema, ma racconta quelle che sono state le sue esperienze e le sue sensazioni.
L’occasione per rompere il ghiaccio in una sala affollata è offerta da una domanda su come il cinema sia cambiato nell’era delle serie televisive. Annaud, che ha diretto ultimamente la serie The Truth About The Harry Quebert Affair, non svicola e risponde chiaramente: “Ho lavorato alla serie perché il libro da cui è tratto il soggetto è stato bestseller in Europa. La storia è entusiasmante e complicata, impossibile da adattare in un film. Ora ci si muove verso la televisione perché questa è la direzione che ha preso l’industria, e mi piace seguire questa corrente. Mi sono approcciato alla tv e mi sono divertito, ma in futuro per reggere la competizione bisognerà lavorar su tutti i due i settori. Inoltre, la minor disponibilità di tempo per girare mi ha stimolato moltissimo. Inoltre, oggi i film sono guardati anche su schermi di piccole dimensioni e di questo un regista deve tener conto. Mi piace stare al gioco della modernità.”
Sul suo continuo confronto con romanzi importanti Annaud rivela una sua pessima previsione sul romanzo di Umberto Eco Il Nome della Rosa: “Pensavo che nessuno lo avrebbe letto, e per questo ne comprai i diritti a poco prezzo. Umberto poté comprarci una vecchio Volvo arancio solamente. Tutto questo perché io preferisco girare un film a partire da un libro poco conosciuto. Così quando ho visto che il libro iniziava a vendere molte più copie del previsto iniziai a sentire una certa pressione. Infatti è pericoloso fare un film da un libro famoso, perché in molti diranno che non è la stessa cosa del libro. Dei grandi intellettuali! Francamente ora non mi interessa, e mi sento libero di dare al pubblico quello che mi è piaciuto da un romanzo.”
“Per tutti i film che dirigo- continua -devo essere appassionato e coinvolto. Attualmente sto lavorando su due progetti, un film e una serie.”
Nei film di Jean-Jacques Annaud non è strano che un animale abbia un ruolo importante nella storia, se non addirittura da protagonista. Sono tanti gli animali che hanno calcato il set del regista francese, dalle due tigri di Due Fratelli (2004) ai lupi mongoli di L’ultimo lupo (2015), tutti selezionati attraverso una rigorosa serie di casting ovviamente: “Lavorare con gli animali è come lavorare con i neonati, solo che questi non possono ucciderti. Intorno all’attore, sia umano che animale, devi collocare qualcosa che possa inspirarlo a ottenere quell’emozione che stai cercando. Durante le riprese di Due Fratelli, per esempio, avevo bisogno della reazione stupita delle due tigri. Chiesi all’ammaestratore come potessi riuscirci e lui per scherzare mi disse di far barrire un elefante in lontananza. E io lo presi sul serio. Preparammo una tenda a un miglio di distanza dalla zona di ripresa delle tigre con nascosto dentro un elefante. Quando lo scoprimmo e iniziò a barrire le tigri rimasero stupite. Scena perfetta al primo ciak.”
Lo sviluppo artistico di Annaud ha, come molti registi della sua generazione, subito l’influenza del cinema italiano degli anni ‘60/’70: “Quando andavo alla Scuola di Cinema amavo il cinema italiano, di cui potevo vedere un film nuovo a settimana. Ettore Scola, Dino Risi, Mario Monicelli, Franco Zeffirelli, Michelangelo Antognoni e Federico Fellini hanno avuto una grandissima influenza su di me. Una volta Fellini mi è venuto a trovare sul set e mi ha molto commosso con le sue parole. Ricordo che mi disse quanto fossi fortunato nel poter disporre di tutta quella libertà nel girare un film.”
“Ho una vita positiva perché sono un pessimista convinto” racconta quando viene chiamato in causa sul quel lato oscuro del cinema che viene scandagliato durante il Ravenna Nightmare. “Amo i film in cui c’è del dramma, ma penso che si vada al cinema per sentirsi meglio una volta usciti dalla sala. Nei mie finali ci si muove sempre verso qualcosa di positivo, così da elevare le emozioni. Nel libro de L’ultimo lupo il finale è tragico e io l’ho cambiato nel film, perché volevo un crescendo positivo nel finale. Questo è il modo di fare cinema, e quello che penso sia fare cinema.”
Jean-Jacques Annaud negli anni ha vissuto in vari parti del globo, dalla sua Francia a Hollywood, dal Camerun alla Cina. Queste sue esperienze di vita all’estero ne hanno ovviamente influenzato la carriera e la crescita personale come essere umano: “Mi sento una persona migliore dopo essermi confrontato con persone diverse in differenti contesti culturali. Mi piace cambiare prospettiva e mi aiuta a comprendere anche me stesso. Identificarmi con gli altri e con le loro storie mi aiuta a evolvere e a esprimere me stesso.”
In conclusione, Annaud regala alla platea le sue linee guida nella creazione di un’opera cinematografica, non rinunciando a raccontare un curioso aneddoto sulla scelta di Sean Connery per il ruolo di Guglielmo da Baskerville ne Il Nome della Rosa: “Per me l’importante è l’emozione regalata al pubblico. In questo, l’immagine, legata alla colonna sonora, ha una grandissima importanza, più di quella che riservo ai dialoghi. Inoltre, nella scrittura di un personaggio non penso mai ad un attore in particolare che lo possa interpretare perché quando questo succede si pensa sempre a un film già visto. E questo non è positivo per il proprio progetto. Infatti, quando Sean Connery si propose per il ruolo di Guglielmo da Baskerville lo rifiutai subito perché non volevo 007 nel mio film! Continuò per un anno a chiamarmi fino a quando un giorno si presentò nel mio ufficio e mi stupì. Così gli dessi la parte. Quando Umberto lo venne a sapere non poteva crederci e mi disse di essere pazzo. In seguito, dopo aver visto il film, mi disse che la cosa che temeva di più,è stata quella in cui sono riuscito di più.”
Dopo un’ora e mezza di aneddoti sul suo cinema e sulla sua vita, Jean-Jacques Annaud chiude la conferenza stampa e saluta il pubblico del Ravenna Nightmare, in attesa di partecipare alla Opening Night del festival poche ore dopo.
Ma questa, è un’altra storia.
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