10 traduzioni di film tra il banale e l’orrido
La storia del cinema italiano è una storia ricca di successi e riconoscimenti; una storia che spesso ha orientato e modificato il corso del cinema mondiale, fino a creare veri e propri stereotipi, apprezzati ed imitati in tutto il mondo. Culla di formidabili registi, attori, sceneggiatori, nonché maestri di doppiaggio che tutto il mondo ci invidia, l’Italia –tuttavia- ha un “piccolo” difetto: una terribile propensione allo scempiare, e talvolta banalizzare, titoli originali di pellicole che tutto si meriterebbero, fuorché di essere banalizzate.
Può sembrare un fatto di poco conto, ma per le nuove generazioni, sempre più cosmopolite e attente, rappresenta un fattore di enorme, fastidiosissimo –quasi pruriginoso- disturbo.
“L’abito non fa il monaco”, “Mai giudicare un libro dalla copertina”, “L’apparenza inganna” e tanti altri, ci invitano a mostrare più indulgenza e comprensione, ma di fronte a certe scempiaggini, la domanda sorge spontanea: perché non lasciare il titolo originale?
Se la domanda è spontanea, la risposta lo è ancora di più. Infatti, salvo alcuni strafalcioni dovuti alle scarse conoscenze e capacità del traduttore, si tratta per lo più di traduzioni e riadattamenti volutamente banalizzati e ridicolizzati, con lo scopo di rendere commerciale, e dunque più facilmente vendibile, il prodotto. Si tende, per tanto, a ricorrere a titoli mediocri, spesso melensi e non in linea con il contenuto originale del film, per accattivarsi il favore del pubblico –traendolo in inganno.
Sarà capitato a chiunque di escludere un film solamente perché il titolo fosse banale o frivolo, oppure credere di star guardando una commediola leggera e spensierata e trovarsi invece immischiati in un film impegnato e angosciante. Ciò accade perché una traduzione sbagliata trae in inganno in entrambi i sensi. Di seguito alcuni esempi di traduzioni che vi daranno “fastidio”.
Eternal sunshine of the spotless mind (2004), diretto da Michel Gondry
Probabilmente, il caso più eclatante di questo meccanismo di marketing spietato ed immorale.
Un film che è pura e angosciante poesia dall’inizio alla fine, tradotto in italiano con un demenziale e fuorviante Se mi lasci ti cancello. Il titolo originale del film è un verso della poesia di Alexander Pope, Lettera di Eloisa ad Abelardo, e letteralmente significa L’eterna letizia di una mente candida: verso che incarna perfettamente l’essenza, nonché la tensione emotiva del film. Come sia stato possibile distribuire un film del genere, con questo titolo da commediola da due soldi rimane ancora un mistero irrisolto.
Jeux d’Enfants (2003), diretto da Yann Samuell
Una deliziosa pellicola francese, in cui emozioni contrastanti che oscillano fra allegria e inquietudine, sono in perfetta armonia. Il film è stato distribuito nelle sale italiane con il titolo Amami se hai coraggio, decisamente non all’altezza della geniale sceneggiatura di Yann Samuell.
The Texas Chainsaw Massacre (1974), diretto da Tobe Hooper
Film ispirato alla figura di Ed Gein -meglio conosciuto come il macellaio di Plainfield o Leatherface – spietato killer del Wisconsin, che ricavava dalla pelle e altre parti del corpo delle vittime oggetti ornamentali e di arredamento. In Italia, il film è stato distribuito con il titolo Non aprite quella porta, scelta a dir poco esilarante se si considera che il film sia caratterizzato da scene splatter di massacri cruenti provocati da una motosega e che non si faccia mai -e dico mai- riferimento ad alcuna porta da non aprire.
The Shawnshank Redemption (1994), diretto da Frank Darabont
Film del 1994 tratto dal romanzo di Stephen King Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank. Probabilmente il titolo è stato riadattato per ragioni fonetiche, in quanto sarebbe stato difficoltoso –nonché cacofonico- per il pubblico italiano pronunciare la parola “Shawnshank”. La scelta è ricaduta su Le ali della libertà, titolo oggettivamente non così detestabile, ma che sbiadisce un po’ della profondità e drammaticità che pervade il film.
Clueless (1996), diretto da Amy Heckerling
Il film, uscito in Italia nel 1996, è una brillante –seppur parziale- reinterpretazione in chiave moderna del romanzo Emma di Jane Austen. Per la sua distribuzione italiana, il titolo è stato stravolto in Ragazze a Beverly Hills, scelta che induce lo spettatore a credere che quella che sta guardando sia una commedia dozzinale e mediocre. In realtà, Clueless è una commedia adolescenziale arguta, vivace e ben riuscita, il cui titolo originale rappresenta al meglio la protagonista Cher.
Reservoir Dogs (1992), diretto da Quentin Tarantino
Distribuito originariamente come Cani da rapina, il celeberrimo film di Tarantino, non riscosse molto successo. Fortunatamente, poco tempo dopo, venne ridistribuito con il titolo Le Iene, che ne assicurò il successo.
The seven year itch (1955), diretto da Billy Wilder
Mai sentito nominare, vero? E se vi dicessi che altro non è che Quando la moglie è in vacanza? Ulteriore esempio pruriginoso di titolo mediocre che banalizza e fa sembrare volgare una commedia di classe firmata Billy Wilder.
Lost in Translation (2003), diretto da Sofia Coppola
Malinconico film di Sofia Coppola sull’incomunicabilità e l’intraducibilità dei sentimenti, lanciato in Italia con il titolo L’amore tradotto: quando si dice ironia della sorte.
My Girl (1991), diretto da Howard Zieff
Altro esempio emblematico di come, al momento della distribuzione cinematografica, le strategie di marketing abbiano la meglio sul buon senso. Il film, uscito nel 1991, ha come protagonista Anna Clumsky: tuttavia, la presenza nel cast di Macaulay Culkin –seppur in un ruolo secondario- ha indotto ad optare per un titolo decisamente off-topic, quale Papà, ho trovato un amico.
Molto probabilmente, tale slittamento semantico ha a che vedere con il film, uscito un anno prima e di cui Culkin era protagonista, Mamma ho perso l’aereo: film che, come ricordiamo, riscosse enorme successo. Questa scelta, puramente commerciale, porta lo spettatore ad accomunare inconsciamente i due film, inducendolo a credere si tratti di due pellicole ugualmente leggere e spassose quando, in realtà, i toni che caratterizzano My Girl sono decisamente più profondi e –a tratti- drammatici.
Une belle fille comme moi (1972), diretto da François Truffaut
Mi vergogno a commentare ulteriormente come un film di Truffaut sia stato distribuito in Italia con l’abominevole titolo Mica scema la ragazza. Pellicola squisitamente sagace, divertente e sarcastica, si sarebbe meritata una cornice migliore.
In quanto studiosa e appassionata di lingua e linguistica, l’esperienza accademica mi ha insegnato che la bellezza della lingua –intesa come codice- risiede in quelle parole e quei concetti che spesso non hanno un equivalente nelle altre lingue. Dovremmo imparare a rispettare e avere cura di questa intraducibilità e lasciare che la nostra mente interpreti a modo suo i significati, senza racchiuderli forzatamente in parole inospitali.
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