La prima volta che sono uscita con la combriccola del mio ragazzo è stata una serata un po’ particolare. Si erano tutti ripromessi di fare una bella impressione, di non affrontare argomenti “strani”.
Siamo partiti parlando di tutte quelle cose bizzarre che succedono nell’ambiente lavorativo, della gente stramba che si incontra quando si lavora al pubblico, delle richieste stravaganti, degli strafalcioni, fino a sfociare nella molestia.
Palpate di culo, commenti e battutine non richieste, inviti a cena non desiderati, espliciti tentativi verbali di approccio sessuale.
Vorrei ora che vi calaste nella situazione. Chiudete gli occhi e ritrovatevi anche voi con le birre in mano davanti ad un locale lungolago in una sera che si annuncia nell’insolito tepore di un venerdì sulla soglia autunnale. Date un volto e una voce a questi racconti.
Quanti di voi hanno immaginato nella propria testa un corpo ed un tono maschile?
Già, perchè quella sera, a raccontare episodi di violenza, c’era un gruppo di ragazzi,che devo proprio ringraziare per non essere riusciti a mantenere il loro proposito iniziale, altrimenti questo articolo non sarebbe mai nato.
Dopo quell’uscita, molte domande hanno cominciato a frullarmi in testa: Perché fa sempre così strano sentire parlare di violenza maschile? Perché si rimane sempre un po’ increduli, si accenna quasi un sorriso, vagamente divertiti dal fatto che finalmente una donna riesca a tenere testa ad un uomo? Perché, cercando in internet, è così difficile trovare materiale artistico a riguardo?
Questo articolo non vuole essere un’indagine socio culturale, ma è impossibile tralasciare questo aspetto se si vogliono comprendere le cause che portano a un quasi totale disinteresse da parte del mondo artistico.
Ma siamo così socialmente abituati. Ricordo che una volta alle medie ci portarono in gita a Perugia, a vedere non ricordo quale film, credo spagnolo, sulla violenza sulle donne. Siamo noi, gli unici esseri fragili da difendere dal grande mostro forte e cattivo: l’uomo.
La società demonizza la figura maschile e, finché ci verrà offerto il ritratto unidimensionale dell’uomo potente e violento, non ci sarà mai concesso di vedere anche l’altra faccia della medaglia: la sua fragilità, la sua vulnerabilità.
Anche perché, come disse il mio ragazzo stilizzando il pensiero dell’uomo medio che sente ancora di dover incarnare la figura del superuomo, non in senso Nietzschiano ma puramente terreno:
“Che fai, se una ci prova con te non ci stai anche se non ti va? Che figura faresti? Quella dello smidollato, ci si sente quasi costretti”.
E il cinema, la letteratura, la musica e l’arte in genere, sono prodotti del pensiero sociale. E’ per questo che, in questo mondo, la tematica della violenza maschile viene declinata, surclassata, ignorata.
Ogni anno, per il Palio de San Michele, una festa paesana che si svolge a Bastia Umbra, viene mandato in onda sui maxi schermi in piazza un video di sensibilizzazione sulla violenza femminile. Quest’anno lo scenario era rappresentato da una corsa campestre mista, in cui i posti di partenza venivano assegnati a seconda delle domande. In caso di risposta negativa si doveva retrocedere di un passo, andare in avanti, invece, se questa fosse stata affermativa.
Alla fine, una volta distribuiti i posti, guardando le disposizioni, si notava di come le donne partissero tutte svantaggiate e di come, l’uomo che aveva posto i quesiti, affermasse che gli uomini, non per loro meriti, partono sempre avvantaggiati nella vita.
Non che questo messaggio sia sbagliato, sia ben chiaro, ma parzialmente scorretto e più che altro fuorviante.
Nella diatriba sulla violenza, purtroppo, ormai si vive di assolutismi e di opposti, una lotta bene/ male, una lotta donna/uomo.
La proiezione di video come questi da un lato portano ad una maggiore sensibilizzazione sulla tematica, ma dall’altro tendono ad ingigantire il divario fra i due sessi, andando ancora di più a marcare, sempre unidirezionalmente, le differenze fra uomo e donna, inabissando e screditando il mondo maschile, non offrendo, quindi, occasione di riscatto, né tanto meno la possibilità di chiedere aiuto.
Sarebbe bello, se non pretendo troppo, una riflessione da parte degli enti preposti, per cambiare il messaggio di violenza sulle donne in un più ampio messaggio di violenza, senza discriminazioni.
Ricordo una volta d’aver visto una trasmissione in tv, credo Pomeriggio Cinque, in cui un’ uomo raccontava di come la propria ragazza l’avesse percosso più e più volte. Il pubblico, in sottofondo, rideva, finchè, ad un certo punto, la conduttrice ha chiesto ai presenti di piantarla, di immaginare la scena al contrario, chiedendo se a quel punto avrebbero ancora avuto il coraggio di ridere.
Sembra assurdo, ma per dare dignità alla violenza sugli uomini, abbiamo bisogno prima di calarla nei panni opposti, senza i quali, sembrerebbe avere un peso diverso e di ilarità.
Cercando filmografia, ne troviamo a volontà per quanto riguarda la violenza sulle donne. Per la violenza sugli uomini, invece, si fatica, ovviamente.
The perk of beeing a Wallflower prova timidamente ad entrare nell’argomento. L’approccio risulta però fallimentare, o meglio, insufficiente, poiché la tematica viene accennata sul finale, senza andare ad indagare gli aspetti psicologici della vicenda.
Anche Tredici, diventata ormai fin troppo esageratamente paladina di tutte le problematiche del mondo, affronta l’argomento, accostando la violenza subita da Justin a quella di Jessica, fallendo anche in questo caso, archiviando la faccenda con una delle frasi meno azzeccate della storia del cinema.
Justin dice infatti a Jessica d’aver ascoltato le violenze da lei subite senza aver detto una parola perché lei aveva più bisogno di lui di sfogarsi, offrendo quindi di nuovo l’immagine che l’uomo se la deve cavare da solo, che non ha bisogno d’aiuto o di sfogo. Non puoi voler affrontare certe tematiche per sensibilizzare e poi invece far passare il messaggio dell’ “Ok, noi ne abbiamo parlato, però restano comunque affaracci vostri cari uomini, mentre le donne, poverine, ne dobbiamo parlare in modo ossessivo compulsivo fino alla morte”.
Ripeto, non perchè sia sbagliato parlare di violenza sulle donne, ma se decidi di intraprendere un percorso tematico, non lo puoi declassare così, fai più danni che altro.
Gone Girl, invece, è un film ben riuscito, sebbene forse venga più percepito come un avvincente thriller in cui una psicopatica fa di tutto per far incarcerare il marito, piuttosto che un vero e proprio film di violenza maschile. Ci vogliono un paio di riflessioni per cogliere quest’aspetto, ma nulla che alla fine non venga notato. E’ forse l’unico film che affronta candidamente e nitidamente la tematica, senza però offrire via d’uscita, preferendo la narrazione thriller alla risoluzione del problema di fondo, motivo per cui, capiamo, di come l’interesse primario sia quello di narrare una storia coinvolgente, piuttosto che inoltrarsi in una tematica sociale semi conosciuta.
Navigando su YouTube, invece, è possibile trovare un paio di video riguardanti l’argomento. Una campagna di sensibilizzazione sulla violenza domestica, scritto da Glenda Mancini e anche un episodio di Nemo – Nessuno Escluso, programma in onda su Rai2.
Interessantissima la visione trasmessa proprio dalla proiezione offerta dall’emittente italiana, in cui il ricercatore Fabio Nespola espone i dati riguardanti la violenza maschile, fisica e psicologica, che coinvolge milioni di uomini, affermando poi che queste molestie vengono meno denunciate proprio perché ” l’uomo che dichiara violenza subita dalla propria partner acquisisce lo status di stupido, di inetto, di persona che non è in grado di cavarsela da sola” e che l’unico modo per superare questo preconcetto è considerare l’uomo come “persona”.
Anche Barbara Benedettelli, scrittrice, afferma a Mattino Cinque, di come le sia stato difficile trovare dati riguardanti l’argomento per la stesura del suo libro Il Maschiciodio Silenzioso, libro disponibile nella collana Fuori dal Coro, che affronta proprio questa tematica, sottolineando anche quanto sia ingiusto defilare questo argomento, tralasciarlo, quasi fosse una problematica inesistente.
Potrei ancora dilungarmi a lungo, sebbene sembri quasi assurdo avere così tante parole da spendere per un argomento così poco considerato, vorrei lasciarvi a riflettere così, e vorrei lasciarvi con una canzone.
Scordatevi La signora del quinto piano di Carmen Consoli, o Nessuna Conseguenza della Mannoia, neppure Gesù Cristo sono io di Levante, o What kind of man dei Florence+ the machine.
La canzone che vi offro si intitola Sic Transit Gloria… Glory fades dei Brand New, che ha il coraggio e la pretesa di cantare di uno stupro maschile, senza mezzi termini.
Ah, vi posto questa canzone, perché probabilmente non ne esistano altre, almeno che io conosca.
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